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Recensione: Cenerentola: la vera storia della Fata Madrina di Carolyn Turgeon

 

Titolo: Cenerentola: la vera storia della Fata Madrina

Autore: Carolyn Turgeon

Genere: Fantasy

Editore: Dark Abyss

Target: +14

Data di pubblicazione: 19 settembre 2022

Lilian è stata bandita dal suo mondo, si è macchiata di una colpa enorme di cui porta il peso da secoli. Ma cosa può aver desiderato la fata più conosciuta della storia, la Fata Madrina di Cenerentola? La stessa Cenerentola il cui destino è già stato deciso dalle Anziane? Solo un’azione compiuta in nome dell’Amore romperà l’incantesimo che la tiene legata alla Terra. E Lilian lotterà, sospesa tra due mondi, per espiare la sua colpa. Ma le fate esistono realmente? La fiaba oscura di Cenerentola che nessuno vi ha mai raccontato.

Con queste parole, svanì. Sentii il senso di colpa che mi stringeva il collo, scavandomi la strada attraverso la gola, fino alla bocca e alla lingua. Chiusi gli occhi e cercai di pensare a lei, a Cenerentola, a tutto quello che dovevo fare per aiutarla a incontrare il suo destino. Invece, tutto quello a cui pensavo era lui. 

 

Sono rimasta eccezionalmente colpita da questa favola rovescio: un vero e proprio romanzo di formazione introspettivo, con protagonista una fata madrina che ha fallito la sua missione.

L’autrice è stata bravissima a rovesciare le emozioni del lettore rispetto al canonico crescendo incantato delle fiabe, ma lo capiamo solo nel procedere della lettura, quando si entra sempre più nel vivo della tragedia, sia per Cenerentola, ovviamente, che non ha raggiunto il suo lieto fine, ma soprattutto per il dramma e il senso di colpa che la fata madrina continua a portarsi dietro anche dopo decenni.

 

Ero una fata madrina! Ecco chi ero. Non importava che le mie ali non funzionassero e che le mie mani fossero coperte da rughe: nulla importava se non portarla al ballo. Se solo l’avessi capito allora. 

 

La storia fa riferimento alle vicende della tradizionale novella, sì, ma qualcosa è andato storto. La fata madrina si è lasciata toccare troppo dalle emozioni degli umani e desiderio, passione, speranze, gelosia la colpiscono così intensamente da perdere il senno.

Combatte dentro di sé per fare la cosa giusta e rimanere invisibile, ma il calore delle passioni umane è così coinvolgente da portarla a fare scelte sbagliate: da quel momento è bandita dal mondo delle fiabe e costretta a vivere tra noi, a invecchiare in questa sorta di purgatorio struggendosi per alleviare i sensi di colpa cercando di rimediare ai suoi errori per riuscire a tornare a casa.

 

«Ma perché io, madrina?» Le toccai la spalla. «Sei stata scelta» sussurrai. Ignorai la scheggia di dolore che mi attraversò. Costrinsi la mia mano a rimanere morbida e leggera. «Per lui. Stasera sceglierà una moglie e tu, bambina mia, sei stata scelta». Vidi le mie parole farsi strada nella sua mente, facendo mutare tutto il suo viso e, infine, la sua espressione si ammorbidì. Il mio dolore si allargò, fino a diventare un torrente. Era difficile, mi resi conto, sapere dove finiva il mio dolore e cominciava il suo. Potevo sentirlo uscire da lei, mentre le mie parole affondavano. Mi scivolò dentro allora: tutte quelle notti che aveva passato da sola, senza nessuno con cui parlare.

Una caratterizzazione portentosa, quella di un’anziana avvizzita, stanca e piena di acciacchi, rimpianti e solitudine: ben lontana dalle classiche protagoniste alte-giovani-belle-formose a cui siamo abituati, eppure prova ancora gli stessi desideri e gli stessi crucci perché ancora donna, ancora “viva”. Solo più appesantita a causa degli anni, dei fallimenti, del non riconoscersi più rispetto a com’era un tempo e del non piacersi. Alla ricerca di uno scopo e di se stessa, perché l’essere ancorata al suo passato non la aiuta ad accettare il presente. Una fata ben lontana dalla sagoma cartonata e idealizzata dei libri per bambini, che ci trasmette la toccante malinconia del suo vivere quotidiano, dilaniata tra il suo passato fantastico nel mondo magico e un presente fin troppo realistico e squallido.

 

Sembrava che fossi sola da sempre, e più invecchiavo, più mi rendevo conto che c’era qualcosa di primordiale nel mio cuore e nelle mie viscere: un desiderio. Un buco nero nel petto che minacciava sempre di risucchiarmi. 

 

 Affascinante e stordente come l’autrice giochi con la fiducia che il lettore ha riposto nel patto narrativo, certa di averci catturati nella sospensione dell’incredulità proprie di una fiaba, per poi toglierci gradualmente il terreno da sotto i piedi. Fa morire in noi l’illusione fino a quando ci sentiamo avvolti da un tremendo senso di realismo. Uno sviluppo anomalo e disorientante che ci porta a non essere più certi di nulla, se non del dramma interiore di una persona che soffre e che forse non ha più neppure ragione di credere, illudersi, sperare di raggiungere un mondo migliore.

La lettura si conclude lasciandoci addosso un senso di malinconia, di incompiutezza e disillusione che è, questo sì, quasi magico. Tra le righe, la metafora di una vita intensa, dolorosa, tenuta viva da speranza, sogni, passioni; lo scorcio di un attimo di gioia destinato a svanire dopo il dodicesimo rintocco

 

«No» dissi con la voce rotta. «È mezzanotte». Potevo sentire che tutto stava andando in pezzi. Lui che scivolava via da me. Ogni cosa che si spaccava. Lui così fragile. Lei che era fragile.

Che ogni cosa era così fugace, solo pochi secondi. Volevo così tanto stargli vicino e sapevo che non avrei mai potuto esserlo più di così, che questo era ciò che significava essere umani: non essere in grado di fermare il tempo ma di afferrare solo un unico momento. Nonostante il dolore che attraversava il mio cuore spezzato, era tutto così bello, e io ero innamorata di tutto questo. Di tutto. L’orologio suonò dieci. Undici. Dodici volte.

 

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