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Recensione: “Bellezza selvaggia” di Anna-Marie McLemore

Cari lettori, oggi La Min ci parla di “Bellezza selvaggia” di Anna-Marie McLemore

Cover realizzata da Sweet Fire

Se si innamorano il loro amore svanirà.

Un magico giardino è custodito da generazioni di donne che si tramandano una terribile maledizione. Per quasi due secoli le Nomeolvides sono state legate al giardino di La Pradera, la splendida tenuta che incanta i visitatori di tutto il mondo, giunti appositamente per ammirare le sue piante rigogliose. La bellezza del giardino, infatti, dipende direttamente dai poteri delle donne che lo custodiscono e che sono in grado di far sbocciare i fiori più belli al loro tocco. Ma il loro legame con la terra è connesso a una maledizione: se si innamorano, i loro amanti svaniscono nel nulla. Dopo generazioni di misteriose scomparse, all’improvviso nel giardino viene ritrovato uno strano ragazzo. È Estrella, una delle più giovani, a prendersi cura di lui, mentre le Nomeolvides si interrogano sul misterioso nuovo arrivato, che ricorda a malapena il proprio nome: Fel. La ricerca della verità nel passato di La Pradera e di Fel porterà Estrella a scoprire segreti tanto magici quanto pericolosi, che affondano le radici in eventi accaduti secoli prima.

Oggi vi parlerò di un libro molto particolare: Bellezza selvaggia è un romance velato di fantasy e tanto di più.

Questo romanzo, come spiega l’autrice stessa, parla di fiori ma ipotizzo che molte di noi lo avessero già subodorato considerando la copertina, tra l’altro incantevole. Quello che invece forse non si intuisce subito è che l’autrice affronta moltissimi temi attuali come l’omosessualità o la discriminazione, il razzismo e la schiavitù e sentimenti profondi e ancestrali come l’odio, la paura o l’amore mescolati al desiderio di vendetta, ai rimpianti, al desiderio di rivalsa. Fulcro di tutta la storia, però, resta il concetto di famiglia. La famiglia, di origine, quella che troviamo durante il nostro cammino di esseri umani e quella che creiamo. Affettivamente parlando, l’autrice ci ricorda che la famiglia è il punto di partenza, quale che sia il nostro destino sulla terra, per iniziare il grande cammino che è la vita, e dove ritornare nel momento del bisogno.

La famiglia è anche amore e in questo romanzo sarà la chiave per svelare i misteri più nascosti, superare le paure più grandi e guiderà tutti i personaggi verso una loro personale evoluzione. Mi è piaciuto moltissimo il fatto che l’autrice abbia scelto di parlare di così tante forme di amore dimostrando che queste possono coesistere in un buon libro, se la trama è ben strutturata, e dando ad ogni sfumatura il giusto spazio. Il termine sfumatura mi è venuto alla mente moltissime volte leggendo perché effettivamente per me è stata un’esperienza interessante, un invito a guardare il mondo con stupore così come tutto ciò che esiste nel creato, senza pregiudizi e soprattutto rammentando di porsi sempre in ottiche differenti per poter cogliere le numerose sfaccettature di una medesima cosa o sentimento o persona.

L’amore faceva crescere cose così strane

Mi sono chiesta più volte cosa esattamente raccontare di questa lettura perché è così particolare, misteriosa, poetica e fiabesca da farmi temere di svelare un particolare saliente, magari involontariamente e rovinare così lo stupore che potrete provare se deciderete di leggerlo. Una trama molto complessa e ben strutturata e una prosa, quella dell’autrice, decisamente ricercata, che vi trascinerà in un mondo dai contorni sfumati sia da un punto di vista temporale che nei riguardi dei luoghi scelti per ambientare la storia; entrambi questi aspetti sono appena sfiorati e sono convinta che sia stata una scelta deliberata per indirizzare ulteriormente il lettore oltre ciò che è noto e immergersi totalmente nella storia con quel pizzico di incertezza che però, riflettendo, caratterizza tutto il nostro incedere nel mondo. Come i personaggi anche il lettore non è a conoscenza di tutto e gradualmente durante la lettura vi garantisco che avrete l’impressione di scoprire insieme a loro le verità ed i segreti più nascosti, traendone un piacere davvero grande. Di questo libro ho ammirato la fantasia dell’autrice nel creare tutta la storia delle Nomeolvides, donne che sembrano maledette o destinate ad una vita particolarissima, che perdono gli uomini che cercano di stare loro accanto e vivono una vita a metà: immerse in un giardino rigoglioso che loro stesse hanno creato ma, nel contempo, prigioniere del luogo stesso, perché la terra non permette loro di allontanarsi. Ma cosa è realtà oggettiva e cosa è percezione distorta? Si tratta davvero di una maledizione che la natura ha imposto a queste donne? Esse vivono umilmente e sono creatrici di caleidoscopici giardini ricchi di ogni tipo di vegetale, la terra è la loro Madre, cui affidano i pensieri e desideri più profondi tramite riti dal sapore antico, doni come simboli di sacrificio e penitenza. Le Nomeolvides leggono la Bibbia con fervore ma è alla terra che volgono lo sguardo smarrito e la preghiera silenziosa. Loro le appartengono. Eppure non è sempre stato così… ciò che sembra potrebbe essere solo frutto di riflessioni e credenze errate o distorte dai pregiudizi, dalla paura di essere scoperte o semplicemente dal passaparola tipico della narrazione verbale tramandata di generazione in generazione; questa inevitabilmente, perde nel tempo particolari ritenuti forse ininfluenti ma che invece potrebbero costituire le solide fondamenta del sapere sul passato di queste donne e sul perché esse siano così legate alla Pradera, la tenuta in cui vivono.

Bellezza selvaggia non è un romanzo che sento di consigliare a coloro che cercano una lettura leggera. È composto da 37 capitoli e nessuno di questi è meno intenso o intrigante, tutti sono fondamentali e in ognuno, si nasconde una traccia più o meno rilevante che conduce il lettore verso la fine del romanzo e la soluzione di molte domande. È un romanzo fitto di mistero come il sottobosco fiabesco o il giardino stesso che le Nomeolvides hanno creato in oltre un secolo di permanenza nella tenuta dei Briar; a tratti è inquietante e ricco di suspense, in altri momenti deliziosamente delicato e pregno d’amore. La trama si dipana nel corso delle pagine e sorprende il lettore trasportandolo in luoghi lontani da ciò che è noto e riconoscibile e, di quando in quando, anche in altre epoche o nei meandri del cuore della terra. Un mistero che verrà svelato solo a coloro che si dimostreranno degni di comprenderlo.

Quest’ultima affermazione non vuole assolutamente fiaccare il vostro entusiasmo ma semplicemente segnalare che si tratta di un libro che vi appassionerà e pretenderà la vostra dedizione e attenzione se vorrete davvero scoprire ogni mistero e giungere alla fine con tutte le risposte alle molte domande che si presenteranno durante la lettura, più ricche dentro e forse, più consapevoli. Questo, tra l’altro è il motivo per cui non mi sento di assegnare il massimo del punteggio: buona parte del libro, soprattutto l’inizio ovviamente, può risultare lento o contorto, in questo periodo della mia vita, necessito di letture più fluenti e a causa di ciò in alcuni momenti ho fatto fatica nel memorizzare i nomi (tutti rigorosamente legati a fiori) di ogni personaggio, comprendere il legame tra le Nomeolvides e la casa dei Briar, la loro passione per Bay, il loro odio per Reid… anche se alla fine mi sono resa conto che è stata una lettura che mi ha arricchita, confesso che non è stato semplice proseguire; dopo la metà del libro invece tutto è stato più scorrevole e comunque avendo intuito la portata dei segreti e misteri prossimi ad essere svelati, nessuno mi avrebbe fermata dal conquistare l’ultima pagina e carpirli tutti.

Vi lascio con quello che per me è stato il piccolo dono di questo libro: la storia d’amore tra Fel ed Estrella. Delicatissima eppure intensa, magica, unica. Come in ogni storia che possa definirsi tale!

La sua voce suonava come qualcosa al di fuori di lui. Gli ronzava accanto come le libellule che sibilavano nell’aria, librandosi intorno ai falò di Ognissanti. Erano lampi di blu iridescente sopra le braci.

Fel prese il caballuco viola dalla mensola, e lo mise nelle mani di Estrella. «Ma mio fratello, lui pensava che quella storia fosse una bugia. Che quelle libellule fossero cavalli a cui mancava correre. Non peccatori. Sentivano solo la mancanza di essere cavalli. Così adesso volano».

«Tuo fratello?», chiese Estrella. «Quello…».

«Sì, quello a cui piacevano gli uomini», disse Fel con una risata sommessa. «È stato lui a insegnarmi tutto quello che so sui cavalli. Sapeva molto più di me».

Quando un sonno leggero lo inghiottì, Fel sognò caballucos indaco. I loro denti. Le loro criniere azzurro-lavanda. Il loro canto che era sia risata sia avvertimento.

Si svegliò con le dita di Estrella sulla fronte.

«Fel», disse lei.

Lui si tirò su a sedere, sbattendo le palpebre per liberarsi degli ultimi scorci dei caballucos, i loro dorsi da cui spuntavano ali. Le sue dita trovarono le macchie blu sulla pelle di Estrella, viranti al verdazzurro.

«Ricordi come sei arrivato qui?», domandò lei.

Sapeva cosa gli stava chiedendo. Aveva sentito abbastanza discorsi della sua famiglia da saperlo, ormai. Credeva che fosse scomparso perché, a volte, le persone che amavano svanivano. Gli stava chiedendo se ricordava di essere svanito. Lui sentì il cuore vibrare di tanta speranza che non poté evitare di prendere quella domanda come un segno che era uno di loro, una delle persone che amavano.

«No», disse. Lo disse senza tristezza, perché, in qualunque maniera fosse morto per il mondo grigio e il tenero mondo a foglia d’oliva che lo aveva preceduto, adesso si trovava lì. Nel mondo di Estrella.

Era quello il luogo in cui stava tornando alla vita.

Se amate le storie d’amore con trame complesse, le vicende intricate, i misteri da svelare, questo libro è perfetto per voi.

 

 

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