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Recensione: La lettera perduta di Auschwitz Anna Ellory

Una storia d’amore tenuta nascosta per oltre cinquant’anni.

«Il potente debutto di Ellory […] rivela la scomoda verità su queste donne e sulla loro forza, il sacrificio e la resistenza. Vi commuoverà.» – Heat Magazine

«Un romanzo straordinario e toccante che mi ha catturato ed emozionato fino alla fine.» – Mary Chamberlain, autrice di La sarta di Dachau

Berlino, 1989. Mentre il muro crolla, Miriam Winter si prende cura di suo padre Henryk ormai in punto di morte. Ma rimane sconvolta quando scopre, sotto il cinturino dell’orologio di Henryk, il tatuaggio di Auschwitz, tenuto segreto per molti anni. Come è possibile che le abbia nascosto una parte così terribile della sua vita? E chi è Frieda, il nome che suo padre invoca quando è incosciente? Alla ricerca di indizi sul passato dell’anziano genitore, Miriam trova tra gli oggetti della madre un’uniforme da detenuta del campo femminile di Ravensbriick. Tra le cuciture ci sono decine di lettere destinate a Henryk, scritte da una donna di nome Frieda. Le lettere rivelano l’inquietante verità sulle “ragazze coniglio”, giovani donne vittime di sperimentazioni disumane durante i loro giorni al campo. Attraverso quei racconti di sacrificio e resistenza Miriam scopre, lettera dopo lettera, una storia d’amore che Henryk ha custodito nel cuore per quasi cinquant’anni.

Libro potentissimo e toccante in cui due storie di vita calpestate si srotolano parallele finendo per incontrarsi.
I protagonisti sono innanzitutto Miriam: tedesca, vive a Berlino negli anni della caduta del muro e si trova ad accudire il padre Henryk, ormai in fin di vita a causa di un ictus.
È una donna tormentata, dal suo racconto si evince che soffre di un disturbo ossessivo compulsivo e vive episodi di autolesionismo provocati da un matrimonio infelice con un uomo a sua volta disturbato, lui infatti l’ha violentata psicologicamente e fisicamente allontanandola dai suoi genitori e creandole il vuoto attorno. Assistere il padre malato le ha consentito di sfuggirgli e ora vive in casa con il moribondo e sopravvive con la continua ansia che l’uomo rispunti e la possa trascinare via. In un certo senso accudire il genitore morente è per lei una momentanea via di fuga e uno scopo per non affondare nella follia. Proprio mentre cura il poveretto, Miriam si accorge del numero nascosto sotto il bracciale dell’orologio e capisce che il padre è stato prigioniero ad Auschwitz: mille domande si affollano nella sua mente.
Come mai l’uomo gliel’ha tenuto nascosto? Non è ebreo… Miriam si arrovella nello shock della scoperta alla quale si aggiunge quella di una divisa da internato, nelle cui cuciture sono celate delle lettere alcune scritte in tedesco altre in francese.
Contemporaneamente alla vicenda di Miriam, l’autrice ci racconta la storia dal punto di vista di Henrik, professore universitario. Siamo nel 1942, il paese sta precipitando nella morsa nazista, gli ideologi e i dissidenti politici finiscono in campo di concentramento; l’incontro e l’appassionante innamoramento con Frieda una studentessa promettente e appassionata non fa che accelerare la rovina per lui e per la sua amante che continua a frequentare sotto gli occhi di Emilie, una moglie terrorizzata ma non rassegnata a lasciar andare il marito.
La sventura porterà Henrik ad Auschwitz e Frieda a Ravensbruck, un campo di lavoro, dove vengono compiuti orribili esperimenti su donne inermi. E mentre Frieda sopravvive giorno per giorno in quell’inferno, riesce a scrivere a Henrik tante lettere e le nasconde cucendole nelle parti interne dell’uniforme; sa che probabilmente il suo amato non le leggerà mai ma sono un modo per restare in vita e lottare per sopravvivere.
Così seguiamo sulle pagine del libro la lotta per la sopravvivenza di due donne separate da 50 anni di distanza ma insospettabilmente legate a doppio nodo: Miriam che cerca di affrancarsi dal gioco di un marito mostro e si attacca perciò a quelle lettere per arrivare alla verità e rendere un servigio al padre; e Frieda che combatte con il male assoluto scrivendo all’uomo che ama e attaccandosi alla vita in tutti i modi conosciuti.
Un finale inaspettato e una verità tenuta ben celata per anni vi lasceranno spiazzati nel finale.
Un libro commovente, scioccante e opprimente a tratti, ma pieno di speranza per il futuro, un equilibrio perfetto tra passato e attualità, tra vita vera e inventata.
Magnifico.

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