progetto grafico
Il Regalo più Bello
di
Lily Carpenetti
Arrivo trafelato nel centro della city, diretto a Regent street. Ho due ore di permesso e devo consegnare i moduli di iscrizione alla Westminster University, dipartimento di storia, sociologia e criminologia. Una follia? No, la scelta migliore che avessi potuto fare: rimettermi a studiare pur lavorando. Sono bravo in quello, mi ha sempre dato gioia e prendere una seconda laurea è ciò che potrà risollevarmi dall’appiattimento in cui sono sprofondato negli ultimi anni.
Cerco di procedere a falcate sempre più ampie, sperando di non trovare una fila chilometrica. Ho inviato l’iscrizione online, ma servono alcuni documenti da consegnare di persona e così, eccomi qua a correre da una parte all’altra della città.
Quando arrivo, rimango interdetto dallo scorgere una schiena familiare. Non può essere…
Invece è proprio lui: Derek Bannister, l’uomo del mio destino. Incredibile, erano circa sette anni che avevamo perso i contatti e negli ultimi sei mesi ci siamo scontrati e incontrati in continuazione. È stato proprio lui a suggerirmi di buttarmi in un altro corso di studi, sentendo le mie considerazioni su quanto fossi deluso dalle scelte di vita che avevo fatto.
“Ehi, che ci fai qui?” Lo saluto con un largo sorriso.
Non dovrei mostrarmi così cordiale, ogni volta che ci vediamo finiamo per battibeccare e lui sottolinea in qualche modo i miei difetti, tanto da mandarmi via con la coda tra le gambe.
Derek mi squadra e con un sorrisetto sarcastico risponde: “Non ci posso credere, Pike. Guarda che hai sbagliato indirizzo; se era la storia a interessarti dovevi dirigerti alla Queen Mary o alla Halloway. Qui si studia un altro genere di storia.”
Sapevo che anche lui era intenzionato a seguire un altro corso di laurea, ma non credevo si sarebbe diretto verso questa branca.
“Mi interessa la sociologia” mugugno.
Alza gli occhi al cielo e si fa una bella risata.
L’idea di ritrovarmi nella stessa aula con lui mi lascia senza fiato. Ci siamo lasciati in maniera disastrosa e non ci frequentiamo da allora, a eccezione di qualche caffè preso occasionalmente. Ma quest’incontro mi sembra il segno del destino, per scoprire se è sopravvissuto qualcosa del grande amore che ci aveva uniti da ragazzini.
“Ci prendiamo un caffè, poi?” Azzardo, ben conscio che l’ultima volta mi ha dipinto come un nevrotico costantemente alla ricerca di punti fermi. Lo sono, non lo nego, anche se negli anni ho lavorato molto su me stesso. Ma sentirlo dire da lui ha fatto male.
Non risponde, si è già girato, aspettando il suo turno di entrare in segreteria e io approfitto per guardargli il culo. Il fisico di Derek è sempre stato ben modellato, ma negli anni devo dire che ha messo su muscoli, forse grazie alla fisioterapia che ha dovuto seguire.
Quasi otto anni fa, quel ragazzo, con cui mi frequentavo da quando avevo quattordici anni, aveva avuto un incidente con la moto, che lo aveva costretto a sottoporsi a diverse operazioni alla gamba destra, rimasta schiacciata sotto al mezzo. Era stata una fortuna non averla persa, ma ancora oggi si vedevano i segni di quell’evento sulla sua andatura.
Da qualche tempo, all’epoca, le cose da parte sua si erano raffreddate: cominciava a sentirsi grande, avendo due anni più di me e aveva smesso di cercarmi con la solita assiduità. Io avevo visto, nella sua permanenza forzata a letto, la possibilità di ritrovarsi, diventando però ossessivo e appiccicoso; tanto da provocare una rottura definitiva nei nostri rapporti e una mia crisi depressiva.
Lui è entrato nell’ufficio, per uscirne solo alcuni minuti dopo e ora è il mio turno. Anche a me ci vuole poco per formalizzare l’iscrizione e ricevo il calendario delle lezioni. Certo, non mi sarà possibile frequentarle tutte di persona, infatti ho scelto di seguirne la maggior parte online. Ma dopo aver scoperto la presenza di Derek, la tentazione di venire in aula cresce.
Quando esco, lo vedo in piedi accanto alla finestra in fondo al corridoio e la cosa mi stupisce.
“Ancora qui?” Lo raggiungo.
“Avevi detto caffè, no?”
Mi ha aspettato. Non ci posso credere. Certo, non devo permettere al mio lato ossessivo di prevalere, ma queste piccole attenzioni da parte sua sono dei grandi gesti per un tipo così schivo.
Scendiamo alla caffetteria e ci concentriamo sul fumo che esce dai bicchierini di carta. Dovrei trovare qualcosa di carino da dire, ma l’ultima volta aveva specificato di non gradire domande personali, che includevano il lavoro come avvocato presso lo studio di suo padre.
“Non sapevo volessi riprendere anche tu a studiare. Ti devo ringraziare per il consiglio, per me non esiste stimolo migliore dei libri.”
La smorfia della sua bocca è affascinante, a metà tra il divertito e il disgustato. Mi ha sempre accusato di essere una testa d’uovo, ma lo diceva in modo bonario.
“Dopo tutto, rimani la persona che mi conosce più a fondo” mormorò, emozionandomi a quel pensiero.
“Non credo di conoscerti affatto” brontola, senza guardarmi.
Fa male. Ogni volta che lo rivedo, mi si riaccende la speranza di ritrovare un vecchio sprazzo di sentimento sopravvissuto nel tempo, ma lui non manca di demolire ogni mio guizzo di entusiasmo.
“Però, sei qui…” azzardo, rilanciando. Non sono un bravo giocatore di Poker, non so bluffare, ma quando una cosa mi interessa, la perseguo fino alla morte.
“Hai proposto tu un caffè” risponde senza entusiasmo, sottolineando un dato di fatto. Continua a tenere lo sguardo distante, come se si rifiutasse di guardarmi.
“Un caffè non è solo un caffè” non demordo. “Presenta una buona occasione per parlare. Io e te dovremmo chiudere le questioni irrisolte.”
Ora sì che mi fissa dritto negli occhi, ma la sua espressione è incredula, quasi buffa.
“E sentiamo un po’, cosa dovremmo risolvere? Te ne sei andato sette anni fa, senza nemmeno una spiegazione, né una telefonata. Hai semplicemente smesso di venire a trovarmi, sparendo nel nulla. Non ti biasimo, stare al capezzale di un infermo non è mai stata la cosa più divertente da fare il sabato pomeriggio, ma avresti almeno potuto avvertire.”
C’è acredine da parte sua, ne ha espressa di più di quanto avrebbe voluto, lo capisco dallo sguardo tornato sfuggente. Dunque, mi accusa di essere responsabile della fine della nostra storia.
Prendo aria. Ha ragione, si merita una spiegazione, anche se conosce benissimo il motivo della mia ritirata.
“Ti stavo ossessionando, rendendo la tua vita impossibile” sussurro, piegato dal ricordo di quel terribile pomeriggio.
“Stronzate” ringhia. “Ti avevo semplicemente detto di frenare. Eri al primo anno di università e io dovevo recuperare gli anni scolastici persi. Ma tu cominciavi a far programmi a lungo termine, parlando di carriere future e convivenza. Sembravi la fidanzatina d’America che desidera la casa con lo steccato bianco. In quel momento io non sapevo nemmeno se avrei camminato ancora con due gambe ed era l’unico progetto a cui riuscivo a pensare.”
Ricaccio in petto l’ansia che mi attanaglia la gola. Conosco a memoria le tecniche di respirazione, per non farmi prendere dal panico.
“Ho sbroccato” spiego con semplicità. “I mesi in cui tu non ti eri fatto vivo, l’averti ritrovato, ma vederti sofferente, mi avevano fatto diventare ossessivo, tanto da cercare disperatamente di legarti a me, in ogni modo. Le tue parole mi hanno aperto gli occhi, facendomi capire quanto avessi esagerato. Poi ho passato mesi di depressione, seguendo un percorso di psicanalisi e ho quasi perso l’anno, tanto ero a terra. L’idea di parlarti mi metteva davanti a tutto ciò che avevo perso.”
“La smetterai mai di farti i film?” Sbotta con astio. “Tu e tuo padre vivete attraverso la letteratura. Ma la vita è tutt’altra cosa: tu non sei Anna Karenina e io non impersono il giovane soldato. Kevin, datti una svegliata. Quello strizzacervelli non doveva essere molto abile se ti ritrovi a fare ancora questo genere di discorsi.”
Sono nuovamente colpito al cuore dalla sua freddezza. Io so di aver fatto grandi passi per migliorare me stesso, ma lui mi vede ancora come il ragazzino che costruisce castelli di carte. Carte che lui butta giù con un soffio, per farle precipitare sopra di me.
Mi alzo sconsolato.
“Ci vediamo a lezione” sussurro, con le lacrime agli occhi.
“Non hai finito il tuo caffè” osserva, senza scomporsi e senza dire null’altro per trattenermi.
“È troppo amaro!” Sibilo, senza voltarmi.
Sono felice di aver intrapreso questo corso di studi. È stimolante, interessante e mi sento rinato. Non ho avuto molte possibilità di vedere Derek, ma forse è meglio così. Non si può recuperare il passato. Eravamo ragazzini, poi abbiamo cambiato interessi e siamo cresciuti. Io mi sono illuso che continuassimo a capirci al volo e conoscerci nel profondo, ma probabilmente ha ragione lui. Anche se fa male ammetterlo, non ci conosciamo affatto, non più.
Questo venerdì, ho tutto il pomeriggio a disposizione per studiare e ho deciso di venire in biblioteca. Mio padre, stimato docente di letteratura tedesca a Oxford, mi ha trasmesso l’amore per i libri cartacei. Un computer e un Kindle non potranno mai sostituire l’impatto che la carta stampata ha su di me.
Le ore volano quando sono in compagnia dei testi scritti. Questa non è letteratura, è vero; si tratta di scienza. Ma il fascino che ha su di me è paragonabile a quello dei miei amati poeti romantici. Arrivano le sei di sera che non me ne accorgo nemmeno. Devo decidermi a rientrare. Prendo a prestito il libro che più mi interessa e mi accingo a riordinare gli altri.
Non mi dispiacerebbe lavorare in una biblioteca: adoro quel mondo ordinato, fatto di codici. Fino a una certa età ero convinto che avrei perseguito la carriera matematica, tanto i numeri avevano presa su di me. Ma alla fine, è stato naturale seguire le orme paterne, anche se con grande delusione dell’emerito professor Pike, non mi sono laureato con lui, ma ho preferito letteratura inglese.
Girando per gli scaffali, odo un fracasso di libri caduti, seguito dall’imprecazione di una voce conosciuta.
“Derek, tutto bene?”
È immobile davanti allo scaffale, circondato di libri a terra, piegato sulla gamba offesa.
“Ho combinato un casino” ringhia, pallido in volto. “Una fitta potente mi ha fatto mollare tutti i testi che dovevo riporre.”
“Ce ne sono parecchi” osservo avvicinandomi e cominciando a raccoglierli da terra. “Ti do una mano. Tu siediti su quella sedia.”
Finisco di riordinare in fretta e torno da lui che si sta ancora massaggiando sotto al ginocchio, con aria sofferente.
“Ti chiamo un taxi e ti aiuto a scendere in strada” offro, piegandomi verso di lui.
La biblioteca è al piano terra, ma ci sono dei gradini d’uscita che potrebbero creargli qualche difficoltà.
“Ti ringrazio, si è irrigidita e non riesco quasi a piegare il ginocchio” sussurra, appoggiandosi alla mia spalla per avere un sostegno. “Mi sa che domani piove.”
In un attimo, ci troviamo abbracciati. Il suo braccio mi contorna le spalle e lui è flesso in avanti, sfiorando quasi il mio volto con la sua guancia.
Potrei rimanere così per sempre, è passato non so nemmeno io quanto tempo da quando siamo stati così vicini. Sento il suo respiro sul mio collo e tutto il mio corpo viene attraversato da scosse d’eccitazione. Per me il tempo non è mai passato: quello è il corpo che mi ha fatto conoscere il piacere fisico e sarà sempre una calamita irresistibile per me.
Avanziamo di qualche passo, dietro la libreria alta fino al soffitto.
Un sospiro mi sfugge dalle labbra e ci sono mille sonetti d’amore in quel soffio. È come se lui li recepisse perché il suo abbraccio si fa più serrato e mi ingloba tra le sue forti braccia.
Gli bacio timidamente il collo e lui risponde girando il viso e spostando la bocca sulle mie labbra.
Continuiamo a scambiarci baci appassionati che ci lasciano senza fiato.
“Da me o da te?” Mormoro, deciso a non farmi sfuggire l’occasione di stare con lui in intimità.
“Da me c’è l’ascensore” ansima, succhiando le mie labbra.
“Meglio, dalle mie parti ci sono solo i Pachistani!”
Ridiamo, affiatati come un tempo e ci avviamo all’uscita, avanzando a fatica, mentre chiamo il taxi che ci porterà verso quello che spero rappresenti un nuovo inizio.
Il corpo di Derek è ancor più bello di come lo ricordassi e le sue mani sono sempre capaci di accendermi con un solo tocco. Il dolore alla gamba non gli impedisce di guidare l’amplesso a suo piacimento. Il suo appartamento è grazioso, molto più centrale del mio, con un’ampia stanza da letto. Non riusciamo a staccarci, c’è una forza superiore che ci spinge ad accarezzarci, baciarci e cercarci ancora, ancora e ancora.
Sono quasi le dieci quando, esausto, mormoro, restando adagiato immobile con la schiena contro il cuscino e la testa reclinata all’indietro: “Ordino qualcosa da mangiare?”
Lui annuisce, sempre restando supino: “Fai tu.”
“Cinese?” Chiedo conferma, ricevendo un grugnito in assenso.
Divoriamo i ravioli e gli spaghetti di riso, dividendoci equamente i gamberi e recuperiamo le forze per un altro match di lotta su materasso.
Non voglio sembrare invadente, ma trovo logico chiedergli: “E ora?”
“Cosa? Ribatte lui, confuso.
“Io dormirei fino a domani, ma se preferisci, posso tornarmene a casa mia.”
“Per me, puoi restare a dormire” sussurra stringendomi a sé e creando una nicchia tutta per me contro il suo corpo. Amo sentire il mio compagno contro la schiena, mi fa sentire protetto. Ora che il mio partner è di nuovo lui, questa posizione mi sembra ancora più rilassante.
Il mattino dopo è estasiante svegliarmi sempre tra le sue braccia.
“Buongiorno” biascico, baciando le sue labbra a pochi centimetri dal viso.
Lui risponde sia al bacio che al saluto, senza aprire gli occhi. È sabato e nessuno dei due ha fretta di alzarsi, ma ormai è mattina.
“Come va la gamba, vado a preparare io il caffè?”
“Se riesci a non bruciare anche l’acqua” mi prende in giro con un sorriso rilassato.
Mi chino a dargli un ultimo bacio, prima di alzarmi, nudo, per gettarmi alla ricerca della cucina. Sono sicuro che lui stia sbirciando, sento i suoi occhi su di me. Ma prima di avere il tempo di gongolare, vengo colpito da qualcosa alla testa: mi ha buttato le mutande e ora se la ride come un bambino.
Anche la cucina è confortevole e molto ordinata, così che non perdo troppo tempo a cercare il caffè.
Faccio una capatina al bagno e ricompaio pochi minuti dopo con due tazzine di caffè su un vassoio.
“Colazione a letto, signore” annuncio con tono trionfale, non dimenticando di baciarlo ancora una volta, prima di depositare il vassoio sulle sue gambe.
“Dopo, potremmo farci una doccia” propongo, già rinvigorito e pronto a lasciarmi andare ad altre effusioni. Abbiamo sette anni da recuperare, dopo tutto.
“Sì” afferma lui. “Ma dimentica di farlo in piedi!”
Vero, con la gamba dolorante sarebbe difficile, ma è piacevole ugualmente coccolarci sotto l’acqua calda che scorre sulla nostra pelle.
Non riesco a fare a meno di pensare al dopo, ma non ne parlo, non è il caso. Voglio evitare di sembrare nuovamente ossessivo.
“Devo andare a casa, avevo programmato di studiare diversi capitoli questo weekend” spiego, rivestendomi.
Lui annuisce.
“Torni stasera?”
Il cuore manca un colpo. È proprio lui a proporlo, non lo sto immaginando. Certo, il sesso è stato grande, ma non è solo questione di pelle. Non ne farò menzione, ma lo so.
Mi limito ad annuire entusiasta prima di salutarlo.
“Portati i libri” offre, previdente.
Dunque, dormirò da lui anche stanotte e domani avremo tutta la giornata per studiare, tra una coccola e l’altra.
Sono due mesi che io e Derek abbiamo ripreso a frequentarci assiduamente. Dormo quasi ogni sera da lui e ormai ho lo spazzolino nel suo bagno e un po’ di biancheria in una sezione di un suo cassetto. Ma nessuno dei due parla di convivenza o programmi. Io me ne guardo bene, anche se la assaporo ogni giorno. Questa è la vita che vedevo nel nostro futuro. Forse, ora siamo pronti e abbiamo i mezzi che servono, ma la cosa rimane in questo limbo.
Siamo molto impegnati: io insegno letteratura in una scuola superiore per ragazze e lui è particolarmente sotto pressione con i casi giudiziari che gli passa suo padre. Inoltre, tutti e due abbiamo gli studi che non mancano di darci soddisfazione. Abbiamo un approccio totalmente diverso, ma entrambi otteniamo ottimi risultati. La sera però, quando ci ritroviamo nel suo appartamento, chiudiamo fuori il mondo e ci ritroviamo in un universo solo nostro, in cui dar libero sfogo a sentimenti e passione.
Il dialogo è carente, sembra ci sia sempre una linea che entrambi temiamo di superare, dunque ci manteniamo su un territorio neutro: il presente.
“Cosa pensavi di fare a Natale, cenerai da tuo padre la notte della vigilia?” Indago, cercando di suonare indifferente.
“Scherzi?” Sbuffa lui. “Eviterò come la peste il grande party di casa Bannister. Già lo odiavo da ragazzino, quando ero obbligato a presenziare, ora che sono adulto, non ne ho la minima intenzione. Sbraiti quanto vuole, non mi avrà!”
Ridacchio, certe cose non cambiano mai. L’acredine tra Derek e l’austero genitore è rimasto lo stesso di quando lui si atteggiava a teppista e marinava la scuola: il ragazzaccio di cui mi sono innamorato. Ma io sapevo bene che quella era solo una posa, che dentro di sé quel ragazzo nascondeva un animo sensibile e un acume fuori dal comune.
“Dunque restano due possibilità” prendo la palla al balzo. “Cena a Oxford o ci chiudiamo in casa fino alla fine delle festività.”
“Daresti questo dolore a tuo padre? Lo so che ci tiene ad averti a casa, la sera di Natale” mormora comprensivo, con la netta intenzione di spingermi lontano.
Ma io non abbocco, anzi, forse questa è l’occasione adatta per parlare di impegno, di coppia.
“Allora, vieni con me.”
“Quell’uomo mi odia, ancora più di mio padre. Mi vede come il fumo negli occhi: ero il demone che traviava il suo bambino!”
“Mio padre non è così bacchettone, non ha nessun problema sul fatto che io sia gay” protesto.
“No, non perché ti portavo a letto. Ma perché correvo in moto, fumavo e ti facevo far tardi la sera” avanza con un sorrisetto compiaciuto. Si è sempre beato di quell’immagine da bad boy.
“Ormai siamo cresciuti e io desidero passare con te il nostro primo Natale” affermo risoluto.
Lo vedo combattuto, forse vorrebbe dire qualcosa, ma rimane in silenzio. Non posso far cadere la cosa così.
“Dovremmo cominciare a parlarne. Pensare a noi come a una coppia.”
Non è convinto, anche se non si oppone completamente.
“Dunque, cosa proponi?”
“Non lo so. Certo, non dico di precipitare le cose, ma stiamo funzionando insieme” inizio, cercando le parole più adatte. “Magari, il Natale potrebbe essere la prova generale per una vita assieme.”
Il suo sospiro non suona molto incoraggiante, ma di nuovo non si mette in contrapposizione a ciò che sto dicendo.
“Se a tuo padre va bene, vada per la cena a casa Pike.”
“Pronto a conoscere il rettore e sua moglie?” ridacchio per quella resa.
“Sono aperti alle coppie gay?” Indaga con una punta di ironia.
“Non lo so, tanto non dobbiamo mica baciarci sotto al vischio.”
“No, ma potremmo farlo sotto le corone d’aglio con cui tuo padre decorerà la casa per scacciarmi.”
“Succhiami il collo, vampiro” miagolo con fare seducente, mentre mi faccio baciare.
“Io so già cosa ti regalerò per Natale” continua lui, a sorpresa, senza staccare le labbra dal mio collo.
“Mancano venti giorni, vuoi giocare d’anticipo?”
Sono curioso come i bambini, non posso farci nulla. Spero di strappargli un indizio, anche se l’atmosfera si sta scaldando e i regali passano un po’ in secondo piano.
“Devo, c’è bisogno di tempo per confezionarlo. Ho pensato a un vestito nuovo, di sartoria. Visto che per ogni occasione formale usi sempre quello della laurea.”
L’affermazione mi demoralizza. Ai suoi occhi, faccio costantemente la figura del contadino vestito a festa? Glielo chiedo direttamente, a brucia pelo, senza riuscire a frenare l’indignazione.
Lo vedo annaspare, ma cerca di rassicurarmi.
“No, non è troppo datato, ma forse è ora di rinnovarsi un po’. Non voglio roba da grandi magazzini, ti regalerò un vestito come si deve.”
La sua famiglia è ricca e anche lui guadagna bene, ma non mi sembra giusto approfittarne, anche se regalo importante e di valore è sinonimo di rapporto solido, almeno per quanto conosca Derek. Lui non è uno che fa i regali solo per far colpo.
“Mi sembra un po’ troppo. Non voglio che tu ti senta obbligato” mormoro.
“Ma quale obbligo, l’ho proposto io. Mi fa piacere” si schermisce.
“Ma un completo elegante sarebbe perfetto…per gli anelli…” rido.
Lui non risponde, grugnisce contro la mia gola e mi atterra sulle lenzuola. Basta parlare.
Mio padre non si è dimostrato entusiasta al fatto che io e Derek abbiamo riallacciato i rapporti. Ricorda bene quanto ho sofferto sia mentre stavamo assieme che quando tutto è finito. Gli faccio presente che siamo cresciuti e, facendo leva sullo spirito del Natale, riesco a convincerlo ad averci a cena entrambi per la vigilia.
Il completo che mi ha regalato il mio accompagnatore è meraviglioso, di un blu brillante, non troppo scuro per non contrastare con la mia carnagione pallida. Non mi sarei mai sognato di indossare una giacca simile, mi sento veramente elegante. Anche lui è bellissimo: negli anni ha accorciato un po’ i capelli, ma scendono ancora liberi sul collo e, quando facciamo l’amore, gli conferiscono un’aria selvaggia. Per il lavoro e le occasioni importanti, riesce a legarli dietro la nuca e, con lo smoking, è bellissimo con il codino.
Ha la macchina con il cambio manuale, per girare in città non la usa spesso, ma per venire fin qui ha preferito prenderla: non si sa la disponibilità dei taxi dopo mezzanotte.
Ci diamo un ultimo bacio prima di scendere dall’auto e gli stringo la mano con fare incoraggiante. Chissà perché, mio padre lo mette sempre in soggezione.
La serata è piacevole, anche se, tanto per cambiare, ci perdiamo a disquisire di letteratura. Derek non è molto appassionato dell’argomento, perciò cerco di deviare parlando della nostra nuova avventura accademica, suscitando la curiosità del rettore Clark; mentre sua moglie e mia madre se l’intendono discutendo di argomenti più frivoli.
Sono grato a Derek per essere venuto, è importante per me, ma percepisco il suo disagio. Gli accarezzo la mano sotto al tavolo e ci sorridiamo. La complicità è totale e l’atmosfera natalizia rende tutto ancor più magico.
Questo è il mio sogno che si avvera: una famiglia tutta mia da condividere con quella di origine.
Dopo lo scambio dei regali, salutiamo e ripartiamo per Londra. Il mio regalo non l’ho portato, voglio darglielo a casa, sotto al nostro albero. È stato divertente decorarlo assieme, qualche giorno prima. Abbiamo dovuto comprare tutto l’occorrente perché, pur vivendo in quell’appartamento già da un paio d’anni, Derek non aveva mai fatto l’albero di Natale e, se non fosse stato per le mie insistenze, avrebbe evitato pure quest’anno. Avvocati, hanno il cuore di pietra!
Ci baciamo sulla soglia di casa, sciogliendo la tensione della serata.
“La gamba?” Mi preoccupo.
“No, è a posto. Sono stanco, ma non mi dà particolare fastidio” mi rassicura lui, abbracciandomi stretto.
Io mi divincolo con dolcezza per sussurrargli: “Io non ti ho ancora dato il mio regalo!”
Derek alza le mani in segno di resa. Non sopporta le convenzioni e il fatto di dover aprire i regali a Natale, meglio se dopo la mezzanotte, lo esaspera. Ma mi lascia fare.
Non l’ho messo sotto l’albero, per non rovinare la sorpresa. Mi precipito in camera e riemergo con un pacchettino di gioielleria che, già nelle dimensioni, fornisce un chiaro indizio sul contenuto: una scatoletta quadrata.
Lui fissa contraddetto prima il pacchetto, poi me. Siamo illuminati solo dalle luci colorate dell’albero, ma non mi sfugge la rughetta che gli solca la fronte, né l’espressione accigliata, mentre apre la scatolina.
Scoppio a ridere guardando la sua espressione di sollievo. Gli ho preso un ciondolo d’oro con la pietra del suo segno zodiacale: uno zaffiro blu, che è anche dispensatore d’amore. Giusto per sottolineare la cosa.
Gli piace, è sincero nelle parole d’apprezzamento, dopo tutto, è veramente un gioiello sobrio e di buon gusto.
Se lo fa mettere subito al collo e se lo rigira tra le dita, facendo brillare il piccolo zaffiro al riverbero delle lucine.
Poi, sospira a fondo, infila le mani in tasca e curva leggermente le spalle. Per quanto lo conosca, quella è una postura da imbarazzo, è combattuto, esita. Non capisco cosa stia succedendo. Non credo giudichi troppo impegnativo il mio dono, dopo tutto, il completo che mi ha regalato lui è costato molto di più.
“Il sacchettino di iuta accanto alla palla grande dorata” borbotta.
“Cosa?”
“Guardaci dentro” dice in modo sbrigativo. “C’è un altro regalo.”
Wow, un altro regalo, per me? Mi lancio sul rametto che regge quella decorazione e ne estraggo un altro piccolo scrigno, simile a quello che gli ho consegnato io.
Adesso è mio lo sguardo costernato. Il cuore batte all’impazzata. Magari abbiamo avuto un’idea simile e non è quello che sembra. Eppure, tutto nel suo atteggiamento di chiusura, mi trasmette il messaggio che in quella scatola ci sia proprio ciò che desidero.
La apro con mani tremanti e ci sono due anelli dentro: delle semplici fedine d’oro con un brillantino incastonato.
Derek si è avvicinato e, presa la fede più piccola, me la infila al dito, un po’ goffamente. Porgendomi poi la mano, per invitarmi a fare lo stesso.
“Credo che, dopo le feste, potremo cominciare a trasferire tutta la tua roba qui” osserva.
Quella è la dichiarazione d’amore più inusuale che abbia mai ricevuto, ma è l’unica che desiderassi sentire.
Ci baciamo a lungo, mentre la luce lampeggiante gioca sulle nostre sagome abbracciate. Buon Natale, questo è di sicuro il più bello della mia vita!