
Francesca Poggi
Paese di produzione: Francia
Anno di uscita: 2014 (Francia), 5 febbraio 2015 (Italia)
Titolo originale: Qu’est-ce qu’on a fait au bon Dieu?
Genere: Commedia
Durata: 97 minuti
Regia: Philippe de Chauveron.
Cast: Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan, Medi Sadoun, Frédéric Chau.
Una coppia francese, molto religiosa e conservatrice, ha quattro figlie, tre delle quali sono sposate a immigrati di seconda generazione. Quando l’ultima della famiglia annuncia di volersi legare a un cattolico, i genitori esprimono la loro felicità, senza sapere però che il ragazzo è un ivoriano. (Fonte: scheda Google)
Ciao a tutti, film lovers!
Cosa desiderano i genitori per i propri figli? Che domande… Ovviamente che trovino la loro strada nel mondo e che siano felici.
Cosa desiderano Claude e Marie Verneuil, coniugi cattolici e borghesi di Chinon? Che le loro quattro figlie diventino donne di successo, siano felici… e che si sposino in chiesa con un uomo di fede cattolica, rigorosamente francese!
Donne e buoi dei paesi tuoi dice il proverbio, e anche uomini dei paesi tuoi direbbe il gaullista Claude. E che non si dica che è razzista solo perché vorrebbe vedere le sue bambine accanto a un uomo francese. Suvvia! Isabelle, Odile, Ségolène e Laure sono belle, brave e di successo… oh beh, Ségolène non è che sia proprio così brillante; bravissima ragazza per carità, forse po’ troppo emotiva, piange per un nonnulla e… non sto perorando troppo la sua causa vero? Uhm, vediamo un po’: ragazza dalla spiccata sensibilità che decide di mettersi al servizio dell’arte diventando pittrice. Meglio così?
Non ce la faccio scusatemi. La verità è che la terzogenita di Claude e Marie è la pecora nera della famiglia: le sue velleità artistiche danno origine a delle croste inguardabili che nessuno vorrebbe in casa sua nemmeno se gliele regalassero. Difatti i due coniugi tengono l’indecente autoritratto della figlia in cantina e lo appendono in soggiorno solo alla Vigilia di Natale.
Ma che importa! L’importante è che sia felice e tanto basta. Manca solo un suntuoso matrimonio cattolico nella chiesetta di Chinon, teatro di tutti gli eventi più importanti della famiglia.
E invece no!
Isabelle, Odile e Ségolène sposano rispettivamente Rachid – musulmano figlio di algerini – David – ebreo figlio di israeliani – e Chao – ateo figlio di cinesi.
Beh, sono francesi anche loro direte voi! E chi vi dà torto… non è me che dovete convincere, ma il gaullista Claude che un giorno nel cercare di perorare le proprie convinzioni nazionaliste finisce col passare per un razzista, creando così una spaccatura tra sé e le figlie che si schierano con i mariti.
Passa un anno. Marie sente la mancanza delle ragazze e dei nipotini; prega dunque il marito di provare a fare un passo indietro per il bene della famiglia. E poi Rachid, David e Chao sono pur sempre francesi anche se di origini diverse… e così le festività natalizie diventano occasione di riconciliazione e di accettazione reciproca delle proprie differenze in nome dell’amore per il proprio paese che resta pur sempre la Francia.
E vissero tutti felici e contenti… fine!
Ci avevate creduto eh… tranquilli, potrei mai lasciarvi senza dire due paroline su Laure? Ebbene amici miei, la piccola di casa Verneuil darà ai suoi genitori una bellissima notizia: sposerà Charles – sì sì proprio come Charles de Gaulle – un promettente attore di teatro, figlio di una famiglia molto cattolica!
Gioia, tripudio e gaudio! Finalmente qualcuno che ci dà soddisfazione. Ehm, c’è però un dettaglio che Laure ha omesso ai suoi: Charles è davvero cattolico, ma non è francese bensì ivoriano. E ora chi glielo dice a Claude e Marie, direte voi… e chi lo dice anche ai cognati di Laure, aggiungo io. Tanta fatica per farsi accettare dalla famiglia e ora arriva un africano a sconvolgere il loro equilibrio. Giammai!
Se poi aggiungiamo la confessione in extremis di Charles a Laure con cui le rivela che: “mio padre è come il tuo, però è nero”… a voi le conclusioni.
Non sposate le mie figlie! è la classica buona commedia francese in cui si fa un uso sapiente dell’ironia come strumento di riflessione sui nostri difetti.
Pregiudizi, luoghi comuni e barriere culturali vengono portati all’eccesso con il solo scopo di scardinarli e mostrarne i limiti. André Koffi e Claude Verneuil rappresentano due facce della stessa medaglia, incarnando quel conservatorismo che mira a voler preservare la propria identità nazionale e culturale. Un concetto nobile sulla carta, ma che rischia di essere travisato nel momento in cui si assumono atteggiamenti poco consoni e/o si dicono parole sbagliate, sfociando inevitabilmente nel razzismo.
Come già accennato, durante una conversazione con i suoi generi, Claude passa per la mostruosa testa del serpente, ma lo stesso scambio di battute tra i cognati mostra come il pregiudizio sia una delle categorie dello spirito umano. George Aiken diceva che: “Se dovessimo svegliarci una mattina e scoprire che tutti sono della stessa razza, credo e colore, troveremmo qualche altra causa di pregiudizio entro mezzogiorno.”
Non c’è dunque nessuna possibilità di incontro? Certamente, ma sta a noi decidere se usare la nostra intelligenza e cercare quel punto di convergenza che ci aiuta ad accettare la diversità o farsi dominare dal pregiudizio che porta alla paura se non addirittura al disprezzo dell’altro. E viceversa, perché il razzismo non è mai unilaterale.
La diversità è ricchezza e accettarlo è la base fondamentale della cultura con la C maiuscola. L’integrazione non è negare la propria identità nazionale tutt’altro, è semplicemente scendere a patti con un concetto superiore di rispetto reciproco e di arricchimento interiore.
In genere meditare sorridendo di noi stessi ci rende tutto più facile. Vogliamo provare?
Buona visione.
Alla prossima