Recensione libri

Review party con recensione: “La sindrome di Didone : Tracotanza Vol.1” di Christina Mikaelson

Titolo: La Sindrome di Didone: Tracotanza Vol.1 (primo di una Trilogia non autoconclusiva)
Autrice: Christina Mikaelson
Casa editrice: Self-publishing
Genere:
 Young Adult, Romance
Pagine: 413
Prezzo Ebook: 
1,99 £ (in promozione per la prima settimana dell’uscita) / 2,99 £ prezzo pieno
Prezzo Cartaceo: 
14,90 £
Formati: Cartaceo ed E-book
Non Autonclusivo.
Data di uscita: 26 ottobre 2020

Roma 2006.

Cosa faresti se dovessi fingere di essere fidanzata col ragazzo che odi per conquistare quello che ti piace?

Caterina Farnesi frequenta l’ultimo anno del liceo classico. È una ragazza spigolosa, saccente e altezzosa che non vuol perdere tempo dietro ai ragazzi o ad altro che potrebbe distoglierla dal suo adorato studio. Purtroppo ha una cotta per il suo migliore amico Leonardo, a sua volta fidanzato con Beatrice, compagna di banco di Caterina.

Una mattina, Cat scopre un segreto scottante sul ragazzo che odia: il popolarissimo e irriverente rappresentante d’Istituto Adriano Greco. Lui è tutto ciò che lei detesta e approfitterà di questa occasione per ricattarlo e chiedergli di fingersi il suo ragazzo per fare ingelosire Leonardo. Ma cosa succederebbe se la finzione si mischiasse con la realtà e Caterina si rendesse conto che Adriano non è così terribile come credeva?

Un altro passo. Un altro ancora.

Si accorse di aver raggiunto il muro soltanto quando percepì il freddo del cemento premuto contro la schiena. Adriano rimase a una distanza dignitosa, anche se Cat poteva sentire con chiarezza il calore propagato dal suo corpo.

Si chinò su di lei e batté il palmo sulla parete, accanto al suo viso. Quel gesto le fece quasi schizzare il cuore fuori dal petto. Il suo torace si gonfiava e sgonfiava a un ritmo frenetico.

«Puoi dirmi che ti faccio schifo, usarmi per fare ingelosire chi cazzo ti pare, darmi del bastardo, dello stronzo, del pezzo di merda, tutto quello che vuoi… Però questo no» ringhiò feroce, troppo vicino per respirare, troppo vicino per ignorare la sua voce vibrare di delusione o il suo profumo aspro. Troppo vicino per non osservare i lividi sulla sua faccia.

«Non riesco a crederti» sussurrò Cat, scossa da sensi di colpa che forse non avrebbe mai ammesso. Si schiarì la gola per far assumere alla propria voce un timbro più sicuro. «Delle cose che dici non mi fido neppure della punteggiatura.»

Ben trovate, Fenici!

Oggi vi parlerò dell’ultimo romanzo di Christina Mikaelson, giovane autrice nel panorama del romance italiano. La sindrome di Didone altro non è che il primo volume della serie Tracotanza e, almeno personalmente, non vedo l’ora che la scrittrice sforni il seguito!!! Avete presente quelle serie in cui i volumi sono autoconclusivi, ma non del tutto (come ultimamente va di moda), e hanno un sequel anche se non necessario? Ecco, questo libro è l’esatto opposto: non solo riprende l’esempio di saghe come Twilight o quelle della Troisi, le supera alla grande!!! Che rabbia!!! È stato come lasciare un discorso in sospeso proprio sul più bello, o, metafora ancor più calzante, come essere interrotti da amici/parenti/figli mentre si sta facendo il miglior sesso della propria vita. Perché, sì, questo è uno dei più bei romanzi sulle cotte adolescenziali che io abbia mai letto! Fanculo Moccia, decisamente troppo teatrale e stucchevole (però lo ammetto, apprezzo il suo modo di scrivere), la Mikaelson, pur trattando argomenti simili, lo ha ampiamente superato e ha centrato in pieno il suo obbiettivo, catturando un pubblico decisamente eterogeneo.

Ma passiamo per un momento alla trama. L’intero romanzo, ambientato nella Roma del 2006, s’incentra sulle vicende sentimentali di Caterina Farnesi (“Cat” per gli amici, o “Ranocchietta” per il coprotagonista) e Adriano Greco, entrambi studenti modello molto ambiziosi e rappresentanti, lei di classe, lui d’istituto. I due si conoscono alla festa di Capodanno 2005 a casa di lui, dove iniziano a parlare e finiscono col tromb… scusate, col fare sesso. MA, ed è un grande ma, Cat è vergine ed essere sedotta e abbandonata dal bel pallanuotista (ebbene sì, gioca a pallanuoto… immaginatevi il fisicaccio) mentre era sbronza non è esattamente quello che voleva accadesse, soprattutto se il suddetto dopo si comporta da stronzo.

Comincia così il loro rapporto d’odio, una vera e propria guerra all’ultimo sangue, ben nota a tutta la scuola. Una sera, però, tutto cambia. Ma andiamo per gradi.

Caterina, dopo la fatidica festa del 2005, si scopre stracotta del suo migliore amico, Leonardo, che poco meno di un anno prima, è stato “gentilmente” cornificato dalla ex con nientepopodimeno che il suo (anche lui ex) migliore amico, Adriano ovviamente. Adesso (2006) sta con Beatrice, carissima amica e compagna di banco di Cat. Insomma, già qui sembrerebbe Beautiful ma, fidatevi, è solo apparenza.

In tutto questo trambusto, c’è un minuscolissimo problema: Caterina Farnesi è considerata alla stregua di una regina di ghiaccio, fredda, frigida e incapace di provare alcuna emozione. Per questo non è esattamente ben voluta in tutta la scuola. La ragazza, inoltre, è così chiusa, che fatica persino a esprimersi con Leo. Il ragazzo, di conseguenza, è convinto che Cat sia completamente disinteressata a lui, inoltre inizia a credere seriamente alle dicerie, messe in giro da alcuni compagni, secondo cui l’amica sia lesbica. Non pensate nemmeno per un momento, però, che Adriano sia meglio: quella dello sciupa femmine accanito è tutta una facciata. Lui e Cat sono molto più simili di quanto ci si aspetti.

Ma torniamo a noi. La ragazza, origliando per puro caso la conversazione che l’amico intratteneva con Bea, sull’argomento “Cat è lesbica”, va su tutte le furie; così, appena vede che la coppia si sta organizzando per una serata in discoteca, decide di partecipare, nonostante detesti l’ambiente. Vuole dimostrare a Leo e a tutti gli altri che si sbagliano di grosso sul suo conto. Ahimè, le cose degenerano e, tra un ricatto e qualche minaccia, Caterina si ritrova a fingere di essere fidanzata col tanto ambito Adriano.

Come vi dicevo prima, la storia si “spezza” improvvisamente proprio quando tra i due comincia a esserci una certa intesa e un primo affetto. Iniziano ad aprirsi tra loro, svelandosi segreti, esprimendo emozioni e sensazioni.

È un piacevole e graduale crescendo. Dimenticate il solito colpo di fulmine. Fino all’ultima pagina la protagonista sarà sempre indecisa tra i due bell’imbusti, non pienamente convinta di amare Leo, ma nemmeno più sicura di non provare nulla per il rappresentante.

Delicato e molto dolce, inoltre, è il modo in cui la Mikaelson affronta il tema dell’omosessualità di uno dei personaggi secondari, in un tempo in cui non era così scontato che fosse accettata.

È un romanzo semplice, dai toni dolceamari, che racconta di un’adolescenza ormai agli sgoccioli e quasi del tutto matura, priva di quelle esagerazioni tipiche dei romanzi del genere. E, soprattutto, mostra tutta la difficoltà che un/a ragazzo/a può avere nell’aprirsi agli altri. Non vi è l’esasperazione delle emozioni, non vi è la teatralità che accompagna molti autori che scrivono di questo. È tutto molto reale, persino nei gesti e nelle azioni descritte. Nei romance, di solito, persino uno sfiorarsi di mani è considerato degno del migliore degli orgasmi, creando un’aspettativa e una suspense infiniti. Ne La sindrome di Didone, invece, ho rivisto molto del quotidiano, molti gesti che ognuno di noi ha compiuto da adolescente; non sono mai sminuiti, ma nemmeno sublimati o elevati all’inverosimile, ed è una cosa che ho amato tantissimo!

Un’altra cosa che ho apprezzato, è lo sviluppo di più storie; ci sono, sì, due protagonisti, ma i loro amici e compagni non sono semplici comparse: ognuno ha il suo piccolo spazio, i pensieri di tutti sono messi su carta. Narrato in terza persona, il romanzo, quindi, non s’incentra su uno o due pov, ma ne analizza di molteplici davvero ben strutturati, tra l’altro; non c’è mai un accavallamento, mai un imbrogliarsi di pensieri. Come direbbe Alessandro Borghese, io do un DIESCI!

Lo stile è un po’ “altezzoso”, ma nel senso piacevole del termine, ha un linguaggio ricercato, ma di facile interpretazione. L’editing, esclusi esattamente DUE errori di battitura, è ECCELLENTE!!!

Unica pecca, a mio avviso sorvolabile, è la presenza del latino e del greco. Mi spiego meglio. L’autrice usa alcuni termini in greco durante una scena in cui i giovani studiano insieme (ahimè, si limitano a quello), ma sebbene vi sia la traduzione, non vi è la trasposizione in alfabeto latino della parola. Inoltre, i titoli di tutti i capitoli sono scritti in latino, SENZA la traduzione. Ora, va bene che tra medie e liceo ho fatto otto anni di latino, ma cara la mia Mikaelson, mica me lo ricordo!!! Non mi sarebbe dispiaciuta una piccola noticina con la traduzione, mettiamola così.

Al di là di questo, però, il libro è davvero eccezionale, e non vedo l’ora di avere tra le mani il secondo volume!!! STRACONSIGLIATISSIMO!!!

Alla prossima, Fenici!

 

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