♦ Traduzione a cura di Emanuela Graziani
Triskell Edizioni, acquistabile qui ♦
L’eccitante conclusione di “Liberazione”.
Il fuoco infuria nella città di Davlova, sulla scia di una rivoluzione sanguinosa. L’alta società, che aveva instaurato una tirannia, è stata deposta. Nel mezzo del caos, Misha e Ayo scappano sulla barca di Miguel Donato e fuggono attraversando il mare, diretti alla lontana città di Deliphine. Misha ha sognato per tutta la vita di lasciarsi Davlova alle spalle, ma adesso l’unica cosa che vuole è tornare a casa. Non sa se la città è ancora in piedi o quanti dei suoi amici sono sopravvissuti. Ma prima di tornare a Davlova e trovare il suo posto nel paesaggio distrutto dei fossati, dovrà fronteggiare una nuova minaccia a Deliphine: la Dollhouse. Anche a Deliphine, la maggior parte delle persone crede che la Dollhouse sia un mito, ma Misha sa la verità. La Dollhouse è reale. È spietata. Ha i suoi piani. E rivuole Ayo.
Prima di iniziare a scrivere questa recensione ho riletto quella fatta per il precedente libro e, facendolo, mi sono nuovamente sentita avvolta dall’atmosfera cupa che lo permeava, non è però il caso di questo sequel. Certo le situazioni narrate non sono felici e spensierate, ma quell’angoscia da cui si veniva colti fin dalle prime pagine nel precedente qui è molto mitigata.
Con la morte di Donato e la loro fuga da Davlova in fiamme, e preda della rivoluzione, il destino sembra dare una nuova occasione a Misha e Ayo, ma non tutto è così semplice. Riusciti a fuggire, mentre fanno rotta verso Deliphine, i nostri protagonisti si trovano a combattere una battaglia personale molto forte: Misha deve prendere le distanze dal suo passato di borseggiatore, di prostituto, e deve superare il dolore per la morte per mano sua di Donato, che, nonostante la sua crudeltà, aveva in un certo senso amato; nello stesso tempo deve proteggere Ayo e fare i conti con i sentimenti che prova nei suoi confronti.
Ayo è una creatura difficile da “catalogare”: dall’aspetto di un dodicenne, voluto mantenere tale artificialmente, ma con la maturità di un ventenne, sua età reale, è una persona a cui è stato impiantato un chip dalla Dollhouse (una sorta di fabbrica di giocattoli sessuali per ricchi), e a cui è stata negata la possibilità di scegliere: non può provare piacere se non pronunciando una parola specifica, e si può letteralmente “spegnere” pronunciandone un’altra. Ayo che, nonostante tutto quello che ha subito, è rimasto un’anima pura e solare, che ama Misha e combatte aspramente contro il “punto nero” impiantato nel suo cervello che lo spinge a compiere azioni contrarie al suo volere. Una lotta che lo porta a compiere un atto estremo che lo rende finalmente libero.
La figura che si eleva su tutte le altre è comunque Misha, anche in questo secondo romanzo non possiamo fare altro che amarlo: malgrado il suo passato è riuscito ad andare oltre, non ha ceduto all’egoismo, alla cattiveria, al menefreghismo, come sarebbe stato facile alla maggior parte delle persone. Il suo altruismo, la sua generosità fanno da faro e illuminano una Davlova in ginocchio, che non riesce a riprendersi dalle ferite inferte dalla rivoluzione, e che è pronta a sostituire semplicemente una classe dirigente con un’altra.
È Misha, con Ayo, l’artefice del vero cambiamento, anche se per farlo deve affrontare una tempesta, seguendo il consiglio che gli è stato dato: “L’unica via d’uscita è attraverso“.
Queste mie poche parole sono semplicistiche e certo inadeguate per far capire la complessità delle situazioni e degli stati d’animo presentati, ma non voglio correre il rischio di eventuali spoiler. Il mio unico consiglio? Leggetelo, è la degna conclusione di questa stupenda duologia. Non avete ancora letto il primo? Rimediate.
Entrate a Davlova, non ve ne pentirete.
Recensione:
Editing: