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Recensione: I fuggiaschi di Cumaná di Massimo Livi Bacci

 

 

Titolo: I fuggiaschi di Cumaná

Autore: Massimo Livi Bacci

Genere: Azione e Avventura

Editore: Giunti Editore

Data di pubblicazione: 16 marzo 2022

Nell’America del XVII secolo, nella regione Caraibica e nelle foreste pluviali dell’Orinoco e dell’Amazzonia, si scontrano gli interessi politici e mercantili di spagnoli, portoghesi e olandesi, impegnati nel governo di smisurati territori, nella ricerca di metalli e pietre preziose, nelle razzie di Indios da rendere schiavi, nell’opera di conversione di anime perse. Qui si incrociano le vite dei due protagonisti, Raimundo e Adelina. Il primo, novizio gesuita ribelle, ingiustamente condannato a morte a Lisbona, fuggiasco in Venezuela, si fa esperto mercante fra le tribù dell’alto Orinoco. Adelina, inquieta e seduttrice, danzatrice e giocoliera, attrazione di taverne nonché amante di Raimundo a Lisbona, vive nella Guayana Olandese e poi a Cumaná in Venezuela, dove diventa l’animatrice di un ritrovo e lo scandalo dei ben pensanti della città. Quando Raimundo rifiuta di collaborare con gli olandesi nella cattura di schiavi, la sua vera identità di fuggiasco viene rivelata alle autorità spagnole, e sarà costretto a darsi di nuovo alla macchia. Ma anche Adelina, ricongiunta al suo ex amante, si trova nei guai per aver suscitato la cieca passione di un potente personaggio. Per questo viene accusata di stregoneria, e deferita all’Inquisizione. Ambedue fuggono trovando accoglienza in una Missione di gesuiti, dove Raimundo riceverà un incarico speciale che potrebbe restituirgli la libertà, a patto che sia disposto a sfidare le insidie e i pericoli di quelle terre…

Gli piaceva, a Raimundo, ricordare il giorno del suo arrivo, momento dopo momento. Un giorno nel quale aveva trovato la giusta misura di se stesso, e non fu né il ritorno dell’eroe vincitore, né quello del misero sopravvissuto. Ma quello di Raimundo.

(Tratto dal libro)

Premetto che non è assolutamente il mio genere, ma mi capita di mettermi alla prova e cercare di ampliare i miei gusti.

Lo stile narrativo è piuttosto placido e indugia sulle descrizioni ambientali e le vicende narrative, tanto da farci calare perfettamente nel territorio esotico in cui si trovano ad agire i personaggi. Non siamo investiti da una valanga di aggettivi o posizionamenti, no, si tratta di immergerci gradualmente nei colori, sapori, ma anche nella lingua locale, nella cultura, nelle difficoltà oggettive e quotidiane, senza però farci mancare una terminologia precisa e circostanziata sulla flora e la fauna e sulla localizzazione geografica.

La narrazione dei fatti, tuttavia, si svolge in modo piuttosto asettico, con pochissime emozioni. La parte romance potrebbe essere paragonabile a quella dell’Odissea: è vero che Penelope aspetta a casa il rientro del marito, ma l’occhio del lettore è focalizzato su Ulisse e sulle sue avventure.

In quella choza, in quel misero villaggio, avevano ripreso il filo di un amore lontano, con una passione intensa, come aggrappandosi a un estremo e insperato approdo. I loro corpi e le loro menti riscoprirono dolcezza e fiducia, l’incanto della vicinanza, del colloquio senza parole, dello scambio senza riserve, del darsi senza prendersi, del comprendere senza domandare… Ad aspettare il domani non come una ripetizione di oggi o di ieri… Ma come un giorno portatore di novità.

(Tratto dal libro)

Proprio come al protagonista epico, anche a Raimundo capitano un sacco di disavventure, ed è interessante vedere come si inanella una serie di sviluppi che lo portano in direzioni sempre nuove.

Inoltre, ogni nuova fase ci fa calare ancora di più nell’epoca e nel territorio ai tempi dei colonizzatori spagnoli e portoghesi, tra i fiumi dell’amazzonia e le missioni, nei pueblos e nei porti che spediscono caffè e cioccolato al vecchio continente.

Vediamo con i nostri occhi gli indios nativi venire catturati e venduti come schiavi, ma riusciamo a leggerlo con lo sguardo di un europeo dell’epoca, di un missionario, di un commerciante e di un politico. Proveremo sulla pelle di Raimundo la corruzione con cui i politici spagnoli e portoghesi governavano le loro terre facendo uso delle relazioni con l’Inquisizione, se occorreva. Amplieremo lo sguardo come un drone satellitare, che dalla barca di Raimundo allargherà lo sguardo fino ad abbracciare le relazioni geopolitiche dell’epoca tra i due grandi imperi coloniali, Spagna e Portogallo, per poi zoomare nuovamente e notare come queste scelte politiche impattano sull’organizzazione delle terre native e sulle tribù locali, sulle città dei coloni, sulle missioni.

Tutto questo si svela partendo dalle vicende avventurose di Raimundo, che ci accompagna a conoscere le varie sfaccettature di questo territorio in un’epoca così particolare.

«Ho resistito e lottato perché la nostra civiltà, e forse anche la nostra religione, può migliorare la loro vita. In senso materiale, certo, perché gli utensili e le asce alleviano la fatica; perché il lavoro organizzato è più efficiente; perché si nutrono meglio; perché andar vestiti è più agevole che andar nudi; perché essere stanziali, dormire in una capanna, è meglio che andar raminghi nella selva, dormire dove capita, tra serpi e scolopendre…»

«E la religione?»

«Questa è la mia religione. In questa credo. Vedere i bambini giocare, gli Indios andare al lavoro, uomini e donne che apprendono cose nuove, che vanno oltre i bisogni e le necessità elementari. Che si sollevano dalla barbarie. La religione è un mezzo per farlo ed è utile a questo fine.

(Tratto dal libro)

 Mi è mancata moltissimo la parte emotiva e sentimentale, che chiaramente non fa parte di questo genere letterario, per cui questo non influenzerà il giudizio.

La sua vita era stata assai più travagliata di quella del Capitano: omicidio, condanna, fuga, cambi di identità, ferimenti e uccisioni in scontri cruenti, testimone di razzie e massacri. Ma, a differenza di Manuel, non provava il desiderio di una vita tranquilla; l’irrequietezza era la sua compagna di vita; l’amore, come il pericolo, erano l’energia che alimentava, invece di placare, la sua irrequietezza.

(Tratto dal libro)

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