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Recensione: Se questo è un uomo di Primo Levi

 

 

 

 

 

Se questo è un uomo descrive l’epopea vissuta da Levi, dalla deportazione in un campo di lavoro di Monowitz, un lager satellite di Auschwitz, alla successiva liberazione nel gennaio del 1945. Il libro, pensato come una testimonianza nei confronti dei “sommersi” (ovvero di chi non è sopravvissuto alle atroci condizioni di vita del campo), viene scritto di getto da Levi e, dopo essere stato rifiutato dall’editore Einaudi, viene pubblicato da De Silva nel 1947. Il successo arriverà nel 1958, quando Se questo è un uomo, con l’aggiunta di alcune pagine, verrà ripubblicato da Einaudi. Il testo è suddiviso in diciassette capitoli.

 

 

 

Quando un uomo smette di essere tale?

Chi può decidere quale sia il bene o il male assoluto?

Cosa fare quando il mondo che conoscevi o bramavi non esiste più?

Che cosa rimane dell’esistenza se ogni speranza è persa?

Sopravvivere… l’uomo trasformato in bestia sopravvive davanti alla degradazione, con disperazione resiste all’atrocità, perché tutto può esserci sottratto, anche la vita, ma l’anima e la coscienza non muoiono, non si spengono, combattono.

E poi la domanda che chiunque di fronte a tanta morte, inquietudine e pazzia si pone… perché? Perché un uomo, uno tra tanti, decide di annientare se stesso e gli altri diventando artefice e carnefice dell’oblio…

Se questo è un uomo è un libro autobiografico, che narra con immediata schiettezza la disumanità che il protagonista, poiché ebreo e partigiano, ha vissuto durante la Seconda guerra mondiale, dalla sua cattura, al viaggio devastante per giungere a uno dei Lager più crudele e famoso al mondo, Auschwitz.

Una scritta torreggia all’entrata di questo luogo “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi). Auschwitz, una parola che fa accapponare la pelle a chiunque, che mostra di fronte ai propri occhi immagini indicibili di esseri umani torturati, uccisi nell’anima e nel corpo, deportati per lavorare, usati perché non degni di stare al mondo… persone trasformate in numeri. L’odio era talmente immenso che ucciderli non sarebbe bastato, la segregazione ha permesso loro di annientarli.

Quel voi all’inizio del libro richiama un immediato contatto con il lettore, perché l’autore sta proprio parlando con ognuno di noi, con le nostre coscienze.

Le descrizioni crude di uomini separati dai propri cari, costretti a sopravvivere nel campo di concentramento, non prigione ma luogo di tortura, rendono questo libro talmente reale che è impossibile non commuoversi, entrare in empatia con le persone citate è inevitabile e ferisce profondamente. Freddo, fame, paura di scoprire che quella mattina la selekcja porterà alcuni alle camere a gas.

Una scrittura veloce, che vuole imprimere sulla carta ogni dettaglio, ogni emozione che rende questo libro, grazie a un lessico colto ed eloquente, un’opera nella sua vera accezione del termine.

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per un pezzo di pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi riuscì a sopravvivere nel corpo a ciò che gli fu inflitto, ma l’animo non poté dimenticare. Durante la sua vita continuò a portare con sé ferite che condizionarono per sempre la sua esistenza.

Credo che alcuni libri, a prescindere dall’esattezza storica e da chi ha compiuto e subito, siano di fondamentale importanza. È necessario trasmettere il messaggio ai posteri, in modo che i nostri figli sappiano che la crudeltà umana esiste; la storia si può ripetere, sempre, come una maledizione. Sta a noi coltivare un seme d’amore anziché uno pieno di odio, generato dall’invidia o dalla brama di potere.

La memoria, questa è la chiave che l’opera di Primo Levi ci vuole regalare, la memoria per non dimenticare, la memoria per non ripetere gli errori del passato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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