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Recensione “Qualcosa in cui credere” di Enedhil

Quando il Parco Giochi sulla collina di Accession apre i cancelli, Fabien, il razionale e diffidente fabbro del villaggio, decide di darla vinta alla curiosità e di attraversare il confine che lo separa da quel mondo fatto di ingegnosi artifici. Sotto al tendone de “Il Giardino di Ghiaccio”, circondato da atmosfere innevate e gelide statue che sembrano vive, il giovane conosce Riw, un misterioso ragazzo che dice di essere l’Inverno e che scalda il cuore del fabbro con un fuoco ben diverso da quello a cui è abituato.

A dieci anni da quell’incontro, spinto da sensazioni che non riesce più a controllare, Fabien ritorna ad Accession. Qui il suo bisogno di ritrovare quel giovane che sembrava padroneggiare la neve e il ghiaccio diventa più incalzante. Fabien vede ben presto esaudito quel desiderio, ma quando Riw gli chiede di seguirlo, rivelandogli una verità incredibile, si ritrova coinvolto in uno scontro dal quale dipende il destino del suo mondo.

In un Tempo dominato da Stagioni ed Elementi, riuscirà Fabien ad ascoltare il proprio cuore e a trovare qualcosa in cui credere?

La metafora del “qualcosa in cui credere” mi  ha colpita da subito, perché rispecchia il mio modo di vivere la vita. Parlo del concetto secondo cui se si crede in qualcosa, che sia l’essere fortunato o sfortunato, che sia l’essere il figlio prediletto o il brutto anatroccolo, si inizia a vedere l’ambiente che ci circonda, e le cose che ci succedono, filtrandoli con questo punto di vista. Questo determina il nostro modo di pensare, di agire, di relazionarci, in modo talmente inconscio, ma potente, da far sì che ciò in cui crediamo, prima o poi, si trasformi nella nostra realtà.

Sono fermamente convinta che ciò in cui si crede determini ciò che noi diventiamo. Per questo è stato così facile immedesimarmi nelle metafore del romanzo e immergermi, pagina dopo pagina, nel mondo fantastico di Riw e delle altre stagioni, in guerra con il ribelle Estate.

Non era solo un sentimento ciò che quel giovane chiamato Inverno gli aveva donato ma molto, molto di più.

Lo aveva fatto credere in qualcosa privo di razionalità, gli aveva dato modo di sperare, di gioire, di crescere, di conoscere se stesso, di riscoprirsi e di dare un senso diverso a ciò che aveva sempre ritenuto scontato.”

“Qualcosa in cui credere” è un bellissimo mix tra fantasy, romance e M/M, ed è proprio per questo suo essere ibrido, con una predominanza di scene sentimentali rispetto a quelle di azione, che è entrato più facilmente nelle mie corde.

“Non riuscì a smettere di desiderarlo mentre lo stava avendo.

La particolarità principale di Enedhil è uno stile che, all’impatto, può sembrare complicato: alla prima riga che occupava l’intera schermata del mio kindle mi sono detta “prepariamoci a una lettura difficile”. In realtà è risultata una lettura molto appagante, perché in grado di dare sempre colore, di coccolare, abbracciare, di usare delle forme poetiche, di descrivere benissimo quello che succede anche nel mondo fantastico, meno scontato del contemporaneo. Grazie a un uso sapiente dei vocaboli, l’autrice riesce a farci immedesimare nella realtà fantastica in modo pittoresco, ma allo stesso tempo preciso.

Entrare nel mondo fantastico non è stato difficile, non mi sono mai sentita smarrita o confusa. Gli usi, i poteri, le modalità di gestione della magia da parte delle quattro stagioni e dei rispettivi quattro elementi, sono delineati in modo efficace e realistico.

E infine, quando quella gelida ramificazione che lo aveva percorso raggiunse gli estremi della sua carne, la sentì tornare indietro, come un vortice che viene richiamato all’origine e risucchia con sé tutto ciò che ha incontrato: i suoi pensieri, le emozioni contrastanti, i dubbi, i ricordi, i sentimenti. Ogni cosa veniva toccata, esplorata e poi passava attraverso la mano ferma sul suo petto.

Per quanto riguarda la storia d’amore tra Fabien e Riw, un umano e un essere sovrannaturale (Riw è una stagione: Inverno), si tratta di qualcosa di molto dolce, che si risveglia lentamente, infatti tra il primo e il secondo bacio passano dieci anni. Quello che era un ragazzino, nel frattempo, è diventato un uomo capace non solo di attendere, ma anche di esigere ciò che desidera. D’altro canto, la stagione, pur essendo un essere superiore, dotato di poteri e della vita eterna, di un’essenza che va oltre la fisicità di un corpo, non ha mai sperimentato la passione della carne, l’amore nel senso umano del termine. Sarà quindi una scoperta reciproca, questo stare insieme.

Tra i due, poi, pare frapporsi un terzo personaggio: Acqua, l’elemento a cui Inverno è associato. Tuttavia non si genera mai una sorta di triangolo.

Il legame tra la stagione e il suo elemento, infatti, è un legame che va ben oltre quello sentimentale. È simbiotico. Sono entrambi elementi eterni e sovrannaturali, e uno è stato generato dall’altro, l’uno rafforza l’altro. È un legame che non può essere scisso. Lo stesso umano prova attrazione per  Acqua, proprio perché esso è anche espressione dell’essenza di Inverno. Per quanto la gelosia a un certo punto entri in scena, non ci può essere scelta: quello tra Riw e Acqua è un rapporto così intrinseco, così intimo, così legato alla loro natura che può essere solo accettato.

Concludendo, “Qualcosa in cui credere” non è un fantasy per adolescenti e non è un fantasy classico, incentrato solo sull’azione e sul mondo fantastico.

È un ibrido romantico con delle chiavi di lettura che vanno al di là della semplice storia sentimentale, con metafore applicabili alla vita, alla natura, alla fede, e lo consiglio decisamente.

Non pensò più che fosse assurdo, o folle o incredibile. Non pensò ad altro se non a ciò che voleva e a quello che avrebbe dovuto fare.

 

 

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