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Recensione: “Il tatuatore di Auschwitz” di Heather Morris

Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere.

Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.

Ho finito di leggere questo libro il giorno di San Valentino e posso definirlo con una sola parola “imperdibile”. La vicenda è realmente accaduta e il protagonista ha raccontato la sua storia all’autrice, costruendo con lei un grande rapporto di amicizia e di stima: ciò ha permesso di produrre un piccolo, miracoloso saggio storico dove la storia d’amore, di sopravvivenza e di guerra fanno da fil rouge.

Lo scorrere del tempo trascorso da Lale nel campo di Aushwitz è un fiume in cui appaiono i volti e le storie di coloro che gli resero possibile sopravvivere nell’inferno più mostruoso che l’uomo abbia mai creato: le peggiori atrocità sono narrate sempre con molta delicatezza, come se il protagonista non volesse disturbare la quieta coscienza di chi legge, eppure scavano dentro un solco.

La meravigliosa storia d’amore con Gita, la giovane compagna di campo, e gli stratagemmi inventati per godere anche solo di una parola con lei commuovono: ci rendono coscienti di quanto poco facciamo ogni giorno per essere felici e di quanto lasciamo che inutili impedimenti ci intralcino, perché siamo troppo presi dal superfluo e dall’inutile.

Questo è un libro che tutti gli adolescenti dovrebbero leggere per capire il valore dell’amore contro l’odio, del rispetto contro l’odio e il disprezzo verso chi non è come noi e rendersi conto di quanto è importante la devozione per l’altro.

In un mondo di relazioni usa e getta, l’amore di queste due persone, che hanno fatto di tutto per salvarsi e ritrovarsi in un mondo migliore, è un bellissimo esempio.

Al di là della storia in sé, la parte migliore è senz’altro l’appendice, nella quale la scrittrice racconta il bel rapporto costruito con Lale anziano che, alla morte della moglie, si decide a raccontare ai posteri il suo doloroso passato di deportato e tatuatore nei campi di concentramento: ne esce il ritratto di una coppia in fuga che ha faticato molto per raggiungere la serenità.

La seconda parte è invece raccontata in prima persona dal figlio Gary; dalle sue parole traspare tutto l’amore e la serenità che Lale e Gita riuscirono a trasmettere nonostante un passato segnato dall’orrore. Le sue parole mi hanno veramente commossa.

 

 

 

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