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Recensione: “La tua forma” di Francesca Bufera

COLLANA: RAINBOW
Titolo: La tua forma
Autrice: Francesca Bufera
Genere: Contemporaneo – M/M
Editrice: Triskell Edizioni
Lunghezza: 244 pagine
Data di Pubblicazione: 8 Luglio 2020

Che succede quando una forza che per natura attira gli altri si scontra con un’altra che altrettanto istintivamente li respinge? È ciò che si domanda Stefano, stakanovista che si divide tra studio universitario e insegnamento. Richiamato da una vecchia conoscente a dirigere con lei una scuola estiva nel Golfo dei Poeti, il suo rigore didattico è motivo di attrito quotidiano con gli educatori suoi coetanei, abituati invece a trattare i bambini con allegria ribelle e colorata.

Nessuno sa che Stefano, dietro la maschera di fermezza, cela un senso di colpa inscalfibile per il modo in cui ha fatto naufragare l’unica relazione importante della sua vita, con un uomo che non vede più da quattro anni. Un’uscita controvoglia, un gatto fulvo e gli azzurri di Porto Venere lo aiuteranno a superare il passato, spingendolo tra le braccia di un nuovo travolgente amore che da due estati, senza che se ne accorgesse, è sempre stato a un passo da lui.

Ho trovato questo racconto molto intrigante, vuoi per la caratterizzazione particolare del protagonista Stefano, vuoi per la capacità dell’autrice di farmi sorridere più volte (cosa non sempre facile), vuoi per l’ambientazione tutta italiana.

È un romanzo che è riuscito a intenerirmi nel profondo, mi ci sono pienamente riconosciuta, dato che ha descritto benissimo il disagio, l’imbarazzo, l’inibizione di una persona che non è per sua natura socievole e che ha imparato a farsene una ragione.

E non posso farci nulla, se mi sforzo di essere diverso, l’effetto è ancora peggiore. Ci sono persone che ispirano la fiducia degli altri a pelle, come te, e ci sono persone come me che appaiono immediatamente sgradevoli, quando va bene invisibili, che sono abituate a impegnarsi due volte di più per scavalcare questa prima impressione sfavorevole, oppure imparano a fregarsene. Io ho deciso di fare così.»

(tratto dal libro)

Stefano è un bacchettone asociale, insopportabilmente attaccato alle regole e timoroso dell’opinione altrui. Non è solo impacciato e incapace di lasciarsi andare, ma ha sfruttato questa sua caratteristica per ricoprire ruoli di controllo, provando piacere nel mettere in riga i suoi sottoposti, reprimendo gli eccessi di libertà e divertimento. Peccato che lavori in un campo estivo, supervisionando gli animatori che intrattengono i bambini.

Scopriremo che questo modo di fare che allontana gli altri non è altro che una un modo per proteggersi dall’essere ferito perché non si aspetta amore dal prossimo.

Pensare di non essere niente per qualcuno e riuscire a un dato punto a diventare speciale per quella persona… mi sembrava un’impresa sovrumana, a cui non ero portato.

(tratto dal libro)

La sua ultima storia sentimentale è drammaticamente fallita dopo molti anni, principalmente perché non solo non ha fatto coming out, ma neppure l’affetto per il proprio compagno era riuscito a convincerlo a scalfire la sua usuale compostezza portandolo a dei gesti di affetto più rilassati. La rottura gli ha lasciato un senso di fallimento e di solitudine che non è riuscito a sanare. Fino a quando entra in scena Marco, uno degli educatori che ogni estate insegna al campo: affascinante, sicuro, divertente, disinibito.

Il modo in cui Marco lo approccia, lo insegue, lo cattura, lo prende all’amo, lo stuzzica a uscire è delizioso, adorabile, dolcissimo. Lo attrae con la sua leggerezza, il suo modo di fare divertente e ostinato, la capacità di insistere senza essere pesante, il modo di fare rilassato totalmente complementare a quello ingessato dell’altro. Marco è il bambino petulante almeno quanto Stefano è il nonno burbero.

Non credevo che potesse esistere una persona come lui. Infatti, per tanto tempo, non avevo voluto crederci.
Solo così avevo impedito al mio corpo di innamorarmene.
Mi avvicinai a Marco, stavolta senza sganciare mai i miei occhi dai suoi. Lui parve confuso, fino a che non mi approssimai cauto a lui e lo baciai, spingendolo contro la parete.

(tratto dal libro)

È stupendo assistere al momento in cui Stefano sboccia in qualcosa di più maturo, consapevole, quando si sforza di lasciarsi andare. Non è una grande svolta epocale, sono momenti, piccoli gesti impulsivi, come la ricerca di un bacio senza riflettere o premere il bottone per fare una telefonata: sottili crepe nella corazza che l’ha ingessato fino a quel momento, come atti di coraggio in cui riesce a essere se stesso. Perché Stefano non è un debole, nasconde una grande personalità, semplicemente non ha mai voluto mostrarla a chicchessia perché non ha mai pensato che ne valesse la pena, e col tempo si è dis-abituato alle relazioni sociali.

La solitudine, come indole, è strana. Come qualcosa da cui non puoi uscire. Finché me ne stavo per conto mio, provavo un senso di incompletezza sottotraccia, il bisogno indefinito di immaginare la persona che mi portasse finalmente in salvo dalla mia campana di vetro a porte chiuse. Quando però mi sforzavo di entrare in contatto con gli altri, era peggio. Perché lì, in quel preciso istante, toccavo con mano che la solitudine non era solo una condizione da cui volendo potevo uscire, ma un mio modo di essere che non poteva essere soffiato via, che mi rendeva semplicemente inadeguato alla relazione sociale. Ero fuori sincrono. Non puoi privarti della solitudine quando la solitudine è una tua caratteristica appiccicata addosso quanto, che so, i capelli rossi. Puoi viverla come una maledizione, ma lì resta. Più entri in contatto con gli altri, più i contorni netti che ti separano dal mondo divengono evidenti.

(tratto dal libro)

Il modo in cui Stefano si abbandona all’altro e si svela riga dopo riga fino a diventare pienamente se stesso ci intenerisce come l’immagine di un pulcino che si scrolla di dosso il bagnato. È qualcosa di dolcissimo, anche se il racconto non sfrutta questi sviluppi per calcare sul melodrammatico o commovente, puntando invece sempre a mantenere un tono scanzonato, leggero, divertente. Non mancano battutine, modi di alleggerire i momenti troppo seri o intensi. Uno stile che permette una lettura rilassante, piacevole, capace di far sorridere, sdrammatizzare.

«Lo sai,» dissi ancora accigliato, «ti direi che suona come un ammasso di stronzate, se non fosse una descrizione abbastanza plausibile di quello che ho vissuto anch’io.»
«Vedi che siamo in sintonia?» esclamò vivace.
«Sì, nell’essere due idioti.»
«Pur sempre sintonia.»
«È comunque la dichiarazione più assurda che abbia mai sentito.»

(tratto dal libro)

Uno stile che ho amato davvero molto, calato in pieno sull’ambientazione tutta italiana, alle Cinque Terre, e su personaggi “nostrani”, senza americanismi o frasi rubate: si gioca in casa e lo si sente, lo si respira.

Ho adorato i personaggi così particolari, perfino estremi nelle loro peculiarità, ma capaci di catturare la nostra tenerezza, di farci appassionare. E ho apprezzato anche la schiettezza con cui è stato affrontato il tema dell’uscire allo scoperto, senza retorica, mostrando gli effetti plausibili della discriminazione sociale o professionale che ne possono conseguire.

«Posso passarci le dita dentro, vero?» domandò alle mie spalle col tono di un bambino in un negozio di caramelle gommose assortite.
Ebbi una scarica di brividi. «Fa’ quello che vuoi, ma non c’è bisogno di tutta questa enfasi…»
Prima ancora che potessi terminare le ultime due sillabe della frase, avvertii il tocco lieve della sua mano sulla testa e persi il contatto con la realtà. Le sue dita forti, ma dolci, si fecero largo come un pettine fino alla mia cute, trattenendo ciocche di capelli tra le nocche senza farmi alcun male. Mi ritrovai a chiudere gli occhi, abbandonato, non lottando più.

(tratto dal libro)

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