Bentornati trekker e amanti della Fantascienza! Eccoci alla seconda parte del primo episodio “That hope is you”, poi nominato “Far from home”, di Star Trek Discovery questa volta incentrato completamente sull’equipaggio dell’astronave Discovery dispersa nel wormhole temporale.

Progetto grafico a cura di Maria Grazia
Nella scorsa puntata, abbiamo assistito all’arrivo di Michael Burnham (Sonequa Martin-Green) che, sfruttando la potenza dell’armatura Red Angel, si dirigeva nel territorio inesplorato per eccellenza: il Futuro, per scongiurare il pericolo che l’intelligenza artificiale Control distruggesse la vita nell’universo.
Michael è un personaggio in crescita lungo questa serie: contravvenendo al classico canone di Star Trek, (saga che, ci tengo a ricordarlo, è iniziata nel 1969, vi rimando alla mia introduzione generale sull’universo Star Trek) si era presentato in modo negativo durante la prima stagione, come un’appartenente alla Flotta Stellare indisciplinata e tormentata. Alla fine della seconda stagione, sarà proprio Michael, cresciuta positivamente, con la sua scelta altruistica di andare nel futuro, a salvare la vita nell’universo; e la Discovery deciderà di non lasciarla sola.
Vi ricordo che anche questa terza stagione presenta una serie di puntate non autoconclusive come nelle precedenti serie: la storia si sviluppa lungo tutti gli episodi. Nella scorsa, l’azione si era concentrata interamente sull’arrivo di Michael, la sua conoscenza di Book (David Ajala) e la loro avventura nella futuristica città alla Blade Runner. L’unica cosa certa, era che della Discovery non c’era traccia.
In questa puntata l’azione è concentrata sull’equipaggio dell’astronave, e ignoriamo completamente cosa stia avvenendo a Michael. A me ha vagamente ricordato la sensazione che provavo mentre leggevo Il Signore degli Anelli, in cui Tolkien “abbandonava” alcuni personaggi per narrare per pagine e pagine di altri e, alla fine, quando li si ritrovava, bisognava quasi andarsi a rileggere le pagine precedenti per ricordarsi dove li avessimo lasciati. Credo che, se questo non fosse un telefilm, ma avessi dovuto leggere, mi sarei ritrovata a chiedermi intensamente: perché non sappiamo nulla di Michael? Che cavolo le sta succedendo? Perché la gran parte dell’azione è su Saru (Doug Jones) e Tilly (Mary Wiseman) immersi in un’atmosfera fanta-western?
E, soprattutto, perché Saru chiama nemica la navicella che, di fatto, sta liberando l’astronave dalla morsa del ghiaccio parassita dell’inospitale pianeta “western” nel quale sono precipitati?
Non fraintendetemi, l’episodio è apprezzabile e il finale ben orchestrato, è un buon prodotto di Fantascienza, gli effetti speciali sono spettacolari, l’ambientazione islandese è congeniale alle atmosfere dei nuovi pianeti che ci vengono mostrati ma credo che, per una trekker come me, che ha guardato e riguardato tutte le stagioni e i film (5 serie dalla Classica a Enterprise, oltre a Discovery e Picard, la serie a cartoni animati, e 13 film), sarà molto difficile affezionarsi a questi personaggi e a questa storia, come invece è successo con tutte le precedenti.
Come ho già ribadito in più di una recensione, qui di Star Trek non c’è molto. La maggior parte dei trekker sta apprezzando di più Star Trek Picard che Discovery, perché ci riporta alle atmosfere amate pur riservandoci delle nuove sorprese.
Ecco, a me Star Trek Discovery piace se non lo paragono al resto della saga. Allora posso apprezzare meglio le atmosfere più cupe, i personaggi contrastanti, il politicamente corretto (ma per me lezioso) dell’inserire personaggi omosessuali che si baciano alla grande (il sergente Stamets/Anthony Rapp e il dottor Culber/Wilson Cruz), le scene di sesso non tanto all’acqua di rose, la cattiva ma in fondo giusta che si vanta di essere pansessuale (Philippa Georgiou/Michelle Yeoh), il capitano malvagio (Gabriel Lorca/Jason Isaacs), l’assenza di quella magia che pervadeva un episodio quando c’era di mezzo il Ponte Ologrammi.
Il Capitano Kirk, che era anche il più “sopra le righe”, credo si stia rivoltando nella tomba là su Veridiano III.
Star Trek è stato un precursore, pur essendo un’opera di intrattenimento, è entrata nell’immaginario collettivo e ha recato con sé importanti messaggi sociali, etici e politici, per esempio:
- per la prima volta nella storia della televisione, durante il periodo storico della Guerra Fredda e dopo la seconda guerra mondiale, Star Trek mostra un giapponese, un’africana, diversi americani, uno scozzese, un alieno e un russo, che lavorano insieme alla ricerca di nuove culture, in pace.
- E sempre in Star Trek, va in onda il primo bacio interraziale, tra Kirk e Uhura.
- Uhura, prima donna di colore a rivestire un ruolo chiave nella fiction, diviene un personaggio talmente caro al pubblico, che persino Martin Luther King interviene affinché l’attrice Nichelle Nichols, non abbandoni la serie.
Insomma, niente in contrario all’inserimento di personaggi e situazioni “scottanti” ma non riesco a scrollarmi di dosso l’idea che gli sceneggiatori di Star Trek Discovery abbiano una lista da spuntare, che forse non credano davvero nelle battaglie che portano avanti, come ci credeva Gene Roddenberry. Me li immagino a una tavola rotonda consultare la famigerata lista: “Il genderqueen ce l’abbiamo? Ancora no? Bene, inserito nella terza stagione!”
Gli sceneggiatori hanno dimostrato di aver tagliato con le due stagioni precedenti, probabilmente a causa della rivoluzione popolare dei trekker nostalgici, e durante la prima puntata hanno mostrato di aver avuto delle buone idee: Michael e l’equipaggio della Discovery, e noi con loro, ci muoviamo in un universo totalmente sconosciuto, non possiamo fare paragoni con le precedenti serie perché nessuna era stata ambientata così avanti nel tempo, neppure qualche puntata costruita sulle incursioni temporali, mi smentiscano gli altri trekker, mi pare che la più remota nel futuro fosse durante Vojager nel ventinovesimo secolo.
Ecco la furbizia degli sceneggiatori: schiaffarci tutti, parafrasando la frase cult della saga: laddove nessuno di noi è mai giunto prima.
Spero però che continuino a tener ben presente che lo spirito della saga, i suoi valori, i suoi insegnamenti, dovrebbe permanere nei secoli dei secoli. Altrimenti potevano chiamare questa serie in qualunque altro modo ma non propinarcela come Star Trek.
Questa serie è la più cupa fra tutte perché, anche nei momenti peggiori, nelle precedenti, la speranza permaneva, e si confidava che, alla fine, i buoni avrebbero vinto, nessun amato personaggio sarebbe morto o si sarebbe rivelato un doppiogiochista, i buoni ideali della Federazione non sarebbero stati abbandonati neppure per salvarsi la vita.
Certezze.
Buone certezze.
Star Trek Discovery me le aveva già disintegrate nelle precedenti stagioni, ora vediamo come si muoverà in questa nuova epoca e nuovi mondi in cui tutti loro sono vetusti, in cui la Federazione non esiste più se non per un manipolo di esuli.
In questa epoca apocalittica che stiamo vivendo nella realtà, e che mi ricorda paurosamente L’Ombra dello Scorpione di Stephen King (di cui, tra l’altro, stanno realizzando la miniserie), io ho bisogno di una nicchia accogliente e tiepida nella quale trovare riparo e conforto, ragione per la quale mi sto riguardando le sette stagioni di Vojager.
Discovery è un’incognita, attendo la prossima puntata per vedere se ci catapulterà in un abisso.
Vi lascio, come sempre, con l’amato saluto vulcaniano: Lunga vita e prosperità!