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Recensione: “A carte scoperte” di Marni Mann

Care Fenici, oggi Mumù ci parla del nuovo libro di Marni Mann, che si intitola A carte scoperte

Cover realizzata da Frarale

Non mi picchiava perché pensava che avessi messo gli occhi su sua figlia. Mi picchiava perché poteva. Perché avevo bisogno della sua casa e del suo cibo, e della sua cosiddetta cura.

Mi picchiava perché sapeva che non mi sarei ribellato.

Sono passato da una famiglia violenta all’altra ed erano tutte uguali: gusto del sangue sulla mia lingua, il suono delle ossa rotte nelle mie orecchie.

Era quella la mano di carte che mi era capitata.

Ma quando finalmente sono riuscito a sfuggire da quel sistema che mi ha lacerato e distrutto, ho dedicato la mia vita a vendicarmi di coloro che avevano alzato le mani su di me, che mi avevano sputato addosso, che mi avevano detto che io ero niente.

Ero pronto a combattere.

L’ambiente in cui mi muovevo mi ricordava costantemente chi fossi e da dove venissi. E l’attività era fiorente.

Poi ho conosciuto Brea. Lei è stata del tutto inaspettata, come un jolly in un mazzo di carte. Potevo percepire il suo passato doloroso, ma ho fatto della sua luce il mio nutrimento. Era la fuga dalle tenebre che mi circondavano. Il mio momento di libertà.

Poi quel momento è finito.

E non appena si è aperta la porta, i miei peggiori incubi erano lì ad aspettarmi. Brea era stata risucchiata dall’ombra della mia distruzione e alla fine aveva visto il mio lato peggiore.

Prendete della frutta a vostro piacimento: sbucciatela, tagliatela a tocchetti, mettetela in una ciotola con zucchero e limone et voilá… la macedonia è servita!

Come? Stiamo parlando di un libro e non di cucina? Beh, credetemi, dopo aver essere arrivati all’ultima pagina di A carte scoperte, anche voi avrete la sensazione che l’autrice abbia preso tanti argomenti e li abbia buttati lì per far macedonia, ehm… spessore.

Ma procediamo con ordine.

Innanzitutto, vediamo i lati positivi di questo libro. Sicuramente la scrittura: semplice, scorrevole, pulita. Ho apprezzato l’idea di fondo, che l’autrice è riuscita a sviluppare nel modo più opportuno: Trapper, il protagonista maschile (di cui vi risparmio la descrizione, dato che è uscito dalla stessa fabbrica degli altri, ovverosia: dannatamente bello, sensuale, con uno sguardo che incanta e due labbra che fanno sognare!), ha avuto un’infanzia delle più dure. Dato in affidamento, sballottato da una famiglia violenta e disagiata a un’altra, a dodici anni trova in Vera la madre che non ha mai avuto; Vera lo porta con sé nel club in cui lavora, il cui proprietario, Roman, lo introduce nel mondo del poker, ed è così che Trapper diviene un giocatore professionista. Tuttavia, non riuscendo a dimenticare gli abusi subiti, decide di aiutare altri bambini in difficoltà a trovare una vera famiglia che li ami e li accolga.

Se l’autrice si fosse limitata a questa parte della storia, sviluppandola e arricchendola, di certo il libro ci avrebbe solo guadagnato in spessore e qualità.

Ma no! (E qui cominciano le note dolenti)

Magari pensando che la trama non fosse sufficientemente… Commerciale? Intrigante? Coinvolgente? Insomma, che la trama non fosse abbastanza ‘appetibile’, ha deciso di tagliuzzare dentro la ciotola ogni sorta di frutta possibile e immaginabile!

Primo frutto: Trapper incontra Brea, la protagonista femminile (anche qui: bella, dolce, gentile, sensuale, con un corpo mozzafiato), a una festa in maschera; si incontrano al bar: attrazione immediata, inevitabile bacio da manuale, così incredibile che se lei avesse avuto le mutandine sotto il vestito fasciatissimo, sarebbero state bagnate fradice (parole sue! E pensare che mia nonna, quando uscivo, si raccomandava sempre di non parlare con gli sconosciuti; che poi, effettivamente, non è che abbiano parlato così tanto in questo primo incontro… di lingue.) Inutile dire che l’attrazione animale fra i due si trasforma prima in sesso telefonico (e devo dire che questo ancora mi mancava), poi in sesso da urlo vero e proprio (ormai potrei diventare una regista di film porno con la florida abbondanza di tecniche e posizioni da kamasutra che i romance si sentono in dovere di illustrarci). Che libro sarebbe, oggigiorno, se per metà delle sue pagine non fosse riempito da minuziose descrizioni di scene a luci rosse, che anche Rocco Siffredi oramai compra per trarre ispirazione?

Secondo frutto: i due finalmente si incontrano senza maschera e… (tenetevi forte) Trapper è la fotocopia di Cody, fidanzato, morto in un incidente, di Brea.

Terzo frutto: Trapper e Cody sono gemelli separati alla nascita. (Cioè, tu mi stai dicendo che incontri finalmente il ragazzo che ti fa battere nuovamente il cuore dopo aver sofferto come un cane per due anni, e questi è nientepopodimeno che il gemello del tuo grande amore defunto?)

Quarto frutto: Brea fraintende il lavoro di Trapper (sono clemente e vi risparmio particolari!) e lo molla, e lui dopo circa due settimane che si frequentano è così lacerato dal dolore che comincia a comportarsi da cane bastonato e si prende una sbronza pazzesca (non oso immaginare se fosse capitato dopo il primo anniversario), poi finalmente chiariscono e lui torna il macho di sempre.

Quinto frutto: Cody muore lo stesso giorno in cui stava andando a conoscere Trapper, dopo averlo cercato per tanto tempo (quando si dice il cul… ehm… la sfiga!)

Sesto e ultimo frutto: Trapper scopre chi è suo padre (Questo ve lo risparmio! È stato troppo anche per la mia fantasia galoppante!).

Prendete tutti questi frutti e, come vi dicevo all’inizio, la macedonia è servita.

Arrivederci alla prossima ricetta!!!!

 

 

 

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