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Recensione: “Una ragazza bugiarda” di Ali Land

Denunciare la propria madre a soli quindici anni può essere straziante. Dopo quella decisione, la vita di Annie è completamente cambiata. Ora ha un nuovo nome, Milly, e vive insieme alla sua nuova famiglia: Mike, la moglie Saskia e la figlia, Phoebe. Adattarsi ai loro ritmi e alle loro abitudini è molto più complicato di quanto avesse pensato. E il pensiero del processo che si avvicina, nel quale sarà chiamata come testimone, non le dà tregua. Mike, che inizialmente aveva richiesto l’affidamento di Milly sperando di poterla aiutare, è sopraffatto dai suoi impegni di psicoterapeuta. Saskia riesce a malapena a gestire la figlia naturale, e non è in grado di occuparsi anche di quella adottiva. Phoebe ha reagito malissimo all’arrivo di Milly: è sempre di malumore, vorrebbe che se ne andasse e, per rivalsa, comincia a maltrattarla, spalleggiata dalle amiche. Milly si sente isolata e in cerca di sostegno. Avrebbe assoluto bisogno di qualcuno che le desse ascolto: ci sono segreti che riguardano i crimini di sua madre, di cui sa molto di più di quanto non abbia confessato. Eppure nessuno sembra disposto a farlo…

Quando Milly viene presa in affido temporaneo da Mike, psicoterapeuta, e da sua moglie Saskia, giovane, bella e depressa, ha quindici anni e un passato doloroso da cui difendersi. Nella sua nuova vita c’è Phoebe, figlia dei genitori affidatari, una coetanea dall’apparenza perfetta: popolare a scuola, capitano della squadra di hockey, brillante, affascinante, crudele. A causa sua Milly diventa protagonista di scherzi malvagi e vittima dell’emarginazione, nella cornice di una costosa scuola femminile di Londra. Ma la realtà rende tutto ancora più grottesco, perché Milly non esiste. Il suo vero nome è Annie, testimone chiave dell’accusa contro una donna che sarebbe lusinghiero definire tale, per la quale l’appellativo più adeguato è mostro. L’imputata è accusata dell’omicidio di nove bambini, torturati e seviziati, prima di essere nascosti senza vita nella cantina della sua casa nel Devon. La nuova identità di Annie è necessaria per nasconderla e proteggerla agli occhi del mondo, almeno fino al giorno del verdetto, perché Annie è colei che ha denunciato quell’orribile assassina, ma è anche, e soprattutto, sua figlia. Inizia così un lungo periodo di preparazione al processo, in cui Milly ingaggia la sua guerra interiore tra le due entità che si contendono la sua anima: da una parte la ragazza cattiva, geneticamente simile a sua madre, obbligata ad assistere ai suoi orrori, di cui diventa complice tormentata, dilaniata tra repulsione e amore; dall’altra la bambina abusata e violentata, consapevole della sua parte buona, desiderosa di essere diversa dalla donna che l’ha messa al mondo. Il titolo in lingua originale, Good me Bad me, rappresenta alla perfezione le due metà di cui è fatta l’essenza stessa dell’uomo, tra le quali Milly si dibatte per trovare sé stessa.

“È una leggenda dei nativi americani, uno cherokee racconta a suo nipote che dentro ciascuno di noi c’è una battaglia tra due lupi. Uno è il male, l’altro il bene. Il ragazzo gli chiede quale lupo vince. E lo cherokee gli risponde: quello a cui dai da mangiare”.

Attraverso delusioni, speranze, desideri e una continua battaglia mentale, Milly arriverà a capire quale parte di sé prevarrà sull’altra.

Il romanzo è un autentico thriller psicologico, la scrittura spietata dell’autrice risucchia il lettore tra le maglie più strette dell’anima della protagonista, rendendolo partecipe del suo tormento e del suo tentativo di catarsi, fino ad arrivare ad un finale assolutamente adeguato alla tensione emotiva che permea le pagine e alla nera essenza che rappresenta il significato dell’intera storia.

La violenza è tanta ed estremamente feroce, ma viene narrata per accenni, quasi con delicatezza, lasciando a chi legge la libertà di immaginarla secondo la propria disposizione d’animo e, per questo, ancora più terrificante. La storia di Milly/Annie rende il passaggio dall’angoscia, alle lacrime e infine al profondo sconcerto, di una naturalezza disarmante.

Cercavo da tempo un libro che mi costringesse a terminarlo in poche ore, impedendomi di spezzare quel senso di aspettativa e di suspense che prende vita tra le pagine. Finalmente l’ho trovato.

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Voto Lady Kei 5

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