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Recensione: Le gemelle di Auschwitz di Eva Mozes Kor e Lisa Rojany Buccieri

Titolo: Le gemelle di Auschwitz

Autore: Eva Mozes Kor e Lisa Rojany Buccieri

Editore: Newton Compton Editori

Genere: Storico / Storia vera

Data di Uscita: 10 Gennaio 2022

Una storia vera
Le due sorelle deportate a soli dieci anni nel più terribile campo di sterminio e miracolosamente sopravvissute

Nell’estate del 1944, Eva Mozes Kor giunse ad Auschwitz con la sua famiglia. I genitori e le due sorelle maggiori furono subito mandati alle camere a gas, mentre Eva e la sua gemella, Miriam, vennero affidate alle cure dell’uomo che è passato alla storia come l’Angelo della morte: il dottor Josef Mengele. Eva e Miriam avevano solo dieci anni. Nonostante ai gemelli fosse concesso, all’interno del campo, il “privilegio” di conservare i propri vestiti e i capelli, non venivano loro risparmiati i più atroci esperimenti. Sottoposti ogni giorno a procedure mediche mostruose, moltissimi di loro non sopravvissero. In un racconto crudo, che tratteggia in modo semplice quali erano le condizioni di vita nel più brutale campo di sterminio della storia, l’autrice offre la testimonianza di una bambina che si trova a fronteggiare il vero volto del male. Eva Mozes Kor ha dedicato tutta la vita a tener vivo il ricordo dell’Olocausto, lavorando al tempo stesso per trasmettere un messaggio di pace e perdono che, anche di fronte all’orrore, rappresenta il tesoro più prezioso da conservare.
In corso di pubblicazione in 16 Paesi
Bestseller del Sunday Times
Oltre 100.000 copie vendute nel Regno Unito

«Quando aveva dieci anni Eva Mozes Kor venne deportata dai nazisti ad Auschwitz dalla Romania, assieme alla sorella gemella. Arrivate nel campo di sterminio, finirono nelle mani di Joseph Mengele, il medico che eseguiva esperimenti sui detenuti e in particolare sui gemelli.»
La Stampa
«Con la sorella Miriam era stata vittima delle torture del medico Josef Mengele. Dopo l’odio per i carnefici una nuova missione: tutelare la memoria e diffondere il perdono.»
Il Fatto Quotidiano
«Per trent’anni ha viaggiato in tutto il mondo, insegnando l’importanza del perdono per superare i traumi personali e storici.»
Il Giornale

Questa è una storia vera. E visto l’argomento che tratta, è difficile da digerire.

È dura e terribile, ma è anche piena di amore, forza e coraggio. Il libro ci racconta la vita della protagonista e quella della sua gemella, bambine ebree durante il nazismo, della loro battaglia per rimanere vive e dell’amore infinito che avevano l’una per l’altra.

Fa anche di più, per la verità. Non si limita a un resoconto di ciò che Auschwitz è stato, o delle atrocità subite, dei sotterfugi e delle scappatoie che due bambine hanno dovuto inventare per riuscire a sopravvivere. Ci racconta anche quello che è successo durante e dopo la liberazione. Il periodo passato al campo quando i nazisti lo avevano abbandonato e la parvenza di libertà che ne era derivata. Il loro ritorno e la nuova e definitiva fuga.

Ci spiega in che modo i superstiti siano stati trattati, smistati e come siano riusciti (chi ha potuto) a ricongiungersi con i familiari ancora in vita.

Attraverso gli occhi di una bambina, poi di un’adolescente scopriremo perché loro, come molti altri ebrei non siano scappati finché erano in tempo. Le scelte che la loro famiglia ha preso, perché non abbiano contrastato sul nascere, per esempio, gli episodi di razzismo ed emarginazione cui le sorelline venivano sottoposte a scuola e al paese.

Con un candore quasi spiazzante, l’autrice ci racconta una quotidianità fatta di dolore, minacce e soprusi. Del come tutto questo era visto e assimilato da una bambina di sette, otto anni, di come ha percepito le scelte della famiglia allora e di come le ha percepite col senno di poi.

La protagonista, assieme alla gemella, saranno le uniche superstiti della famiglia, ma finiranno tra le cavie del dottor Mengele. E se da una parte, i gemelli di Mengele sembravano godere di qualche diritto in più, dall’altra, erano comunque vuoti a perdere. Erano soltanto delle cavie rimpiazzabili, una volta che avessero finito di utilizzarle.

Non voglio parlare di ciò che hanno subito, di ciò che hanno vissuto in quegli anni, lo potete immaginare e comunque, lo leggerete in questo libro che vi consiglio assolutamente. Voglio parlare di come questo libro è stato pensato e scritto.

Tutta la narrazione è stata fatta in forma di memorie. Un po’ come se una vecchia signora ci raccontasse qualcosa che le è accaduto tanti anni fa, che ha superato e che ormai, ha elaborato e accettato. Sembra una cosa superflua, ma non lo è.

Probabilmente non so se sarei riuscita a leggere un romanzo dove una bambina poco più piccola di dieci anni, viene affamata, torturata e infettata con dei virus a scopo di studio. In questo modo invece, pur mantenendo l’atrocità della storia, ci arriva edulcorato.

L’autrice usa spesso dei paragoni con fatti e cose moderne per spiegarci magari, l’uso di un’apparecchiatura o la scelta di un capo d’abbigliamento. E in questo modo ci pone, in automatico, come gli auditori a una conferenza, o i nipotini accanto al fuoco che ascoltano i racconti della nonna. Non ci toglie nulla dell’orrore dei campi, ma ci permette di sapere, senza sentirci male.

Le ultime pagine del libro sono una sorta di biografia dell’autrice, scritte però in terza persona. La collocano nel tempo e nello spazio, ci raccontano cosa ha fatto dopo, sia nella vita privata, sia nelle iniziative volte al “che nessuno dimentichi”.

Ci raccontano la sua idea di perdono, e quanto le sia valso, almeno inizialmente, astio e rancore da una parte dell’opinione pubblica.

Consiglio questo libro a tutti, tra l’altro la scrittura fluida e volutamente semplice, lo rende adatto anche ai ragazzi.

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