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Recensione: “Infinito come il mare” di Lena Manta

Con i suoi lunghi capelli neri e gli occhi luminosi e cangianti, a diciassette anni Clelia è il ritratto perfetto della sua bellissima madre, morta nel darla alla luce. Una perdita che il padre, facoltoso erede di una delle famiglie più illustri di Corfù, non è mai riuscito veramente a perdonarle. La bellezza e l’intelligenza fuori dal comune di Clelia colpiscono fin dal primo incontro il giovane Pavlos, pianista di talento, sensibile e appassionato, che si innamora perdutamente di lei. Ma, nonostante la profonda comprensione che li lega, Clelia vede in lui solo un amico, quasi un fratello maggiore. Soprattutto da quando, in mezzo alla folla in processione nella città vecchia, ha incrociato lo sguardo ipnotico di Nikiforos, brillante avvocato appena arrivato a Corfù, che la seduce con il suo carisma e la sua irruenza. E mentre Pavlos parte per Parigi per dimenticare la donna che ama, Clelia scoprirà ben presto quali segreti nasconde l’oscuro fascino di Nikiforos…

Non è semplice parlare di un libro che non ti è piaciuto.

Mettere nero su bianco le emozioni negative, senza poter ricorrere alle imprecazioni, è dannatamente complicato.

Ma lo farò per voi. Perché possiate salvarvi finchè siete ancora in tempo o, quanto meno, leggerlo consapevolmente.

Le prime due cose che mi hanno attirata verso questo libro sono state la copertina e la sinossi.

La prima – con i suoi tenui toni dell’azzurro e la donna di spalle che osserva l’immensità del cielo e del mare – infonde nel lettore un senso di calma e di quiete: in pratica le uniche emozioni che non troverà nel libro.

Per quando riguarda la seconda – la sinossi – sono veramente indignata. È profondamente ingannevole; racconta la parte che “ vende” di più, il “triangolo amoroso”,  nascondendo di proposito la fetta di storia che non attirerebbe molte delle attuali lettrici di romance.

Adesso veniamo al contenuto e ai personaggi.

Lei è Clelia. Sua madre muore di parto dandola alla luce e il padre la rifiuta accusandola della perdita dell’amata moglie. Per lo stesso motivo si rinchiude in se stesso, si isola da tutto e da tutti vivendo nella sua biblioteca.

La piccola viene cresciuta dalla coppia di domestici di casa, Spiros e Evienie, che la ameranno e serviranno per tutto il resto della loro vita.

NB:  quando scrivo “ Tutto il resto della loro vita” sono maledettamente seria. Questi due sono peggio di Highlander. Alla fine del libro avranno circa 100 anni ciascuno, ma la servono ancora,  che neanche Lerch degli Addams è cosi longevo e pimpante !.

Clelia cresce, diventa una ragazza molto bella e incontra Pavols, figlio dei vicini.

Il giovane si innamora di lei al primo sguardo, ma viene relegato irreversibilmente nella Friend Zone. Il poveretto non solo resterà associato per anni alla figura di migliore amico ma – in virtù di questa amicizia e del suo amore – correrà a raccogliere i cocci ogni volta che la nostra protagonista verserà anche una sola lacrima! Credetemi: l’avrei presa a randellate nei denti e avrei svegliato Pavlos a suon di ceffoni! Un po’ di amor proprio Santo cielo!

Come se la ragazza non fosse già nata sotto una pessima stella, un bel giorno decide di sfidare la sorte affermando che non si sarebbe mai innamorata dell’uomo sbagliato.

Il destino, il fato o le stesse Moire, ascoltano la sua frase e decidono di fargliela pagare cara: la maledizione del #maiunagioia è stata gettata.

Ed è così che la diciassettenne Clelia incontra Nikiforos: avvenente avvocato più vecchio di ben 15 anni.

Ovviamente lei si innamora al primo sguardo dando inizio ad una tragedia degna dell’ambientazione greca del romanzo e altrettanto lunga.

Non posso raccontarvi altro della storia, forse mi sono spinta già troppo oltre, ma era necessario per farvi comprendere, almeno in parte, le mie motivazioni.

Anche se avrei preferito che alle infinite descrizioni emotive si alternassero degli equilibrati paragrafi dominati dall’azione, la prosa della Manta non ha niente da eccepire.

La sua è una penna elegante e dal tratto sicuro. Nonostante i dialoghi talvolta troppo artificiosi e affettati, la lettura è scorrevolema la trama non offre nulla al lettore. Narra le debolezze di una donna che distrugge più di una vita, senza volerlo ma consapevolmente, nel tentativo di essere felice, ma alla fine ne uscirà altrettanto distrutta.

Entrare in empatia con lei è impossibile. Commette un errore dietro l’altro in nome di un amore che, se all’inizio può sembrare puro, con il passare delle pagine nessuno esiterebbe a definire malato.

Si strugge per il male che fa a se stessa e agli altri ma non smette di infliggerlo. In special modo a Pavlos – che torna sempre a raccogliere i pezzi del suo cuore, perdendo, di volta in volta, un pezzo del suo –  e non sarà lui l’unico innocente a pagare il prezzo del suo folle desiderio.

Tra le righe si intuisce l’intento dell’autrice di sottolineare la forza delle donne, anche delle più deboli,  ma, a me, è sembrata la storia di una ragazza totalmente priva della minima razionalità che non si sa come diventa una donna talmente saggia da fare invidia ad un monaco tibetano.

Non sono riuscita ad apprezzare neanche l’epilogo, se così possiamo chiamare i pochi capoversi che vengono dedicati al finale. Avrei preferito leggere qualche pagina in più di quella immeritata felicità che la vecchia Clelia riesce ad ottenere, ma a quel punto mi è importato poco: ero solo felice che fosse finalmente finita!

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Voto Viv 2

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