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Recensione: “Flower” di Elisabeth Craft e Shea Olsen

 

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Charlotte vive con la nonna ed è una ragazza con la testa a posto: bravissima a scuola, lavora in un negozio di fiori per pagarsi gli studi. È molto concentrata e non ammette distrazioni, non esce di sera e non accetta inviti dai ragazzi. È ossessionata dal pensiero della madre e della sorella che pensa abbiano sprecato le loro vite alla continua rincorsa dell’amore e del sesso. Charlotte ha promesso a se stessa che non farà la loro fine, non perderà di vista i propri obiettivi per colpa dei ragazzi, per questo studia con estrema dedizione con l’obiettivo di essere ammessa a Stanford. Fino a che, un giorno, nel negozio entra un cliente strano, ombroso ma gentile, un tipo affascinante ed esigente e, all’apparenza, molto ricco. Charlotte fa quell’ultima vendita e all’ora di chiusura torna a casa sicura di non rivederlo mai più… Ma la mattina dopo le viene recapitato un mazzo di fiori bellissimi e costosissimi e scopre che il misterioso cliente si chiama Tate ed è la più famosa pop star del pianeta… e anche se tutto ciò che rappresenta quel ragazzo è distante anni luce dalla vita di Charlotte, la scintilla è scoccata e ora sarà difficile tornare indietro…

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Flower, romanzo scritto a quattro mani da Elisabeth Craft e Shea Olsen, si colloca pienamente nel filone Young Adult e non delude il target per cui è nato, se non fosse per la scritta, “un successo mondiale”, che campeggia sulla copertina e crea aspettative nel lettore, col rischio di essere disattese. Chiari i meccanismi di marketing, ma alla lunga la credibilità della casa editrice, con questi specchietti per le allodole, potrebbe incrinarsi. Da un avviso simile ci si aspetterebbe di avere tra le mani un piccolo gioiello di narrativa giovanile e Flower non lo è. È, tuttavia, un romanzo piacevole, fresco e pulito, con una scrittura piana che non scade nella faciloneria: una compagnia per qualche ora di lettura senza pretese, ma niente di più.

Protagonista è Charlotte Reed, appena maggiorenne, all’ultimo anno delle superiori. Carina e studiosa, è decisa a estromettere il mondo maschile dalla sua vita finché non avrà raggiunto gli obiettivi prefissati: entrare in un college prestigioso come Stanford, laurearsi in medicina, e intraprendere un lavoro che possa garantirle una solidità economica e un prestigio che nessuna donna della sua famiglia ha mai ottenuto. Sia la madre, che Charlotte non ha più, sia la nonna con cui vive e anche la sorella maggiore, Mia, sono infatti rimaste incinte prima dei sedici anni e hanno seppellito i propri sogni tra pannolini e biberon, accettando dei lavori sottopagati per sopravvivere e circondandosi di fidanzati che sfruttano e da cui vengono usate, prima di essere scaricate ogni volta.

Charlotte ricorda, copre le spalle a Mia per permetterle di uscire con il ragazzo di turno, bada al piccolo Leo e intanto, con la biro, si disegna sul polso un triangolo: una figura forte, per tenere a mente la debolezza che ha investito la madre e che lei deve assolutamente imbrigliare. Come un mantra si ripete queste cose ogni giorno, mentre guarda l’anello che le ha lasciato sua madre e conta i giorni che mancano per spedire la domanda di accettazione a Stanford, segue le lezioni e partecipa a un tirocinio di biologia che non le interessa, ma che può giovarle per essere selezionata.

Nessun ragazzo all’orizzonte, nessun flirt, accanto ha soltanto un amico, Carlos, carino e originale, ma rigorosamente gay. Fino a quando nel negozio di fiori in cui lavora dopo la scuola non entra Tate, e il mondo così perfettamente costruito di Charlotte naufraga all’istante. E se, oltre a essere un bellissimo ragazzo, Tate Collins si rivelerà una pop star di fama internazionale, vi lascio immaginare quanto la storia si complichi…

Fatto? Bene, lasciate perdere, il problema è proprio questo: manca il conflitto, una vera tensione, motivazioni profonde. La psicologia dei personaggi cede, come nel caso di Charlotte, o è così debole da apparire labile (Tate o Mia, a caso).

La storia poteva esserci e non c’è, anzi tiriamo in ballo una delle parole che Charlotte odia: potenziale. La sua paura del potenziale non sfruttato è l’assenza di paura che ha condotto le scrittrici sul sentiero dell’ovvio. Tutti i personaggi, che pure potrebbero essere interessanti presi singolarmente, appaiono come macchie sulle pagine: ci sono, ma nessuno ha contorni così nitidi da restare impressi oltre la fine.

Nei personaggi di Flower ci sono richiami a diversi best sellers degli anni passati, Cinquanta sfumature di grigio e After su tutti, ma senza malizia o scene piccanti: la protagonista è vergine e vergine resta: “L’eterna vergine”, per dirla con Carlos.

Flower sarebbe anche un romanzo da consigliare in lettura alle lettrici più giovani, se Charlotte non si perdesse pagina dopo pagina: la grinta iniziale lascia presto il posto a un mix di stereotipi che non fanno altro che alimentare la cattiva narrativa di genere. E se Piccole donne, nel 1868, sfidava la letteratura del tempo con l’indimenticabile Jo, pronta a tutto pur di difendere la sua essenza e la sua esistenza, oggi mi sembra francamente insopportabile digerire una ragazza che, al primo batticuore, accantona passato e presente e si reinventa all’ombra dell’esistenza di un ragazzo, la cui presenza è un’elemosina, che la allontana, più e più volte, senza spiegazioni, per tornare quando vuole lui.

E così, di capitolo in capitolo, il lettore si ritrova nelle mani una storia che lentamente si svuota di significato, dove i valori vengono accantonati e la menzogna nei confronti dei familiari diventa routine. Da difendere si passa a dipendere: pessimo messaggio. Davvero.

Niente più sogni, l’ambizione rientra e Charlotte implode, tanto che alcuni suoi pensieri appaiono stonati e fuori luogo, aumentando la poca credibilità del personaggio: si definisce “topo da biblioteca e insuperabile nerd”, ma è incapace di portare a termine il tirocinio, lascia che sia la collega a occuparsi degli esperimenti senza nemmeno restare a osservarla e, quando arriva la lettera da Stanford, ammette che non era “sicura di essere ammessa” e che “nemmeno il consulente scolastico lo era”.

Dando prova di mancanza di personalità, la stessa che aveva attratto Tate, Charlotte non fa apparire indimenticabile nemmeno il suo amore: anche la loro storia sembra sempre sul punto di planare o franare, ma finisce per impaludarsi.

Globalmente, un romanzo tiepido.

Fiamme-Sensualità-Nulla NUOVA

Recensione a cura di:

KailaSwarte

Editing a cura di:

Aléthéia

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