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Lo scrigno delle emozioni Natale: Sotto l’albero di Ivonne Boscaino

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TheGoddess

Sotto l’albero

Non stava intenzionalmente sfuggendo al Natale o almeno non troppo. Soltanto stava riflettendo sul fatto che non aveva molto senso festeggiare quando non si aveva nessuno con cui passare le feste. Andrea sapeva di starsi rifacendo quelle domanda ogni anno da almeno dieci anni, ma non era ancora riuscito a darsi una risposta totalmente sincera. L’anno prima aveva fatto un tentativo: aveva appeso del vischio alla porta e aveva comprato un giocattolo luccicante per Milù. Il gatto si era divertito di più con il fiocco del pacchetto e Andrea aveva rischiato un capitombolo scivolando su un paio di bacche cadute. Decisamente il Natale non faceva per lui. O forse era giusto dire che non faceva più per lui.

Quel pomeriggio, girando per uno dei centri commerciali appena fuori città, bombardato da musiche natalizie a go go e palline da albero di Natale appese ovunque, si era fatto il solito discorso mentale ancora una volta e, cosa strana, lo aveva trovato quasi logico. Non c’era nulla che sembrava colpirlo particolarmente, quest’anno. Non gli addobbi delle vie o le luminari dei vicini di casa. Non la tv gli aveva ripetuto per giorni che il Natale quando arriva, arriva. Neppure i colleghi in ufficio che erano tornati da una pausa pranzo con berretti rossi comprati a un euro dal cinese all’angolo rimbalzandosi uno slogan che, se non aveva capito male, era preso da un programma radiofonico.

Tu mi stai nascondendo che sta arrivando il Natale.

Come se fosse possibile!

Il suo primo istinto era stato quello di rimetterli in riga come ogni capoufficio che si rispetti, ma poi si era detto di non poter fare il Grinch della situazione. Dopotutto erano tutte brava persone e se avevano spirito natalizio d’avanzo, tanto meglio per loro.

Il Natale non si poteva nascondere, non si poteva ignorare anche se Andrea avrebbe voluto poterlo fare. Che so, addormentarsi il ventitre dicembre sera e risvegliarsi dopo l’Epifania. Ecco, un paio di settimane di cura del sonno. Saltare a piè pari le feste senza sentirne la mancanza, senza dover ricorrere a sotterfugi per evitare film natalizi, stazioni radio con programmi registrati e inviti di amici che si impietosivano all’ultimo minuto. Natale, Capodanno, Befana. Niente pacchetti, niente fuochi d’artificio, niente calze piene di dolciumi.

Non è che le feste non gli piacessero, sia chiaro. Da ragazzo se le era anche godute. Le vacanze da scuola, l’occasione per tornare a casa dall’università, per vedere parenti e vecchi amici. Riusciva anche a tollerare la messa con la mamma, se proprio doveva.

Ma non era più così da tempo, ormai.

Con il senno di poi era stato un bene che avesse atteso di aver finito l’università e di avere un lavoro prima di parlare con i suoi genitori. Non si sarebbe mai aspettato una reazione così eccessiva da parte loro. Certo sapeva che non avrebbero preso bene l’omosessualità del loro unico figlio maschio, ma non si aspettava di essere messo alla porta. Sua madre soprattutto era stata inflessibile: non gli aveva neppure permesso di portarsi via qualche vestito o i suoi libri. I primi mesi erano stati difficili. Una volta aveva provato a tornare a casa quando sapeva che non li avrebbe trovati, ma avevano cambiato la serratura. Alla fine era stata sua sorella a portargli un po’ di cose, ma non era stato semplice ritrovarsi completamente da solo. Da solo a un mese dalle feste. Da solo persino nella buriana dell’appartamento di un’amica che lo aveva invitato ad andare da lei con altri amici. Da solo tra le braccia di quello da cui si era fatto rimorchiare per la disperazione e di cui dopo più di venti anni neppure si ricordava il nome.

Per fortuna un lavoro ce l’aveva e voglia di riscattarsi da quanto era accaduto anche, di dimostrare ai suoi che poteva essere libero e felice. Quando due anni dopo aveva conosciuto Filippo a casa di amici, si era sentito fortunato. Il sorriso di Filippo, i suoi occhi marroni. Era stato felice e fortunato per quasi dieci anni. Non aveva idea di quando si erano persi. Non si era neppure accorto di come potesse essere accaduto. Le braccia di Filippo erano ancora il suo rifugio, la sua gioia i momenti condivisi, le risate quasi sussurrate. Un giorno Filippo gli aveva detto che dovevano parlarsi e quando avevano finito il loro amore era morto. Una settimana dopo Filippo se ne era andato da quella casa che avevano scelto insieme, arredato insieme. Ed era già una settimana che si era trasferito a dormire sul divano. E c’era un altro, Andrea lo sapeva. Tante volte aveva sentito nominare Mario, il ragazzo brasiliano che era andato a lavorare nell’azienda di Filippo. Organizzavano eventi e Mario era allegro, festoso, pieno di gioia di vivere. Non era Andrea con il suo lavoro da contabile, i suoi numeri tutti in fila, le sue camicie bianche o azzurrine. Filippo se ne era andato e la vita di Andrea si era ristretta ancora di più. Quattro mesi prima delle feste. Quel lugubre Natale solitario che aveva trascorso dormendo tutto il giorno.

Tanti motivi per non essere affezionato al Natale, tante ragioni per volersene tenere a distanza. Nessuna famiglia, nessun amore, niente figli. A cosa serviva il Natale?

Ogni anno Andrea si riproponeva di comprare i regali per i suoi colleghi settimane prima che cominciasse il caos natalizio. A fine novembre, semmai. Tanto i regali da fare erano sempre quelli: due colleghi e due colleghe con le quali finiva irrimediabilmente per fare una cena degli auguri la settimana prima di Natale visto che come capufficio non poteva evitarla. Poi c’era un regalino per Elsa, per sua sorella, che cercava sempre di vederlo prima delle feste. Solo per lei, però. Niente per i suoi bambini, per quei nipoti che non conosceva perché avrebbero potuto farsi sfuggire qualcosa con i nonni ed Elsa era stanca di litigare. Andrea non poteva darle torto. Faceva un po’ male, ma darle torto no.

E poi un’altra scemenza per Clara, la sua migliore amica, quella che inevitabilmente ogni anno lo invitava per il pranzo di Natale o per il veglione di Capodanno.

Non mi piace saperti da solo.”

Meglio solo, però, che in quell’allegria sotto vuoto spinto della quale non faceva parte e che lo obbligava a bere sempre più di quanto non si fosse ripromesso a inizio giornata.

Ogni anno si riprometteva di sbrigarsi il prima possibile a fare le spese e ogni anno non ci riusciva. Troppo coraggio gli ci voleva per uscire di casa il sabato o la domenica e buttarsi nel vortice degli acquisti. Anche quest’anno si era ridotto ad avere una cena tra due giorni, un appuntamento fissato con Elsa per giovedì e l’incombente attesa della telefonata di Clara. Così si era fatto coraggio ed era uscito. Milù, dall’alto del suo distacco felino, l’avevo guardato come a fargli capire quale misero esemplare di essere umano fosse a cincischiare quest’impegno ogni volta fino a non poterlo più rimandare. Andrea gli aveva promesso i croccantini al formaggio che adorava se avesse smesso di guardarlo con quello sguardo di disapprovazione. Li avrebbe comprati lo stesso anche se il gatto non gli avesse mostrato misericordia.

Per le due colleghe la scelta era stata abbastanza facile. Era entrato in un negozio di casalinghi e aveva comprato due piccole borse frigo con portapranzo annessi stampati a colori vivaci. Una cosa utile, carina e da usare per l’ufficio. A Giacomo, uno dei due contabili, aveva preso un CD. Giacomo glielo aveva chiesto espressamente perché sapeva che un’indicazione precisa avrebbe cavato Andrea fuori dall’imbarazzo. Gli rimaneva Sergio e poi le due donne. Con Clara sarebbe stata facile. La sua amica supertecnologica aveva almeno tre o quattro liste di desideri in giro in rete. Andrea avrebbe di certo trovato qualcosa. Elsa era tutto un altro discorso. Non poteva spendere troppo perché un regalo importante sarebbe stato notato. Dai suoi genitori o da suo marito, anche lui un grande fan delle scelte dei suoceri. Per cui qualcosa di innocuo, che non si notasse troppo o che potesse passare per il regalo di un’amica. Un’amica abbastanza distante da non essere interrogata in proposito neppure per caso. Un’amica che risparmiasse complicazioni. Certe volte Andrea si chiedeva perché continuasse a provarci. Comunque un bel libro poteva essere una buona idea. O un foulard. Ecco un foulard poteva andare e una cravatta per Sergio che aveva ne sempre di orrende, troppo corte e dai colori improbabili.

Per Elsa scelse qualcosa di molto colorato che desse luce al suo viso pallido di bionda, un bel rosso ciliegia che non avrebbe mai scelto da sola. Attese che la commessa facesse i pacchetti richiesti e si guardò in giro ponderando se non fosse il caso di regalarsi una nuova cravatta, una da aggiungere a quelle che già collezionava a casa. No, meglio di no. Ne aveva fin troppe.

Quindi anche per quest’anno era possibile dichiarare concluso il cimento natalizio e se ne sarebbe potuto tranquillamente ritornare a casa a discutere con Milù.

Andrea!”

Andrea si fermò e affondò la testa tra le spalle perché quella voce l’avrebbe riconosciuta ovunque anche fossero passati altri dieci anni. Soprattutto se pronunciava il suo nome. Lo aveva sentito pronunciare con dolcezza e con rabbia, al culmine della passione o solo sussurrato contro il cuscino. Non poteva ignorarlo, ma attese qualche secondo prima di girarsi. I suoi occhi atterrarono sulla figura snella di Filippo avvolto in un cappotto nero con una cintura stretta in vita. Non si vedevano da dieci anni, non si erano più visti da quel giorno in cui Filippo era uscito dalla sua vita. Non c’erano mai state occasioni. Gli amici comuni, per un po’ di tempo, aveva continuato a invitarli a turni alterni, ma erano sempre stati più amici di Filippo che suoi e Andrea li aveva levati di imbarazzo trovando sempre più scuse per non incontrarli. Neppure il caso era stato favorevole a farli incontrare di nuovo e sì che in una città piccola come la loro, la dea fortuna doveva essersi impegnata parecchio.

Di certo lo shock fu intenso. Dieci anni di vita su un viso, su un corpo lasciavano segni concreti. Filippo aveva le tempie tutte bianche ormai e intorno agli occhi un po’ di rughe che si stavano approfondendo mentre gli sorrideva. Un po’ più magro forse. Com’è che la maggior parte degli uomini ingrassa con l’età e invece Filippo era più snello? Evidentemente stare al passo di un uomo più giovane lo faceva tenere in forma.

Ciao…”

Sono anni che non ti vedevo. Proprio anni.”

Filippo gli strinse entusiasticamente la mano e poi, per maggior carico lo abbracciò. Andrea si disse che era normale, che non si erano proprio salutati da amici, ma che in dieci anni l’acredine che poteva esserci stata doveva essere di certo evaporata. Almeno da parte di Filippo.

Prendiamo un caffè. Ti va di prendere un caffè? Così mi racconti cosa fai adesso, come stai…”

No. No. No.

Non voleva ritrovarsi a un tavolino con Filippo costretto a dirgli che desolazione fosse la sua vita attuale. Una vita che gli piaceva, nella quale stava comodo, ma sulla quale c’era molto poco da dire. Come avrebbe potuto dirgli, dopo essere stato lasciato per un altro, che non aveva avuto più nessuno una volta che aveva perso lui? Che la sua vita emotiva era riempita da un gatto con un caratteraccio e quella sessuale da una collezione di link su Internet?

Peccato che Filippo era sempre stato un uomo con una missione e se la missione era trascinare Andrea a prendere un caffè, Andrea poteva star sicuro che si sarebbe ritrovato seduto al bar prima ancora di riuscire a formulare una scusa accettabile per non farlo.

I caffè arrivarono e Filippo parlava, parlava, parlava. Di tante cose, ma di niente che fosse personale. Non una parola su Mario, non un solo particolare che riguardasse la loro vita di coppia. All’inizio Andrea quasi non riusciva a rilassarsi, ma era difficile resistere a Filippo, alla sua risata, al modo che aveva di raccontare le cose. Andrea iniziò prima a sorridere e poi a ridere sinceramente a quel che Filippo raccontava, a ricordarsi che era anche per questo che si era innamorato di lui. Il caffè finì e Filippo ne propose un altro. Anzi no, meglio un aperitivo. E fecero due giri di analcolici e noccioline mentre anche Andrea aveva cominciato a parlare. Evitando le cose troppo personali e riferendosi sempre al tempo della loro vita insieme, ma era bello averlo di nuovo lì, sentirlo vicino e realizzare che la complicità tra di loro c’era ancora. C’era il capirsi con un’occhiata, con una strizzata d’occhi. Quando? Come si erano persi?

Eh, ma si è fatto tardi…”

All’improvviso Andrea realizzò che erano più di due ore che stava chiacchierando con Filippo, che erano quasi le otto e che forse lui doveva andare, tornare ai suoi impegni familiari del sabato sera.

Che ne dici se ci prendiamo una pizza? Anzi, no, c’è un ristorante giapponese qui nel centro commerciale. Ci sei mai stato? È divertente: mettono tutti i piattini su un nastro mobile e si sceglie quello che passa.”

No, Andrea non c’era stato benché ne avesse avuto voglia. Aveva avuto timore di sentirsi ancora più solo ad andare a mangiare in un posto dove era evidente che la maggior parte del divertimento consisteva nel ridere con gli amici di quello che si stava combinando in gruppo.

Veramente è tardi e…”

Dovrai pur cenare, no? Sempre che tu non abbia impegni con qualcuno…”

No. No…”

Non aveva impegni se non tardare la somministrazione della pappa di Milù di qualche ora. Il gatto gliel’avrebbe fatta pagare, ma pazienza. Aspettarono in fila una mezz’ora in attesa che si liberassero un paio di posti vicini al nastro e poi Filippo dovette insegnargli di nuovo come si tenevano le bacchette perché era tanto tempo che non le usava. E far cadere un maki dritto preciso nella ciotolina della salsa di soia e schizzarsi tutti. E Filippo che quasi si strozzava con la sua birra per le risate. E per una volta, dopo vent’anni, fu come una delle prime volte che erano usciti insieme, tutti e due consci dell’attrazione che c’era tra loro e tuttavia ancora indecisi se fare il primo passo.

Era un bel po’ di tempo che non mi divertivo così.”

Già…” Il tono di Filippo era apparso quasi malinconico. Poi sbrigativo. “Dove hai la macchina?”

Andrea indicò una fila dello sterminato parcheggio del centro commerciale che era ormai abbastanza vuoto. “Stessa fila, la mia è un po’ più avanti.”

Ormai la loro serata era finita e Andrea si avviò verso la macchia scura della propria auto buttando un occhio a quella chiara che doveva essere, invece, la macchina di Filippo. Ripescò le chiavi nella tasca del giaccone e premette il tasto dell’apertura centralizzata. La macchina emise il solito suono elettronico, le luci si accesero e le portiere si sbloccarono. Andrea aprì la portiera di dietro e depositò il suo prezioso carico di regalini sul sedile di pelle e la richiuse.

Mi ha fatto piacere vederti. Davvero.”

Ed era stato sincero perché solo quella mattina, probabilmente, non avrebbe neppure formulato il pensiero di trascorrere in quel modo parte del pomeriggio e della serata. Filippo, però, stava zitto, teso, come in attesa di qualcosa. Quando fece andare lo sguardo intorno per controllare che non ci fosse nessun altro nel parcheggio, Andrea capì cosa aveva intenzione di fare e per un decimo di secondo considerò di mettere la mano tra le loro bocche che stavano per toccarsi. Perché Filippo non era suo, era di un altro e Andrea non aveva nessun diritto su di lui. Pensò a quanto aveva fatto male sapere che Filippo aveva baciato un altro, aveva fatto l’amore con un altro. Pensò a quanto male avrebbe fatto a qualcun altro quello che stavano per fare eppure Filippo era stato prima suo che di Mario, c’era stato quel momento in cui i suoi baci non erano appartenuti prima a un altro.

E poi Filippo baciava bene, la giusta pressione di labbra, la giusta quantità di lingua, un bacio che era caldo e intossicante senza essere troppo umido o maldestro. Fin dall’inizio Andrea si era chiesto quanti baci avesse dato Filippo per aver imparato così bene. Fu come se si fossero dati il primo bacio d’accapo perché era un primo bacio dato quasi venti anni dopo essersi baciati la prima volta. L’emozione della scoperta sapendo già dove si stava andando a parare. E il corpo che reagiva, che si svelava, anche attraverso gli strati di vestiti pesanti, nel modo evidente in cui si tenevano stretti, bacino contro bacino, a cercare un contatto che non avrebbe fatto altro che dichiarare evidente quello che già sapevano tutti e due. Filippo si staccò appena da Andrea e rimase a respirare affannato contro il suo viso, il suo fiato caldo una nuvoletta di vapore nel freddo della sera.

Andiamo a casa tua.”

Così ovvio e così terribile perché a casa di Filippo doveva esserci un altro e esattamente come i loro baci erano appartenuti l’uno all’altro così anche la casa dove Andrea viveva era appartenuta a entrambi per il tempo della loro relazione.

Filippo…”

Per favore. Ti voglio.”

Ancora identico, ancora allo stesso modo quel desiderio nudo e facile da dichiarare. Per Filippo era sempre stato così, quel ti voglio pronunciato a mezza voce, con un velo di fastidio perché non riusciva quasi a concepire che Andrea avesse bisogno di sentirselo dire, perché era evidente. A quarantacinque anni come a venticinque. Ti voglio.

E pure Andrea lo voleva, certo che lo voleva e pazienza se per una volta stesse cedendo alla follia. Lo voleva un’ultima volta.

Mi segui con la tua auto? La strada la sai, vero?”

Filippo sorrise e annuì avviandosi verso la sua macchina. Andrea fece un bel respiro profondo prima di mettere in moto. Era sempre in tempo a dire no, sempre in tempo a mandarlo via una volta che fossero giunti a casa, ma non voleva. Non aveva amato altro che lui nella sua vita. Il suo unico amore, la sua unica gioia e una vita che risuonava nella sua assenza. La voce della sua coscienza gli ricordò di quanto probabilmente sarebbe sembrato disperato in quel momento, di quanto umiliante sarebbe stato accogliere Filippo nel proprio letto senza un minimo di ritegno, di considerazione. La sua coscienza aveva torto e punto.

Svoltò in una strada deviando leggermente dal percorso e accostò davanti alla farmacia aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. Filippo gli si accostò e aprì il finestrino.

Non sono sicuro di aver qualcosa in casa.”

Filippo sorrise ed era un sorriso tranquillo, non di scherno o di imbarazzo. Andrea riuscì a non arrossire. Entrò in farmacia, prese il proprio numero e si accostò all’espositore dei profilattici. Era un bel po’ di tempo che non ne comprava ed evidentemente c’era stata un’espansione dell’offerta dall’ultima volta. Fece quasi fatica a trovare quelli classici che aveva sempre usato prima di Filippo e per il breve periodo in cui avevano continuato a usarli insieme. Anche per i lubrificanti doveva essere accaduto lo stesso e per quanto i nuovi tipi offrissero delle interessanti possibilità, una vena di sobrietà gli disse che non aveva senso investire su qualcosa che non si sarebbe ripetuto.

Pagò, uscì, mise in moto e ripartirono. Dieci minuti esatti fino a casa. Andrea aprì il cancello e andò a parcheggiare in garage mentre Filippo si accostava al marciapiede davanti al palazzo. Recuperò il sacchetto della farmacia, ma lasciò i regali in macchina. Non aveva senso portarli di sopra, non aveva neppure un albero sotto cui sistemarli anche provvisoriamente. Salì le scale e si fermò al portone per far entrare Filippo. Non si ricordava se l’uomo avesse lasciato le chiavi di quella casa quando se ne era andato o se le avesse mai restituite in seguito. Che cosa strana che non si ricordasse di una cosa simile.

Fecero le scale affiancati e Filippo attese dondolandosi sui piedi che Andrea aprisse la serratura di sicurezza di casa. Entrarono, accesero la luce e Andrea notò lo sguardo smarrito di Filippo mentre chiudeva la porta.

È tutto come allora. Non è cambiato niente.”

L’abbiamo fatta come ci piaceva. Mi piace ancora.”

Un miao risentito risuonò dalla cucina e Milù si avvicinò a coda alzata verso di loro. L’espressione risentita sul suo muso di gatto durò il tempo che ci mise il suo sguardo a fissarsi su Filippo. Il gatto annusò l’aria poi si avvicinò a Filippo e iniziò a strofinarsi contro i suoi polpacci.

E tu chi sei?”

Filippo si chinò ad accarezzarlo dietro le orecchie e Andrea rimase basito a guardare il proprio isterico gatto che si scioglieva in brodo di giuggiole sotto le carezze di Filippo. Impossibile. Di certo Milù era stato rapito dagli alieni e questo era il gatto che gli avevano lasciato in cambio. Non aveva mai conosciuto un gatto così stitico in fatto di fusa e ora ci stava dando dentro come un trattore.

Devo dargli da mangiare.”

Come si chiama?”

Milù.”

Andrea andò in cucina, tirò fuori le crocchette e scosse la scatola nel gesto universale che indicava pappa pronta e servita. Di solito Milù si precipitava e sgommava in vicinanza della ciotola prima ancora che Andrea avesse recuperato la bottiglia d’acqua per riempire l’altro incavo accanto alle crocchette. Milù arrivò con calma comodamente accoccolato tra le braccia di Filippo.

No, decisamente non era il suo gatto.

Filippo stava facendo andare lo sguardo sui mobili della cucina. Bianchi profilati di nero, ripiano grigio scuro. Anche quella avevano scelto insieme. Filippo aveva insistito per la profilatura nera mentre Andrea la voleva grigia come il ripiano.

Anche nelle altre stanze è tutto com’era?”

Andrea annuì e lo seguì nel corridoio, ma prima si fermò per appendere il giaccone all’attaccapanni e tese la mano per prendere il cappotto e la sciarpa di Filippo. Aprì la porta di legno chiaro che separava la zona notte dalla zona giorno ed entrò nella prima stanza a destra. Quella era una casa pensata per un famiglia, camera padronale e camera dei figli. L’altra stanza era sempre stata una stanza per gli ospiti e Andrea realizzò solo in quel momento che nella loro ultima settimana di convivenza Filippo avrebbe potuto dormire lì invece che sul divano, ma aveva scelto di non farlo. Non sapeva perché e comunque non era il momento quello di chiederlo.

Accese la luce sul proprio comodino e Filippo lo guardò con gli occhi sorridenti. “Anche la trapunta non hai cambiato?”

No, non ne aveva comprato una nuova. Lenzuola sì, ma la trapunta era sempre quella verde a fiorellini si erano riportati a casa da una vacanza in Trentino. Filippo si avvicinò e scostò le coperte poi gli prese il viso tra le mani e cominciò a baciarlo. Di nuovo un uomo con una missione e quindi tutto efficienza. Via i maglioni, via le camicie, sganciate le fibbie, sbottonati i pantaloni. Le prima carezze furono indecise perché il corpo doveva riabituarsi a quell’intimità del toccarsi che si era smarrita in dieci anni. Era come se si stessero conoscendo d’accapo pur conoscendosi benissimo. Le lenzuola erano fredde e Andrea si ritrovò con la pelle d’oca sulle braccia. Filippo sorrise.

Ti scaldo io.”

Era strano come il suo corpo non fosse molto cambiato in quei dieci anni. Era sempre snello, sempre tonico. Andrea sapeva di essere cambiato. Sapeva che era rimasto magro perché spesso si dimenticava di mangiare. Ogni tanto andava a correre, questo sì, ma non a sufficienza da poter dichiarare di farlo per tenersi in forma. Ma Filippo era ancora un uomo con una missione e la missione in quel momento era dedicarsi a dare piacere ad Andrea. Le sue labbra strette attorno a un capezzolo, le mani che percorrevano le sue braccia e i fianchi, il peso dolce e confortevole del suo sesso eretto contro l’inguine.

Non pensare, non pensare, non pensare.

Andrea continuava a ripetersi di non pensare, di ignorare il fatto che quella sarebbe stata solo una rimpatriata tra ex amanti.

Pensa solo a questo momento e a niente altro. Pensa solo a lui qui e ora.

Così bello e così perfetto. Proprio come lo ricordavo.”

Filippo lo ricordava? Aveva pensato a lui in quegli anni? Era stato un termine di paragone? Per Andrea era stato così. Tutti gli altri a confronto con Filippo perdevano sempre. La bocca di Filippo scivolò giù lungo il suo addome, si perse a baciare intorno all’ombelico e poi, con quel gesto che lo aveva sempre lasciato senza fiato, lo prese in bocca e cominciò a succhiare.

No. No, fermo.”

Filippo lo lasciò scivolare fuori dalla propria bocca e guardò Andrea con un sguardo interrogativo.

Io… Se continui così, finisco in un paio di secondi e voglio che duri ancora un po’. Solo un po’…”

Anche io.”

Filippo tornò a baciarlo, lo strinse e si girò tirandoselo addosso. Andrea gli passò le dita tra i capelli e si impose di lasciarsi andare e di godersi ogni istante di quell’avventura. Baci, carezze, di nuovo baci, qualche piccolo morso sul collo di quelli che avrebbero lasciato una piccola macchia scura a testimoniare la loro presenza. Andrea non si chiese come Filippo avrebbe giustificato quei segni, non gli importava. In quel momento Filippo era solo suo. Sentì le mani del suo amante che gli accarezzavano la schiena e poi le natiche e le sue dita iniziarono a cercarlo. Andrea chiuse gli occhi. Era passato così tanto tempo, non sapeva se ce l’avrebbe fatta.

Apri gli occhi.”

Andrea esitò primi di obbedire a quella richiesta. “Cos’hai? Sono stato io il primo con cui l’hai fatto. Mi ricordo il tuo sguardo spaventato quel giorno.”

Già. Fino a Filippo, Andrea non aveva mai concesso quell’intimità a nessuno. E aveva avuto paura prima pur sapendo che non doveva temere nulla con l’uomo che amava.

È passato tanto tempo dell’ultima volta.” Non era necessario dire che era stato Filippo il primo e l’unico, che era stata con lui l’ultima volta.

Mi prenderò cura di te esattamente come allora.”

Andrea chiuse gli occhi e si rilassò contro di lui. Era strano come potesse ancora fidarsi di lui dopo dieci anni e un tradimento. Eppure era così. Percepì il movimento di Filippo che si allungava a prendere il tubo del lubrificante, il rumore del suo tappo che si apriva, il freddo del gel, il calore delle sue dita. Sapeva perfettamente che Filippo poteva farsi strada nel suo corpo, ma che toccava ad Andrea fargli spazio nella propria mente. Fastidio e dolcezza, paura e piacere. A un certo punto non fu più possibile tornare indietro. Andrea aprì gli occhi e rimase stupito dallo sguardo di Filippo. Sembrava quello di prima, quello che lo guardava innamorato.

Come vuoi…”

Voglio guardarti negli occhi.”

Andrea si stese sulla schiena accanto a lui, lo guardò mentre si inginocchiava tra le sue gambe aperte, lo vide allungarsi a prendere la scatola dei profilattici, ma gli strinse il polso per fermarlo.

Ci servono davvero?”

Filippo abbassò il viso, confuso. “Io sono apposto, ma credevo che dopo tutto quello che è successo ti sarebbe stato difficile fidarti di me.”

Mi sono sempre fidato di te.”

Filippo si chinò su di lui e gli baciò la fronte poi, mentre continuava a guardarlo negli occhi, iniziò ad affondare nel suo corpo caldo. Andrea cercò di tenere sotto controllo quella prima reazione del suo corpo di rifiutare l’invasione di Filippo. Con la pratica diventava più semplice, ma all’inizio era sempre così. Solo che valeva la pena, eccome se valeva la pena.

Filippo si chinò ancora e appoggiò la propria guancia contro quella di Andrea. Il suo respiro era affannato e Andrea si aspettava che dicesse qualcosa, ma non pronunciò una sola parola. Un nuovo affondo deciso e Andrea iniziò a muoversi allo stesso ritmo di Filippo, dondolando e venendogli incontro. L’avevano fatto troppe volte per non ricordarsi che strumento accordato potevano diventare i loro corpi uniti. Soltanto Andrea doveva stare attento a non chiamarlo amore o tesoro mio o vita mia perché Filippo era suo solo per quei momenti e poi non lo sarebbe stato più. Spinse giù il groppo che aveva in gola e si impegnò a seguire solo il piacere. A ogni affondo di Filippo era come se il suo corpo fosse percorso da una sorta di scossa elettrica. Non avrebbe potuto ignorare quel desiderio di completezza ancora per molto. Ancora un po’, solo un altro po’…

L’ondata gli si infranse contro e gridò. Non si rese neppure conto di cosa mentre il calore si spandeva nel poco spazio lasciato libero tra i corpi di entrambi. Filippo trattenne un gemito più forte, spinse ancora e si irrigidì. Di nuovo calore che Andrea percepì nelle strette mura del suo corpo che Filippo stava abitando. E poi le braccia di Filippo cedettero e Andrea si ritrovò tutto il suo peso affannato addosso. I respiri si susseguirono mentre entrambi riacquistavano la sensazione dei propri confini fisici. Filippo si allontanò da lui e sgusciò fuori dalle coperte.

Torno subito.”

Come in un sogno Andrea vide la luce del bagno sfarfallare e sentì l’acqua che scorreva. Filippo tornò con un asciugamano umido e lo ripulì con dolcezza. Anche anni prima Andrea aveva apprezzato quei momenti di quieta intimità successivi al sesso, quei momenti che riguardavano più l’altro in se stesso che non il piacere che si dava e si riceveva. Adesso segnavano solo l’approssimarsi di quel momento in cui Filippo sarebbe sparito di nuovo dalla sua vita. Filippo, però, si stese di nuovo accanto a lui e lo abbracciò. Era evidente che stava riflettendo su qualcosa. Aprì anche un paio di volte la bocca come per parlare, ma la richiuse subito. Era strano vedere Filippo esitare. Un uomo con una missione e forse, in quel momento, non sapeva più quale fosse la propria missione. Andrea si disse che era meglio intervenire per evitare che il tutto diventasse troppo imbarazzante per entrambi.

Non devi tornare a casa da qualcuno?”

Filippo sussultò e il suo sguardo sembrò ferito e solo dopo consapevole.

No, non ho nessuno da cui tornare.”

E Mario?”

La voce di Andrea fu quasi un sussurro.

Con Mario è finita neppure due anni dopo che ci eravamo messi insieme.”

Perché?”

Perché avevi ragione tu. Perché quello che volevo davvero era più simile a quello che avevo con te piuttosto che a quello che avevo con lui.”

Fu come un’esplosione nel cuore, un dolore che Andrea non aveva mai pensato di poter provare. No. Quelle parole facevano troppo male. Aveva accettato di perdere Filippo solo dicendosi che evidentemente si erano sbagliati, che il loro non era l’amore che durava tutta una vita. O perlomeno non lo era per Filippo. Dopo due anni, invece, con Mario era finito tutto e ora Filippo era di nuovo nel suo letto. Apparentemente in ritardo di otto anni su quello che avrebbe potuto essere. E Andrea si era ripetuto troppe volte che non si può accettare qualcuno per disperazione o perché ci si sentiva troppo soli.

Perché non sei tornato allora?”

Mi avresti ripreso?”

Non lo sapremo mai a questo punto.”

Sgusciò fuori dal letto e cercò la vestaglia che teneva appesa dietro la porta. Era furioso. La lunga lista delle occasioni sprecate, delle ore perse, della vita che avevano bruciato invece di godersela gli scorreva davanti agli occhi.

Avevo paura, va bene? Paura che non mi perdonassi, paura che non mi volessi più. Eri stato così perentorio dopo che ti avevo parlato di Mario che… Oddio, ma cosa sto dicendo? Certo che eri stato deciso, ti avevo tradito, dopotutto. Ti ero stato infedele. Avevo buttato via tutto quello che avevamo costruito in dieci anni per correre dietro al puro desiderio fisico. E non era solo paura. Era pure orgoglio. Non sai quanto mi ci è voluto per ammettere con me stesso quanto avessi sbagliato.”

E ora cosa vorresti? Ricominciare da dove avevamo interrotto? Ora che hai ammesso con te stesso quanto stupido sei stato, ora vorresti ricominciare tutto d’accapo?”

Filippo esitò e lo studiò di nuovo. Andrea sapeva quale era la risposta da dargli man mano che i secondi passavano.

Va via, Filippo. Vattene. È troppo tardi per tornare indietro. Quello che è successo stasera è stato bello, ma è stato come se solo oggi riuscissi davvero a dirti addio. Va’, è meglio.”

Si chiuse la porta del bagno alle spalle e attese di sentire il rumore del portone che si chiudeva prima di azzardarsi ad aprirla di nuovo.

***

Era freddo non si vedeva una sola stella e ancor meno la luna. Solo drappi pesanti di nuvole. I lampioni erano spenti, chissà se per prassi o per incuria. Filippo si chiuse il portone alle spalle e si soffiò sulle mani per scaldarle. Era tutto molto silenzioso, molto ovattato. Guardò l’orologio e si rese conto che era passata da poco mezzanotte. Aprì la portiera della macchina e salì. Mise in moto più per accendere il riscaldamento che perché fosse intenzionato ad andarsene. Poggiò la fronte sul volante e si impose di prendere qualche respiro profondo. Cosa si era aspettato, dopotutto? Cosa aveva creduto? Che Andrea davvero fosse disposto a perdonare dopo dieci anni?

Quando l’aveva visto quel pomeriggio non era riuscito a trattenersi. Una specie di pazzia lo aveva investito e aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto. Non era la prima volta che aveva considerato quella possibilità. Altre volte aveva pensato di tornare da Andrea, di chiedergli di provare di nuovo a stare insieme. Un paio di volte aveva anche guidato fino in cima a quella stessa strada dove si trovava ora e poi era ritornato indietro.

Da una parte quel che provava per Andrea non era mai veramente cambiato. Se ripensava al giorno in cui aveva conosciuto Mario e alla prima volta che se lo era portato a letto non poteva fare altro che darsi delle stupido. Ad anni di distanza faceva ancora fatica a capire cosa fosse davvero successo.

Sì, la vita con Andrea era un calmo fiume placido, ma non era mai stata priva di emozioni o noiosa. Era semplicemente stata tranquilla. Mario era stato una tempesta in quella vita tranquilla e Filippo aveva deciso di seguire la tempesta, ma gli ci era voluto poco per capire che non si può vivere sempre sotto gli influssi delle tempeste. L’orgoglio lo aveva fermato. L’orgoglio e la paura di essere rifiutato.

Filippo alzò il viso e guardò la facciata del palazzo che era stato la sua casa per tanti anni. Le finestre erano quasi tutte illuminate con le decorazioni natalizie. Le luci non andavano tutte secondo lo stesso ritmo sincopato e si accendevano e si spegnevano a macchie. Dietro qualche tenda si intravedevano le sagome degli alberi di natale. Filippo cercò la finestra di Andrea e realizzò in quel momento che era l’unica completamente buia. Non c’era una sola luce, una sola decorazione. Il ricordo del primo Natale che avevano trascorso insieme gli attraversò la mente. Si ricordò di quanto si era impegnato per far passare una giornata serena ad Andrea. Lo aveva portato a casa sua, sua madre lo aveva accolto a braccia aperte e Filippo era stato sicuro che il suo amore avesse passato una bella giornata finché non lo aveva tenuto tra le braccia quella notte mentre piangeva per quella sua famiglia che non lo voleva più, per sua sorella che non lo voleva abbastanza. Quella notte gli aveva promesso che non lo avrebbe lasciato mai, che sarebbe sempre stato la sua famiglia.

E non aveva mantenuto la sua promessa.

La finestra era sempre buia.

Filippo mise in moto e se ne andò verso casa. Sapeva cosa doveva fare. Doveva solo sperare che fosse abbastanza.

***

Andrea si guardò nella specchio e fece una smorfia. Barba lunga, borse di chi non dormiva da più di trentasei ore. Si lavò i denti e si sciacquò il viso, ma situazione restò sostanzialmente la stessa. Erano le sei. La sua sveglia non sarebbe ufficialmente suonata prima di un’altra ora e un quarto, ma tanto non era riuscito a prendere sonno per tutta la notte, non avrebbe recuperato nei settantacinque minuti successivi. Poteva chiamare le risorse umane e mettersi in malattia. In ufficio avrebbero potuto fare a meno di lui per un giorno anche perché tutto il lavoro dicembrino era già stato fatto. Tutti quelli che avevano figli piccoli e famiglie numerose ci tenevano a lasciare meno impegni possibili a chi restava a lavoro durante le feste. Il che si riduceva spesso al solo Andrea approfittava per archiviare tutto quello che veniva trascurato nei mesi precedenti.

Soltanto che se si fosse dato malato sarebbe dovuto restare a casa e avrebbe finito per rimuginare tutto il giorno su quello che era successo con Filippo e si sarebbe solo ossessionato di più. Già lo aveva fatto per diverse ore. Non sapeva bene perché, ma il suo ritorno, l’averlo avuto di nuovo vicino continuava ad aprire nella sua mente troppe possibilità. Meglio fare uno sforzo, uscire e provare a distrarsi. Sarebbe andato a lavoro in autobus, però. Non si fidava granché a guidare. Milù miagolò nel corridoio.

Non parlo con chi fraternizza con il nemico. Sarò riuscito a prenderti in braccio tre volte in due anni, arriva Filippo e ti comporti come se foste gemelli separati alla nascita? Ma ti pare giusto?”

Milù inclinò la testa e lo fissò di nuovo. Andrea sapeva che lo umanizzava troppo, ma niente poteva levargli dalla testa che il gatto lo stesse guardando con uno sguardo sarcastico. Anche il tono del miagolio sembrò sarcastico.

Ok. Ti do da mangiare.”

Il citofono suonò in quel momento e Andrea rimase interdetto. La luce argentea del video del citofono illuminava l’entrata. Andrea non si stupì quando vide il viso slargato e spixellato di Filippo. Non voleva rispondere, ma la sua mano era già sulla cornetta.

Sì?”

Mi apri?”

Fare una scenata a quell’ora in mezzo alle scale non era proprio il caso.

Io non credo…”

Per favore. Ti chiedo solo qualche minuto.”

Andrea aprì e attese vicino al portone fino a che non sentì i suoi passi sul pianerottolo. Filippo aveva uno scatolone oblungo in una mano e diversi sacchetti nell’altra.

Sarei voluto tornare prima, ma ci ho messo un po’ a preparare tutto quello che mi serviva.”

Cosa vuoi?”

Filippo ignorò la domanda, aprì la porta della sala da pranzo e mollò tutti i suoi pacchetti davanti al balcone. Inginocchiato per terra iniziò ad aprire lo scatolone.

Cosa stai facendo?”

L’albero di natale.”

Cosa?”

L’albero di natale.”

E in effetti estrasse dalla scatola i tre pezzi di un albero di natale sintetico e iniziò ad aprire i rami pieghevoli. Milù si infilò tra le gambe di Andrea, andò a strusciarsi contro il gomito di Filippo poi iniziò a snasare con interesse lo scatolone vuoto. Guardò Andrea, guardò Filippo e poi saltò nella scatolo che, ovviamente, era troppo stretto per accoglierlo acciambellato. A Milù non sembrava importare particolarmente. Un rumore sonoro di fusa si diffuse nell’aria.

Io non ci voglio credere! Sparisci per dieci anni poi arrivi, seduci me, seduci il mio gatto e ti metti a fare l’albero di natale? È uno scherzo, vero?”

No, non lo è. Io…”

Filippo incastrò i primi due pezzi dell’albero e poi iniziò ad armeggiare con il terzo.

Tu cosa?”

Io voglio di nuovo quello che avevamo. Ho sbagliato. Ho commesso il peggiore errore che potevo commettere e ti chiedo scusa. Sono disposto a fare qualsiasi cosa per farmi perdonare. Solo, per favore, fai l’albero di natale con me. Per favore. Se quando avremo finito non ti sentirai di farmi restare, me ne andrò. Te lo prometto.”

Cosa credi che cambierà in venti minuti?”

Spero che ti ricorderai quello che mi sto ricordando io.”

Andrea guardò i sacchetti che Filippo aveva intorno e riconobbe il loro contenuto. Non avevano mai comprato un albero insieme. Quello era sempre lo stesso albero che Filippo si era portato dietro quando erano andati a vivere insieme. Anche le decorazioni erano sue. Doveva averlo preso con sé dieci anni prima e Andrea realizzò che non lo aveva mai cercato. Filippo gli mise in mano palline e gancetti e lo incitò a cominciare. C’erano delle cose che erano di entrambi. Qualche piccola decorazione, un violino di alluminio comprato in Austria, una stellina di canniccio che un amico aveva portato loro dalla Svezia. Andrea guardò quelle decorazioni e si chiese che cosa dovesse fare. In silenzio iniziò a sistemare una decorazione dopo l’altra, un filo colorato dopo l’altro. Alla fine rimase un solo sacchetto.

Cosa c’è lì dentro?”

I tuoi regali.”

Cosa?”

Non so, prendimi per pazzo se vuoi, ma il primo Natale che siamo stati separati ti ho comprato comunque un regalo. E l’anno dopo, quando Mario stava già pensando di andare via, ti comprai comunque un regalo. E ho continuato. Tutti gli anni. Non so perché l’ho fatto, ma è stato un modo di non perderti. Per non dimenticare quello che c’era stato. Io… Sono stato uno stupido e so che se pure vorrai provarci sarà difficile perdonarmi, ma… Ti amo ancora, Andrea. Ti ho sempre amato.”

Andrea lo guardò. Sapeva che Filippo stava dicendo la verità. Si alzò, andò in camera da letto e si mise a frugare in uno dei cassetti del comò. Torno in sala con un pacchetto bianco un po’ invecchiato.

Anche io ti aveva preso un regalo quel primo Natale. Non so in che condizioni è. La batteria sarà probabilmente andata.”

Filippo lo prese e guardò la carta un po’ logora e sporca sugli spigoli, il fiocco ammaccato. Sciolse il nastro e dette ad Andrea uno dei suoi pacchetti, uno blu con un fiocco verde. Erano tutti e due seduti a gambe incrociate vicino al loro albero di natale. Milù saltò fuori dalla scatola, annusò il ginocchio di Andrea e andò ad accoccolarsi nell’incavo delle sue gambe.

Questo gatto ha bisogno di uno psicoterapeuta.”

A me sembra un gatto simpatico.” La mano di Filippo scivolò dalla testa di Milù al ginocchio di Andrea. Andrea deglutì e poi sorrise.

Vuoi fare colazione?”

Un po’ di caffè mi farebbe piacere.”

Andrea annuì e grattò Milù tra le orecchie.

Le fusa del gatto risuonarono nella stanza.

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StaffRFS

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