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Recensione: “Il collezionista di bambole” di Erika Tamburini

Febbraio 1929.

Dopo la strage di San Valentino, altri avvenimenti sanguinosi continuano ad abbattersi su Chicago. La città del vento è in preda al terrore, tenuta sotto scacco da un serial killer denominato il Collezionista di Bambole, un assassino che da quasi quindici anni terrorizza gli abitanti creando macabre bambole umane con ragazzi di strada, che abbandona poi in luoghi caratteristici come se fossero un tassello a completamento della sua opera.

In questo clima di terrore si incrociano le vite di Aidan, il detective messo a indagare sul caso, René, un giovane che vive nella casa di piacere di Mama Blue e che con la donna condivide un terribile segreto e del giovane Hisui, anche lui un ragazzo della casa di piacere.

In una metropoli spazzata dal gelido vento del nord che porta con sé le note della musica jazz, il lamento di vittime innocenti e la voce di una bestia bramosa di sangue e vite umane, è in atto una corsa contro il tempo per evitare che il Collezionista di Bambole colpisca ancora. E ancora.

Salve, Fenici!

Leggendo ogni rigo di questo libro ambientato a Chicago nel febbraio del 1929, troviamo solo violenza, brutalità e oscurità. Lui, il collezionista di bambole, ci accompagnerà da subito con i suoi pensieri malati e ossessivi, le voci nella sua mente ci condurranno in un mondo fatto di pazzia e sangue.

Queste bambole dall’aspetto femminile sono in realtà giovani uomini, spesso con un passato triste e/o violento alle spalle, ridotti a fare una vita di stenti e a prostituirsi. Per questo, ogni detective che negli anni si è occupato del caso non si è mai impegnato abbastanza per scoprire il colpevole.

Ma adesso c’è lui, Aidan Reed, un giovane investigatore molto intelligente, davvero intenzionato a trovare l’assassino. Nella storia è lui, l’unico personaggio, degno di interesse. Tutti gli altri, li ho trovati privi di significato, non so se questo fosse l’esatto intento, ma è certamente quanto ho percepito io addentrandomi in questo thriller.

È ovvio che la monotonia sia dovuta anche al fatto che il collezionista scegliesse ogni ragazzo seguendo il proprio gusto, cercandoli il più simile possibile all’uomo amato, Camil.

L’autrice Erika Tamburini, ha reso la lettura lenta a causa del ripetersi continuo di pensieri alquanto ridondanti, certamente con il chiaro scopo di imprimere nella mente di chi legge una sensazione di soffocamento e malattia mentale. Purtroppo ciò ha conferito molta pesantezza alla lettura.

In conclusione il libro non mi ha conquistata, nonostante siano molto chiare le sensazioni che l’autrice voglia fare provare, in me sfortunatamente non ha suscitato forti emozioni… proprio quelle che di solito cerco nella lettura. Per quanto riguarda l’idea, l’ho trovata interessante, sebbene abbia avuto la sensazione che mancasse qualcosa di fondamentale che non mi ha convinto.

Se siete amanti dei thriller vi consiglio comunque di leggerlo, perché è comunque in grado di suscitare curiosità.

Buona lettura!

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