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Recensione: “Jack” di Sara di Furia

Inghilterra, 1888. Una serie di efferati omicidi paralizzano Londra gettando nel terrore il quartiere di Whitechapel, dove Damon Blake si è appena insediato, trasferitosi dall’India per sfuggire al suo passato burrascoso. I delitti portano la firma di Jack lo Squartatore e, suo malgrado, Blake ne verrà coinvolto, trovandosi nel mezzo di un vero e proprio incubo che, tra visioni notturne e donne misteriose, lo porterà a dubitare delle sue stesse facoltà mentali, fino a giungere sull’orlo della follia. Dissolvere le ombre che avvolgono Whitechapel, salvare se stesso e far luce sull’identità del misterioso serial killer diventeranno gli obiettivi primari di Damon Blake che dovrà innanzitutto scontrarsi con il lato oscuro della sua anima.

Quante volte abbiamo letto – io almeno tantissime – la storia di Jack lo Squartatore? E quanti dubbi ci sono venuti per cercare di capire chi potesse celarsi dietro questo inquietante serial killer dell’epoca vittoriana? Che dire poi delle tante, a volte irreali, teorie che hanno indicato diversi personaggi, tra cui tante donne?
Insomma, quando credi che non ci sia più nulla da dire, ecco qui che Sara di Furia ti cala l’asso di picche!
Cerca gli ingredienti classici: la nebbia, il personaggio oscuro, un semplicissimo dubbio, un capro espiatorio e tu ci corri dietro per tutto il libro, come un allocco, credendo di essere il più grande investigatore del tempo… E zac! Eccoti lì, come un principiante, a compiere il passo falso che ti porta dietro un presunto colpevole, che poi, se potesse, ti riderebbe in faccia, esattamente come Sheppard fa un paio di volte.
Attenzione, occorre dedizione e raccolta di indizi per scrivere un buon giallo… e che giallo, direi!
Mi ha tenuta incollata al libro tutta la notte (e quando vuoi leggere un libro del genere?), fino a quando, arrivata alla fine, tiri un sospiro di sollievo.
Ebbene, mister Blake, abbiamo fatto il tifo per te, ma un po’ di volte, qualche scappellotto te lo avremmo mollato anche noi.
Non dico nulla sulla storia, tanto la conoscete già.
Ma gli eventi? Beh, qui è un altro paio di maniche, perché l’autrice sa portarvi per mano in tante scene, tanti vissuti, che vi sembra di esserci già stati, ma è come se qualcosa vi sfuggisse.
Ad esempio, quella donna alla finestra… meravigliosa, atipica, affascinante, ma… qualcosa mi sussurra, qualcosa che non riesco a capire, che mi fa diventare ancora più intricata l’intera faccenda.
E quegli inquietanti insetti nella teca? E il fido Kamal che invece non ci ispira poi tanta fiducia? E il dottor Edwards, sempre presente? E la sua delicata dipendente?
Insomma, in mezzo a tutte queste figure che potrebbero essere tutte colpevoli o assolutamente innocenti, io so di essermi sempre sentita attratta da una sola: l’albero.
Vi starete chiedendo se sono pazza, e ci sta… ma leggete qui:

L’atrio circolare presentava quattro porte aperte su perimetro. Tre a sinistra e una a destra. Dando le spalle all’ingresso malconcio, si apriva davanti agli occhi una scalinata in ferro battuto e marmo che saliva al piano superiore. La visuale però era disturbata dal platano che nel centro del cerchio si stagliava verso l’alto arrivando a forare il tetto. Come aveva immaginato Kamal, le radici nodose avevano divelto il pavimento e vi sprofondavano, mentre i rami si erano fatti spazio nel soffitto crepandolo.
Blake prese a girare intorno all’albero. La sua imponenza era tale che, volendolo abbracciare, le dita delle mani sarebbero state ben lungi dal toccarsi. Ma non erano solo le dimensioni a lasciarlo sbalordito. C’era dell’altro. Su un lato del tronco era scolpita la sagoma di una donna che sembrava volesse uscire dall’albero. Il busto protendeva verso lo spettatore. Le braccia, levate sopra il suo capo, erano strette per i polsi dalla coda di un serpente, avvinghiato a un ramo, che la tratteneva con forza. Le caviglie affondavano nella base del tronco. Gli occhi erano serrati e le labbra leggermente dischiuse.
«Inquietante, vero?» osservò il signor Philips. «Alcuni dicono che sia l’ultima opera della Wilson prima della sua scomparsa. Poi, nessuno l’ha più vista» si lisciò pensieroso il ciuffo di peli al centro del mento.

Ebbene, questo albero mi ha ossessionata per tutto il libro, considerato che mi faceva venire in mente il paragone con l’Odissea e al maestoso albero che era in casa di Ulisse.
Non so, assonanze letterarie? Fatto sta che davvero questa storia è intessuta di mistero e di morte, che vi lascerà completamente assuefatti. E con tanta voglia di leggere ancora.
Ottima prova per l’autrice, scrittura fluida e trama perfettamente costruita. Anche se siete dei detective, riuscirete a comprendere chi sia il ‘cattivo’? Fatemi sapere!

Buona lettura!

A cura di:

 

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Voto di Tracy 5

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