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Recensione: “La Ragazza di Cracovia” di Pam Jenoff

In una Cracovia sconvolta dall’occupazione nazista, Emma e Jacob, giovani ed ebrei, sono costretti a separarsi dopo poche settimane di matrimonio. Lui si unisce alla resistenza mentre per lei inizia la difficile vita del confinamento nel ghetto. Ma quando, nel cuore della notte, viene fatta fuggire e portata da una parente cattolica di Jacob, Krysia, Emma deve assumere una nuova identità sotto il nome di Anna Lipowski, una gentile. La sua situazione già precaria si complica quando conosce un alto ufficiale nazista, granitico e affascinante, che la assume come sua assistente.

Indotta dalla resistenza a sfruttare la propria posizione per ottenere accesso a informazioni riservate, Emma deve compromettere la propria sicurezza, e i propri voti nuziali, per aiutare la causa di Jacob. E mentre le atrocità dell’Olocausto si intensificano, si fa più intenso anche il rapporto di Emma con il Kommandant. Del resto, questi sono tempi in cui le lealtà sono messe alla prova. Tempi che esasperano fragilità ed eroismi umani, e in cui le sfumature di grigio, tra il bianco e il nero, sono infinite…

Essere uno straniero nella città che si è sempre chiamata casa. È quello che succede a Emma e Jacob una volta sposati. A venti giorni dall’invasione tedesca in Polonia, l’esercito polacco è sconfitto. Da un giorno all’altro le strade di Cracovia si riempiono di carri armati e soldati tedeschi. In questo scenario conosciamo la protagonista del libro, Emma Gershmann, figlia di un fornaio ortodosso, che perde il suo posto in biblioteca, mentre a suo marito, Jacob Bau, non è più concesso frequentare l’università, come a tutti gli altri ebrei.

Il mondo conosciuto era scomparso dalla sera alla mattina.

Jacob, figlio del sociologo Maximillian Bau, poiché fa parte della Resistenza ai nazisti, è costretto a fuggire e nascondersi. Per proteggere la moglie, le chiede di bruciare il certificato di matrimonio ebraico che, a causa della guerra, non avevano ancora registrato presso le autorità civili e di nascondere gli anelli nuziali.

Dopo solo due mesi di matrimonio, Emma rimane sola quindi, non sapendo dove andare, è costretta a vivere con i genitori nel ghetto ebraico, un’area di Podgorze chiusa con un muro, dove tutti gli ebrei dei villaggi intorno a Cracovia avevano avuto l’ordine di trasferirsi.

Da questo momento, attraverso gli occhi di Emma, ho potuto assistere a tutte le atrocità vissute in questo particolare periodo storico. Questa giovane donna, coraggiosa e intelligente, si ritroverà a collaborare con la Resistenza per amore dei suoi affetti più cari e di tutti gli ebrei relegati nel ghetto.

Scelta. C’è sempre una scelta. Dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni. È l’unico modo in cui possiamo evitare di diventare vittime e mantenere la nostra dignità.” Questo flusso di coscienza accompagnerà Emma durante tutto il corso del libro e la ragazza originaria di Cracovia si ritroverà più volte a domandarsi cosa è giusto e cosa è sbagliato e quanto le proprie azioni la facciano sentire coraggiosa oppure sporca.

Capelli chiari, accento giusto, vestiti anonimi, Emma è scappata dal ghetto e diventa Anna Lipowski, l’orfana cattolica di Gdsansk, (Polonia nordoccidentale) maestra di scuola che si fa passare per la nipote di Krysia, la zia di Jacob, una cattolica benestante che le offre ospitalità.

Krysia è un personaggio che ho ammirato tantissimo: questa signora, nel vero senso del termine, sacrificherà la sua vita per proteggere Emma e Lukasz, il bambino di tre anni, figlio del rabbino scampato a morte certa, che la ragazza dovrà far credere sia il suo fratellino.

Questa nuova famiglia, durante uno scorcio della loro vita quotidiana, mi ha fatto comprendere come si può apprezzare la vita e nascere l’amore, anche attraverso le brutture vissute da tutti loro.

Dulcis in fundo, il Kommandant Richwalder vice del governatore, rappresentante del potere esecutivo, un bell’uomo brizzolato sulla cinquantina, chiede ad Anna Lipowski di diventare la sua assistente personale. Da questo momento Anna assume un ruolo molto importante per la resistenza, potendo accedere attraverso il suo ruolo a notizie confidenziali e della massima riservatezza, conoscendo inoltre benissimo la lingua tedesca. Le sue emozioni sono contrastanti, da un lato è delusa di essere stata abbandonata dal marito, di cui non ha notizie da più di un anno e che la portano a chiedersi cosa lo spinge a tenerlo separato da lei, dall’altro capisce che deve pur far qualcosa per aiutare il suo popolo. Non la aiuta il fatto di conoscere una ragazza, Marta, anche lei facente parte della resistenza, che si rivelerà avere una certa simpatia per il marito.

Il grande amore per Jacob però non le impedisce di tradirlo per la causa … o forse no? L’innegabile parte di sé che ha provato piacere è combattuta, questa reazione chimica provata fin da subito con il Kommandant la porta a desiderare di essere altre persone, in un’altra epoca, in un altro luogo. Vorrebbe non essere sposata, e che lui non fosse un nazista, per sapere se avrebbero potuto avere una possibilità.

La figura di quest’uomo è misteriosa e intrigante, con un passato sconvolgente che mi ha spiazzato completamente. Mi ha lasciato con il fiato sospeso per la sorte di Emma e del suo fratellino, che ormai lei considera come un figlio. Le emozioni che mi ha trasmesso sono molto forti dato che un uomo di buona famiglia di Amburgo, a capo di una compagnia di navigazione ed eroe della prima grande guerra, si ritrova a combattere affianco a Hitler, inizialmente forte e potente, col tempo si rivela un codardo, che lo rende una vittima.

La narrazione non è continuativa, lo scrittore racconta la vicenda interrompendo la storia per catapultare la protagonista in un passato prossimo.

Il finale è all’ultimo respiro con uno spiraglio aperto a varie conclusioni lasciate all’immaginazione del lettore. Le lacrime sono d’obbligo ma la speranza è l’ultima a morire.

Bellissimo libro.

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