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Lo scrigno delle emozioni Natale: Un regalo inaspettato, di Martina Salice

progetto grafico 

Chicolena

Prima di entrare nel locale dove lavoro da ormai cinque anni, mi fermo a osservare la neve che scende in lente volute dal cielo e stranamente mi ritrovo a ripensare alla mia infanzia; precisamente al giorno in cui, dopo essere rientrato a casa dal solito giro con gli amici, ho trovato mia madre morta in cucina. Ancora ricordo il suo sguardo spento e la siringa posata di fianco al suo viso. Quella siringa che, con gli anni, avevo iniziato a detestare e che mi aveva strappato tutto ciò che conoscevo.

In questo momento starete pensando a quante cose orribili fossi stato costretto a subire per colpa di una madre tossicodipendente, ma non è così. Emma non aveva mai fatto nulla in mia presenza e, cosa più importante, non aveva mai alzato un dito su di me. Non era un esempio da seguire, certo, e io dovevo badare a me stesso per la maggior parte del tempo, ma nonostante tutto le volevo bene; lei era l’unica famiglia che avessi mai conosciuto e, per colpa della droga, mi era stata strappata in un istante.

Dopo quel giorno venni dato in affido a molte famiglie. Ogni volta che cambiavo casa il mio cuore pulsava di speranza. Speranza che qualcuno mi accettasse, che capisse i miei problemi, che mi volesse bene, ma puntualmente quel desiderio veniva ridotto in brandelli quando mi rispedivano in orfanotrofio. Dopotutto chi voleva adottare un ragazzino omosessuale con fin troppi problemi? Così, anno dopo anno, quella timida scintilla di speranza si era affievolita, arrivando a estinguersi definitivamente quando divenni maggiorenne. Nonostante non avessi un luogo dove andare, fuggii dall’istituto per orfani e mi ritrovai a mendicare per strada. Finché, alcune settimane dopo, animato solo dalla disperazione, mi imbattei in un annuncio di lavoro come spogliarellista per un locale di gay. Per me non era un problema esibirmi, così mi presentai per un colloquio e fortunatamente mi assunsero. Ben presto Jerome, il proprietario del locale, mi chiese di diventare uno dei suoi gigolò. Ancora oggi non so il motivo per cui decisi di accettare la sua proposta, forse perché mi piacevano tutte le attenzioni che ricevevo dai clienti, o molto più probabilmente per ingenuità, ma dopo aver provato sulla mia pelle cosa significava non avere nulla da mangiare, mi ritenevo fortunato ad avere un lavoro che mi permettesse di vivere.

Mi riscuoto dai miei pensieri e, con un sospiro, mi decido a entrare nel locale. Mi dirigo verso il bancone di legno scuro dove prendo posto e osservo distrattamente la clientela. Il locale è affollato sebbene sia la Vigilia di Natale, ma non è nulla di strano.

«Dale?» mi chiama Jerome sedendosi al mio fianco. «Un cliente vuole trascorrere del tempo con te.»

Mi volto a osservarlo e vedo che un leggero sorriso increspa le sue labbra.

«Buonasera anche a te, Jerome» lo saluto.

Non sono infastidito dal suo comportamento, lui è così, va sempre dritto al punto ed è una cosa che apprezzo particolarmente, come il fatto che mai, in tutti questi anni, mi abbia obbligato ad accettare un incarico.

«È davvero un bel tipo» mi informa.

Scrollo le spalle. Non mi interessa particolarmente l’aspetto fisico.

«Per quanto tempo?» chiedo.

«Tutta la notte.»

Alzo le sopracciglia. Questa è una richiesta davvero strana.

«Devo proprio piacergli se vuole passare tutta la notte con me» dico con sarcasmo.

«Evidentemente. Accetti?» mi chiede nuovamente Jerome.

«Perché no?» rispondo con una scrollata di spalle.

«Ti aspetta nella sala blu» mi informa con un sorriso.

Annuisco prima di dirigermi sul retro del locale dove sono collocate tutte le salette. Mentre percorro i corridoi mi trovo ancora a riflettere sulla strana richiesta del cliente, ma accantono i miei pensieri non appena arrivo davanti alla porta. Con un sospiro mi stampo in viso un sorriso, entro e, all’uomo seduto sul divano che mi osserva con interesse, dico: «Ciao dolcezza.»

«Ciao, Dale.»

Sentirlo pronunciare il mio nome mi causa un brivido lungo la schiena che, pian piano, si propaga a tutto il mio corpo. Non mi è mai successo prima e questo mi stupisce. Cerco di scrollarmi di dosso quell’inaspettata sensazione e, mentre mi avvicino a lui, non posso fare a meno di notare la sua bellezza.

«Come ti chiami?» chiedo con interesse.

«Christoff.»

Il mio sguardo viene catturato dalle sue labbra carnose che in quel momento sono incurvate in un sorriso.

«Avvicinati, Dale» mi invita.

Osservo per qualche istante il viso abbronzato dell’uomo, sul quale risaltano due occhi di un verde intenso, poi cerco di riscuotermi da quella meravigliosa visione e inizio a sbottonarmi la camicia.

«Non sono venuto qui per questo» mi dice con voce roca.

Inarco un sopracciglio e non posso fare a meno di chiedere: «E come vorresti trascorrere il tempo a nostra disposizione?»

«Vorrei parlare» afferma semplicemente.

Non riesco a trattenere una risata. Evidentemente mi sta prendendo in giro.

«Cosa c’è di così divertente?» chiede Christoff inarcando un sopracciglio.

Incontro nuovamente il suo sguardo e capisco che non sta scherzando. Vorrei sprofondare per la figuraccia che ho fatto, invece domando leggermente sorpreso: «Perché?»

«È così strano che qualcuno voglia parlare con te?» replica.

Non so cosa rispondere. Nessuno si è mai fermato a parlarmi e io non l’ho fatto con loro. Erano solo clienti che avevano pagato per ricevere un determinato servizio e, di solito, le chiacchiere non erano contemplate.

Mi muovo in imbarazzo.

«Quindi cosa vorresti sapere?» mi ritrovo a chiedere.

«Raccontami qualcosa di te, Dale.»

Inizialmente vorrei solo andarmene, ma quando incontro quegli occhi di un verde così intenso, molto simile a quello delle foreste estive, mi lascio andare. Le parole si susseguono per un tempo che pare infinito. Parlo di tutto quello che mi passa per la testa, delle cose che mi piacerebbe fare, dei miei sogni e lui mi ascolta interessato, nutrendosi di ogni mia parola. Certe volte annuisce, altre si limita a sorridere, altre ancora ride di gusto, poi a un certo punto si alza dal divano e si avvicina al tavolino vicino alla parete. Estrae dal secchiello del ghiaccio una bottiglia di champagne e lo versa in due flûte, prima di venirmi incontro. Mi porge un bicchiere e lo fa tintinnare con il suo, poi, avvicinandosi al mio viso, sussurra: «Buon Natale, Dale.»

Rimango in silenzio per diversi istanti e osservo quell’uomo misterioso. Ancora non riesco a capire il motivo per il quale abbia trascorso la serata con me senza pretendere nulla in cambio.

«Perché hai fatto tutto questo per me?» chiedo nuovamente mentre lo osservo bere un sorso di vino.

«È davvero così strano che io voglia trascorrere del tempo con te?»

«Di solito… non funziona così» ammetto con imbarazzo.

«Io non voglio solo il tuo corpo, Dale.»

Christoff allunga una mano verso il mio viso e mi sfiora leggermente la guancia. «Non stavo scherzando quando ho detto che volevo conoscerti.»

Quell’ammissione mi colpisce nel profondo. Ho sempre pensato che agli uomini non interessasse nulla al di fuori del mio corpo, ma forse mi sbagliavo.

«Non ho nulla di speciale, Christoff» dico in un sussurro.

«È qui che ti sbagli. Tu sei speciale, Dale.»

Si china e sfiora leggermente le mie labbra.

«Tu non mi conosci» sussurro debolmente distogliendo lo sguardo.

«Forse non ti ricordi di me, ma siamo andati a scuola assieme, Dale.»

A quelle parole alzo lo sguardo sorpreso.

«Passavo ore a osservarti in lontananza…»

«Perché non ti sei mai avvicinato?»

Christoff sorride e mi sfiora nuovamente la guancia.

«L’ho fatto ora…»

Sento gli occhi inumidirsi e la mia voce tremante dire: «Nessuno hai mai fatto qualcosa per me, grazie.»

«Allora vuol dire che dovremo rimediare.»

Annuisco a quell’uomo di cui non so nulla, ma che in pochi istanti mi ha donato ciò che per molto tempo mi è mancato. Annuisco a quell’uomo che è riuscito a riaccendere la scintilla di speranza che credevo ormai perduta e che, forse, questa volta non sarà brutalmente calpestata.

«Buon Natale, Christoff» mormoro poi con un sorriso.

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StaffRFS

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