Recensione libri

Recensione: L’ingegno e le tenebre di Roberto Mercadini

Titolo: L’ingegno e le tenebre

Autore: Roberto Mercadini

Editore: Rizzoli

Genere: Narrativa contemporanea

Data di pubblicazione: 19 Aprile 2022

 

Pensando al Rinascimento è probabile che vi vengano in mente lo splendore delle città, le opere sublimi, la magnificenza di signori e papi. Aprendo questo libro, mettete da parte ciò che sapete: verrete travolti dallo stupore.
State per cominciare un viaggio nei meandri di un tempo imprevedibile, fatto di voli pindarici e cadute fragorose. Popolato di artisti strepitosi oggi dimenticati, contesse guerriere e frati ribelli. Al vostro fianco in questa avventura, ci saranno due giganti della storia dell’arte destinati a odiarsi per tutta la vita, Leonardo e Michelangelo, la cui rivalità vi accompagnerà lungo il racconto. Entrambi toscani, geniali e precoci, non potrebbero essere più distanti: Michelangelo è capriccioso, perfezionista, trasandato nei modi ma determinato a farsi strada a colpi di scalpello; Leonardo è un uomo dai contorni sfumati, elegantissimo, non rispetta mai una consegna e, tra le tante mansioni, finisce persino a fare il musicista di corte. Perché questa è una storia con tappe straordinarie e inaspettate, tra buie botteghe d’arte e cappelle che esplodono di colore. Un’epoca in cui, come nelle vite di Leonardo e Michelangelo, non ci sono confini tra le luci e le ombre: l’ingegno solare dei gesti perfetti di un artista convive sempre con le tenebre dell’ossessione.
Roberto Mercadini si conferma in queste pagine un narratore d’eccezione, che con una verve fuori dal comune sa far rivivere, scompigliati e umanissimi, i protagonisti del nostro passato e, attraverso scorci mai scontati, ci porta dritti al cuore di un tempo che non smetterà di sorprenderci.

 

 

 

Leonardo è dunque “da Vinci” come lo sono, senza avere la minima parentela con lui, un po’ tutti i presenti alla cerimonia (compreso il prete: Piero di Bartolomeo da Vinci).

Nel giro di un anno sua madre e suo padre si sposeranno; ciascuno con un’altra persona, chiaramente. Per evitare scandali, si cerca qualcuno che possa fare da marito a Caterina e da patrigno al pargolo. E lo si trova: è un tizio tutt’altro che illustre, ma il cui nome ci è giunto con sontuosa completezza anagrafica: Antonio di Pietro Buti del Vacca da Poggio Zeppi, detto l’Attaccabriga. Piero, invece, si sposa con la figlia di un affermato fabbricante di scarpe fiorentino, tale Albiera di Giovanni Amadori.

In seguito, prima che Leonardo abbia compiuto sei anni, Piero lo prende a vivere nella sua casa, cioè lo adotta. Così Leonardo diventa “da Vinci” anche nel senso che è figlioccio del famoso notaio Piero da Vinci. Altra stranezza: come il cognome e la provenienza, anche il padre naturale e il padre adottivo qui non sono due persone ben distinte, ma si confondono. La situazione è sfumata. 

 

Fate i conti di sedere ai tempi delle vostre nonne, dopo cena, nel fienile insieme alle mucche, a raccontarvi storie mentre pelate i salici alla luce delle lampade a olio. Storie di paese, come quella del “figlio storpio del cugino del fornaio che ha sposato la nipote del prete morto ubriaco”, o curiosità sulla natura di soprannomi divertenti, come il Din e il Don della parrocchia tal dei tali, la storia di compaesani noti per vicende, avventure, episodi divertenti o drammatici della comunità in cui vivete o in quelle vicine, come la saponificatrice che ricavava saponi dai corpi di persone che uccideva.

Storie che diventano quasi leggende, tramandate oralmente di generazione in generazione.

Questa è la modalità che usa Mercadini per raccontare le biografie di questo spezzato di Rinascimento che abbraccia non sono solo Leonardo e Michelangelo, che vivono grossomodo nello stesso periodo e che si bazzicano più o meno nelle stesse corti più importanti dell’epoca, ma anche tanti altri personaggi più o meno famosi che fanno parte del loro corollario.

 

Leonardo è un uomo di corte, ha appena passato diciassette anni dagli Sforza; è sempre affabile, amabile, piacevole. Michelangelo no. Michelangelo è uno che non perde occasione per scontrarsi con te, per insultarti, per dirti in faccia quanto ti disprezzi. Dopo avere esasperato il Torrigiano, che gli ha rotto il naso, definirà pubblicamente “artista goffo” il Perugino, che lo cita in giudizio.

Leonardo ha tempi di lavoro immensamente dispersivi: dieci anni sul cavallo degli Sforza (poi distrutto), cinque anni per il Cenacolo (che comincia a disgregarsi appena è stato completato). Michelangelo finora ha onorato tutte le commissioni ricevute in tempi rapidissimi, e quando non aveva commissioni scolpiva qualcosa per conto suo con l’intenzione di venderlo una volta finito. È un toro alla carica, che corre a tutta velocità, e non vede altro che ciò che ha davanti. 

 

Mercadini traccia non solo le biografie, le opere fondamentali, gli stili artistici che contraddistinguono Michelangelo e Leonardo, ma si diverte ad arricchire le storie entrando nei dettagli delle vicissitudini e degli imprevisti, inserendo anche diverse curiosità e retroscena meno noti. Questo rende il libro divertente, ma la sua bravura sta soprattutto nella capacità di dare una chiave di lettura, delle interpretazioni, di proporre connessioni o contrapposizioni tra fatti storici e personaggi. 

È forse proprio questo che definisce uno storico (non solo dell’arte): non solo il sapersi ben documentare, ma anche l’essere capace di elaborare correlazioni, ipotizzare concause; il raccontarci le tappe importanti nella biografia di una icona storica ma anche il farci percepire le pulsioni che l’hanno dilaniato, le passioni che l’hanno spinto, i drammi con cui ha convissuto in relazione con il contesto storico, etico, morale o, più semplicemente, dovendo far fronte a un pessimo carattere, cattive compagnie, antipatie personali, all’essere testardo, megalomane…  

 

Savonarola vuole cambiare la Chiesa prima che diventi una nuova Babilonia, ed è entrato nell’ordine dei domenicani con il preciso intento di mettere un freno alla decadenza morale del mondo. Ha trent’anni quando viene inviato al convento di San Marco in Firenze. Predica con fervore, ma il suo pesante accento emiliano lo tradisce; certe zeta e certe esse inducono più facilmente alla risata che al pentimento. Vorrebbe essere il flagello dei viziosi, ed è solo un buffo ometto venuto da lontano. Si dice profeta e preannuncia sciagure, ma risulta troppo simpatico per essere spaventoso. 

 

È lo stile pungente e ironico che riesce a portare avanti in modo accattivante un romanzo storico biografico senza l’appeal di una fiction avventurosa e romanzata. In tutta onestà, avevo messo in conto di annoiarmi presto, di scoprire che la rendicontazione di fatti passati mi avrebbe ricordato troppo i libri di scuola. E invece mi sono ritrovata a fantasticare, a sorridere, a immaginarmi nel Rinascimento tra papi, duchi, corti e donne virago che alzano la gonna per spaventare i nemici, a chiedermi se Leonardo avrebbe mai consegnato quella particolare (ennesima) opera che si è impegnato infruttuosamente a realizzare, o a formulare nella mia testa le frasi di Savonarola con un delizioso accento romagnolo. Se a scuola sostituissimo i noiosi libri di arte con questo tipo di biografie, se utilizzassimo per dibattere sugli stili artistici la modalità delle comari sul marciapiede che osservano tutto e sparlano di tutti, probabilmente otterremmo più appassionati!

 

 

La sua attenzione è totalmente assorbita. I lavori, appena cominciati, si fermano. E Francesco Sforza passa in secondo piano in favore del suo cavallo, che diventa, a questo punto, il vero protagonista dell’opera. Lo stesso Leonardo si riferisce alla statua semplicemente come “il cavallo”. Non è finita qui. A forza di stare nelle stalle, da Vinci non può fare a meno di notare che sono ambienti sporchi e che sarebbe bello tenerle più pulite. Così lascia perdere l’anatomia equina e si mette a progettare macchine e sistemi idraulici per igienizzare le scuderie. 

 

È stata un’interessante coincidenza aver visto qualche mese fa la serie TV “I Medici”, che mi ha permesso di abbinare dei volti ai nomi e di memorizzare e riorganizzare mentalmente gli eventi in base alla veridicità storica documentata da Mercadini. 

Se la semplificazione televisiva è accattivante e immediata, è anche vero che una riflessione guidata, documentata e approfondita, arricchita dalla competenza di chi sembra conoscere dettagli perfino irrilevanti, non solo dei protagonisti su cui verte il libro ma anche dei discendenti e ascendenti, di artisti correlati o semplicemente contemporanei, permette di aprire un vero e proprio spaccato nel mondo artistico, storico, politico, cortigiano e militare dell’epoca cinquecentesca. Ci permette di confrontare non solo e non tanto le opere dei più grandi geni rinascimentali, ma di mettere a confronto le loro vite, le personalità, le vicissitudini; di apprezzare i loro pregi e difetti nella loro interezza, in correlazione con la complessità della gestione del loro talento artistico e della loro (in)capacità di gestire le relazioni con i committenti.

 

La bottega di un artista rinascimentale è per noi un luogo difficile da immaginare. Dalle descrizioni degli storici, parrebbe simile in parte a un atelier, in parte all’officina di un artigiano, dove si fatica e ci si sporcano le mani; in parte a un collegio, in parte a un museo, in parte a qualcos’altro ancora: una sorta di caverna delle meraviglie, come quelle delle favole orientali, capace di contenere ogni sorta di prodigio dell’arte e della tecnica: dipinti, sculture, scenografie, costumi teatrali, armature da cavaliere, stoffe preziose, specchi curvi per far convergere i raggi del sole e addirittura saldare lastre di metallo. In mezzo a tutto questo sta lui, il maestro, quello col nome; genio della caverna in carne e sangue. Ogni tanto entra un cliente, si rivolge al genio ed esprime un desiderio promettendo un lauto pagamento (si tratta di “aladini” piuttosto facoltosi, una versione della fiaba leggermente più realistica). Il genio esaudisce il desiderio creando un prodigio dell’arte. Ma capita anche che nella caverna entri un aladino giovane e per nulla ricco (proprio come quello della favola) e che costui osi esprimere un desiderio particolarmente audace e avventuroso: diventare un genio a sua volta, allo scopo di aprire, a tempo debito, una caverna per conto suo. 

 

Per quanto le vicende vengano organizzate in modo logico per tracciare parallelismi tra Michelangelo e Leonardo, la lettura segue gli sviluppi cronologici; si indugia in un raffronto non solo caratteriale ma anche generazionale, di maturità creativa artistica. Nel raccontare di loro non si manca di dare pennellate efficaci di ambientazione, si respira sempre più l’atmosfera di quell’epoca, si viene catapultati nei colori, tra gli odori, a calpestare i luoghi; ma entriamo anche negli intrighi di potere, apprendiamo le modalità da sfruttare per ottenere fama e fortuna, per procacciarsi i lavori, o grazie ai quali si verrà ricordati… il tutto condito con un pizzico di ironia.

 

Al tempo degli antichi, si usava un attrezzo di metallo incandescente chiamato cauterio. Ma ora, nei primi anni del Cinquecento, ovviamente nessuno sa più come sia fatto esattamente un cauterio da pittura e come si usi. Eppure Leonardo non è un maestro, non fa quello che sa fare. Fa solo ed esclusivamente quello che non è ancora in grado di fare; perché vuole imparare facendo e fare imparando. 

 

 

 

Articoli Correlati

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio