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Recensione: “Il bambino che non poteva amare” di Federica D’Ascani

Buongiorno Care fenici, oggi la nostra Elena ha recensito per noi il libro “Il bambino che non poteva amare” di Federica D’Ascani

Quando Teresa partorisce e sente per la prima volta il pianto di suo figlio pensa che non possa esserci gioia più grande di quella che sta vivendo: Libero, suo marito, è in una stanza a pochi passi e Paolo, il suo piccolo appena nato, a un soffio.

Ma il tempo passa e nessuno, in sala, la degna di uno sguardo. C’è qualcosa che non va. E poi la sentenza: suo figlio è morto, suo figlio è deforme, suo figlio non merita neanche di essere visto.

La vita di Teresa diventa il fulcro dell’Inferno in una manciata di secondi, e tutta l’allegria provata fino a quel momento scema per lasciare posto a un vuoto incolmabile.

Ma Teresa non sa la verità: Paolo è vivo, Paolo è in buona salute, Paolo ha la sindrome di Down ed è stato appena mandato in manicomio.

C’è stato un tempo in cui nascere diversi era un modo come un altro per non esistere, un tempo in cui bambini e adulti, se pazzi o anormali, venivano semplicemente dimenticati.

E se per Paolo le cose andassero in maniera diversa?

Fonte della trama Amazon

Gennaio 1946.

Immaginate di portare in grembo il vostro bambino per 9 mesi. Immaginate di tenere il conto dei suoi movimenti e dei suoi calci, di passare le giornate a fantasticare su come sarà il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli, di pensare a quanto sarà bello annusare il suo dolce profumo, di poterlo ammirare mentre cresce e supera i suoi primi ostacoli.

Purtroppo per Teresa tutto questo non sarà possibile. Dopo un lungo e sofferto travaglio, avrà solo il tempo di sentire il primo vagito, di intravedere il profilo del suo bambino prima di piombare nel peggior incubo della sua vita: in seguito a delle gravi malformazioni (sicuramente causate da qualche sua disattenzione durante la gravidanza) Paolo, il suo amato bambino muore!

Non è stata in grado di trasmettere al feto l’amore necessario a farlo crescere forte e sano. Questa la sconvolgente spiegazione del personale medico dell’ospedale.

La donna, in preda allo shock, cade in una sorta di depressione post traumatica da cui solo il marito Libero potrebbe aiutarla ad uscirne. Ma l’uomo non ha neppure il coraggio di guardarla negli occhi perché nasconde un terribile segreto. Lui conosce la verità.

Paolo non è morto! È nato con la sindrome di Down e il medico che lo ha fatto venire alla luce, facendo leva sulla scarsa istruzione del padre, lo convince a disconoscere il bambino e a farlo internare all’ospedale Santa Maria della Pietà. Un manicomio!

Questo romanzo mi ha davvero colpita. Leggere della cattiveria gratuita inferta a coloro che venivano definiti pazzi o “arnesi”, apprendere delle violenze compiute da coloro che si professavano medici, ma che anziché aiutare, sfruttavano delle anime innocenti come cavie da laboratorio per dei sadici esperimenti (senza alcuna distinzione tra adulti o bambini) mi ha lasciata allibita!

Sedute di elettroshock sempre più potenti inflitte a ragazzini autistici volte a scoprire fino a che punto il corpo umano può sopportare le torture. Ancora adesso, a lettura conclusa, non riesco a togliermi di dosso il terrore e l’angoscia che devono aver provato quei poveretti fino dalla più tenera età.

Ma tra tutti, il sentimento che prevale è quello dell’amore. L’amore che unisce marito e moglie, quello che resiste nonostante gli ostacoli che la vita pone lungo il cammino. E l’amore puro e incondizionato che lega una madre al proprio figlio. Quel filo conduttore che anche a distanza di chilometri manterrà sempre connessi i loro cuori.

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