Il Dono Oscuro
Simona Busto
Un vortice improvviso scaturito dal nulla, una luce abbagliante che nulla aveva di terreno, e subito il suo corpo aveva preso forma, delineandosi in fretta e restituendogli le fattezze che usava avere nel mondo degli uomini. Teneva il capo chino e i capelli gli coprivano quasi totalmente il volto, lasciando intravedere solo una parte della mascella decisa.
Il buio che portava dentro di sé minacciava di ingoiarlo, per poi fuggire dal suo corpo e riversarsi sul mondo intero.
Azazel alzò lo sguardo e due lampi di un blu intenso trafissero l’oscurità.
Osservò con occhi avidi il desolato magazzino che lo circondava. Toccò un orsetto abbandonato su una pila di scatoloni vuoti, e il giocattolo rispose alla sollecitazione delle sue dita muovendosi appena. Gli occhi quasi scollati dalla testa parvero rianimarsi per un attimo, come se un guizzo di vita li avesse pervasi. Ma durò un istante. Quando l’angelo caduto ritrasse la mano, l’orsetto tornò alla propria vuota immobilità.
Il demone avanzò lento tra cumuli di polvere e detriti, muovendosi leggero verso l’uscita. Scivolò lungo le scale che nessuno si curava di pulire e arrivò fino al piano inferiore. Lì si trovava un magazzino ancora utilizzato: poteva sentire le voci degli uomini che si salutavano, si insultavano, impartivano e ricevevano ordini. La frenesia natalizia colpiva i negozi come una malattia mortale. Il cuore nero dell’angelo caduto poteva percepire poco spirito fraterno in quel luogo.
Si fermò accanto a una delle aperture, chiusa da pesanti strisce di plastica. Poteva intravedere gli uomini che si agitavano all’interno.
La solita brama colse Azazel, attanagliandogli le viscere. Sarebbe stato facile avvicinarsi a qualcuno e sfilargli piano l’anima. Ne sentiva l’energia pulsante e meravigliosa, e già pregustava il momento in cui avrebbe avuto non una ma tante di quelle meravigliose vibranti fonti di potere dentro di sé, sotto la propria pelle.
Cercò di controllare la tentazione e si scostò un poco. Si premette una mano sulla fronte e i lunghi capelli biondi la ricoprirono per intero. Resistere era davvero difficile.
«Si sente male?» chiese una voce gentile a pochi passi.
L’angelo caduto sollevò il capo di scatto, incontrando gli occhi della ragazza. Era troppo affamato, non l’aveva sentita arrivare.
Lei trattenne il fiato: era la prima volta che vedeva un uomo così bello. Rimase per qualche istante a fissare quel corpo alto, le spalle larghe, per poi soffermarsi sui tratti delicati, morbidi e regolari, in cui spiccavano due magnetici occhi di un blu intenso.
“Come il cielo di notte,” si ritrovò a fantasticare lei, prima che il sorriso sarcastico dell’uomo la riportasse alla realtà.
Sbatté le palpebre, e tornò a rivolgergli la parola: «Ha bisogno di aiuto, signore?»
Azazel rimase per un attimo a studiarla. La divisa blu da commessa non le donava: infagottava il suo corpo piccolo e prosperoso rendendolo quasi tozzo. Però nel complesso era carina, coi grandi occhi scuri da animale selvatico e i corti capelli castani. Le sorrise. Avrebbe potuto essere un interessante spuntino, ma era ormai tardi e lui non era lì per nutrirsi di anime. «È stato solo un capogiro. Ora posso fare da solo, grazie.»
La ragazza diede un’occhiata caustica al suo completo grigio, così impeccabile. Era evidente che quell’uomo non si sarebbe dovuto trovare lì, nel magazzino. «Credo…» iniziò con riluttanza. «Credo che lei abbia sbagliato piano. Se vuole l’accompagno giù in negozio.»
L’angelo caduto fece un rapido cenno di diniego con la mano. Entrare in ascensore con lei sarebbe stato troppo destabilizzante, e d’altro canto immaginava che la ragazza non si sarebbe volentieri gettata dalla tromba delle scale insieme a lui. «Non si preoccupi per me. Sì, mi sono confuso, ma troverò la strada da solo.»
Le volse in fretta la schiena e s’avviò a passo deciso verso il vano dell’ascensore.
Una voce delusa lo raggiunse da dietro: «Se avesse necessità, io sono qui.»
Un sorriso maligno deformò i tratti di Azazel, che però non si voltò. Non gli sarebbe dispiaciuto un corpo caldo da stringere, anche se la ragazza non aveva idea di quanto la sua anima avrebbe rischiato in una simile situazione. Ma non era lì per quello e nulla avrebbe potuto distrarlo dal suo scopo. Non quella notte.
Scendere con l’ascensore sarebbe stato proibitivo, l’angelo caduto lo sapeva bene. Avrebbe rischiato di dover aspettare ore, e invece il suo tempo era breve e fuggevole.
Posò una mano contro la fredda lamiera della porta automatica e la sentì obbedire al suo volere. In un attimo era riuscito a spalancarla per metà. Si sporse a guardare il pozzo buio sotto di sé, come cercando qualcosa in fondo a tutta quell’oscurità.
Poi spiccò un breve balzo e si lasciò precipitare nel vuoto mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.
Cadde. A lungo. Non avrebbe saputo dire per quanto.
Poi venne il gelido impatto contro qualcosa di grande che stava apparentemente salendo. La cabina dell’ascensore ondeggiò. Qualcuno dall’interno lanciò un breve grido. Poi però tutto fu immobile.
Azazel attese che tutti fossero scesi, si ancorò al tetto di quella cabina che scorreva sui cavi, e si lasciò trasportare verso il basso.
Stavolta quando l’ultimo passeggero fu uscito, lui saltò giù lesto dal nascondiglio, riducendo la massa del proprio corpo al punto di poter uscire.
Nessuno vide quello che aveva appena fatto.
Camminò in mezzo alla folla, ignorandola. Poi i suoi occhi si posarono su un orsacchiotto, stavolta nuovo e integro, anche troppo dolorosamente perfetto. Una fitta insolita gli perforò lo stomaco. Strinse la mano dentro alla tasca del trench e quando la riaprì sfiorò qualcosa di soffice con le dita.
Volse le spalle alla gente che si affaccendava come uno sciame di api impazzite. Ignorò le loro risate che pesavano sul suo cuore come oppressivi macigni. Avrebbe potuto spazzarli via con un gesto della mano. Era difficile sopportare avendo questa consapevolezza.
Indugiò di fronte all’uscita, soppesando la tentazione che lo aveva afferrato. Poi scosse il capo. Ci sarebbe stato tempo per quello. Il giorno del giudizio non era poi così lontano.
L’angelo caduto infilò le mani nelle tasche del trench scuro e camminò a grandi falcate sotto il cielo di Parigi. Mosse solo pochi passi e subito il cielo plumbeo lasciò volteggiare i primi fiocchi bianchi.
Azazel si fermò e sollevò il volto, incurante della folla che lo urtava e spesso lo insultava. Subito un cristallo ghiacciato si posò nell’angolo interno del suo occhio, per poi sciogliersi e scivolare silenzioso sulla guancia. Così simile a una lacrima.
Il demone l’asciugò rabbiosamente. Le lacrime non erano per lui. Ne aveva versate a sufficienza in passato. E ora non era rimasto nemmeno più il desiderio di piangere. Né di pentirsi.
I suoi occhi dardeggiarono nella notte, così pregni di rabbia da inchiodare sul nascere le rimostranze dell’ennesimo passante che l’aveva urtato. L’uomo rabbrividì e riprese a camminare in fretta, ingobbendosi nel cappotto.
Azazel digrignò i denti, strinse il pugno sull’oggetto morbido che aveva ancora in tasca, e riprese a camminare, lo sguardo cupo e minaccioso fisso sulla strada illuminata dalle prime luci artificiali. Era tardo pomeriggio, e il crepuscolo invernale era già all’apice del proprio splendore. Mancavano pochi istanti perché la notte, sfregiata dai freddi lampioni, non tornasse a essere indiscussa padrona della città.
Quando li vide l’angelo caduto ebbe un sussulto: erano cinque e stavano seduti intorno a un’antica fontana di pietra. Sembravano voler rivaleggiare con la statua maestosa dell’angelo che sorreggeva una fiaccola, da cui l’acqua gelata zampillava ininterrotta. I loro occhi si volsero simultaneamente verso di lui. Lo stavano aspettando.
Azazel contrasse la mascella. Non aveva paura. Non era più in grado di provare quel sentimento. Eppure un brivido gli corse lungo la schiena al pensiero che avrebbero potuto impedirgli di raggiungere la sua meta, o almeno avrebbero potuto provarci.
Tre erano semplici angeli guerrieri. Il quarto era un demone al servizio di Lucifer, come lui. Ma era comunque lì in veste di nemico.
Corrugò la fronte, e li osservò senza mostrare emozioni. I suoi occhi erano attratti come calamite dal quinto di loro, l’unico che non si era alzato quando l’angelo caduto si era avvicinato.
«Resta dove sei, Gabriel,» ringhiò quando fu a pochi metri da loro. «E rispetta il patto. Questa è la notte in cui la mia punizione e il mio riscatto raggiungono il loro apice. Sarai forse tu, un angelo divino, a negarmi quello che mi spetta?»
Gabriel si alzò dal bordo della fontana, l’espressione impassibile, priva di rabbia come di compassione, identica a quella della statua di marmo.
Azazel lo guardò avvicinarsi, osservò gli ultimi bagliori del crepuscolo che si riflettevano su quei capelli di un biondo più chiaro dei suoi, e la piega sdegnosa della sua bocca piena.
Si fissarono da vicino, sfidandosi senza timore, così simili e così diversi, una volta fratelli, prima della ribellione.
«Lascia che vada per la mia strada,» sibilò il demone, mentre gli occhi gli lampeggiavano di un sinistro bagliore azzurrino.
Gabriel scosse tristemente il capo. «Sei e resti mio fratello. Voglio aiutarti. Sono qui per questo.»
La risata amara di Azazel trafisse come un colpo di spada la notte ormai calata. Un paio di passanti si voltarono e lo fissarono intimiditi, ma durò solo pochi secondi. Il poco istinto sopravvissuto nella razza umana era sufficiente a far loro riconoscere un pericolo subdolo e letale come quello rappresentato dall’angelo caduto.
Gli occhi del demone sostennero quelli di Gabriel, senza tentennamenti. «Non c’è salvezza. E non c’è perdono per me. Dovresti saperlo bene.»
L’angelo sospirò e allargò le braccia. Subito gli altri quattro lo circondarono. «Sono stato inviato qui per chiederti di pentirti. Farò quello che è necessario per riportarti a godere della luce del Padre.»
La mascella forte e squadrata di Azazel si serrò. «E lui? Anche lui si preoccupa della mia anima?» E nel parlare aveva indicato il demone che stava ritto spalla a spalla con uno degli angeli. Lo riconosceva, era uno dei più infidi fra i traditori. Di ogni causa.
Le labbra di Gabriel ebbero un impercettibile tremito. «Lui è qui per rivendicare il diritto di scelta degli Inferi. Il pentimento può implicare il perdono, ma questa è solo una possibilità, non una certezza. Lo sai.»
Azazel rise ancora, sprezzante. «Posso liberamente scegliere di perdere me stesso e poi il primo che arriva si prenderà i brandelli della mia anima. È così?»
Gli occhi dell’angelo restarono impassibili. «Fallo, fratello. Se ci pensi, è un ben piccolo sacrificio a paragone del premio che ne potrebbe derivare.»
Il demone al servizio di Lucifer sogghignò. Anche per lui e per il suo padrone poteva esserci una vincita interessante. La punizione era durata a lungo, molto più di quanto chiunque si aspettasse. Riavere tra le proprie schiere uno degli angeli più potenti che avessero abbandonato il Regno dei Cieli non sarebbe stata un’impresa di poco conto.
Azazel chiuse gli occhi e in un attimo la città fu lontana sotto di lui. Non si era preoccupato che qualcuno potesse vederlo. Era semplicemente svanito e ora il suo corpo posava quasi sulla cima illuminata della Tour Eiffel. Gli altri gli furono intorno in un baleno, le ali spiegate e le spade strette in mano.
L’angelo caduto non provò neppure a liberare le proprie ali. Sapeva che non avrebbe potuto. La sua seconda ribellione aveva avuto conseguenze più pesanti della prima: la solitudine non era più quella di un deserto, ora era isolato sebbene si trovasse in mezzo alla moltitudine di uomini. A bloccargli le ali era il suo odio verso gli esseri umani che lo avevano tradito e consegnato ai suoi carnefici. Ma c’era anche un altro sentimento, non meno forte e non meno sbagliato, e anche quello era responsabile della sua condanna.
Non aveva ali, non aveva spade, ma Azazel era pronto a resistere. C’erano stati momenti in cui aveva desiderato ardentemente di pentirsi, eppure sapeva che non avrebbe mai potuto farlo. Mai sarebbe riuscito a rinnegare se stesso.
Il primo ad attaccare fu uno dei guerrieri, i capelli scuri che si spostavano indietro nella foga dell’affondo, la spada puntata in avanti. Ma l’angelo caduto fu più veloce. Facendo leva su una delle sbarre orizzontali che sostenevano la torre, spostò rapido i piedi in avanti e colpì con un calcio il guerriero prima che potesse toccarlo con la lama. L’urlo di dolore lo colse per un attimo alla sprovvista. Azazel ebbe un tremito. Stava per uccidere uno dei propri fratelli. Durò un istante. Quando il giorno del giudizio sarebbe venuto questo sarebbe comunque stato il suo destino: indipendentemente dalla parte che l’avrebbe infine visto tra le proprie schiere, lui avrebbe massacrato i propri fratelli.
Tolse senza fatica la spada dalla mano del guerriero e la affondò dritta nel suo petto, fino all’elsa. Un lampo di stupore su quel volto delicato, poi l’orrore, e infine una luce accecante che tutto dissolse.
Prima che potessero reagire, Azazel aveva ritratto la spada e roteato il braccio all’indietro, per poi farlo scattare in un lancio perfetto.
La lama centrò in pieno la gola del demone, che riuscì solo a emettere un sordo gorgoglio, prima di dissolversi in una densa nebbia grigiastra.
Ne restavano ancora tre.
L’angelo caduto si volse a guardarli, sfidandoli apertamente.
Il volto di Gabriel ora era teso, la sua mascella contratta. Spalancò gli occhi e poi li strinse in due fessure colme di astio.
«Potrei ucciderti qui e subito,» sibilò con furia.
Azazel sogghignò. «Potresti provarci. Forse anche gli altri due credevano di riuscirci facilmente.»
I due angeli guerrieri sopravvissuti avanzarono, digrignando i denti, ma Gabriel li fermò con un gesto del braccio. Sapeva di aver perso già due vite. Era troppo per il compito che era stato affidato loro. Non era previsto che degli angeli morissero per riportare Azazel al regno dei Cieli. La sua anima non valeva quel prezzo.
Gabriel sospirò e guardò con un misto di compassione e rabbia quello che un tempo era stato suo fratello. «Ci rivedremo, e accadrà nel momento in cui invocherai pietà per la tua anima.»
Il demone gli rivolse un ampio sorriso di scherno. Poi vide entrambi i tre angeli svanire nella notte rischiarata dalle luci della città.
Azazel abbassò lo sguardo. Nessuno sembrava aver notato quello scontro crudele che si era svolto a pochi metri da terra, accanto a uno dei monumenti simbolo dell’umanità.
L’angelo caduto si lasciò scivolare rapidamente fino a toccare il suolo con i piedi. Si guardò intorno. Un bambino lo stava fissando con occhi pieni di meraviglia, da cui trapelava anche un po’ di paura. Azazel gli fece l’occhiolino, prima di riprendere quel cammino che era stato così bruscamente interrotto.
Era ancora presto. Non aveva bisogno di affrettarsi.
La neve ormai ricopriva per intero i suoi lunghi capelli biondi e il trench troppo leggero, ma nessuno sembrava farci caso, tantomeno l’angelo caduto.
Azazel scese gli scalini della metropolitana inspirando l’olezzo dei corpi in rapido movimento che si affaccendavano intorno a lui. Osservò gli uomini arrivare correndo e saltare con forza per superare le alte barriere senza dover pagare l’ingresso.
Una smorfia di disprezzo tirò il volto del demone. Patetici esseri privi di ogni dignità. Non sarebbe mai riuscito ad amarli.
Immobile nel centro della carrozza, le braccia conserte, non faceva caso a coloro che lo urtavano in continuazione. Però ne sentiva l’odore, e il desiderio di impossessarsi almeno di un’anima quella notte si gonfiò in lui fino a dargli un senso di oppressione.
Scese con un sospiro di sollievo e uscì dalla stazione circondato dalla folla fastidiosa, troppo concentrata su se stessa, migliaia di pacchetti colorati stretti nelle mani, e cuori aridi come il deserto.
Pochi metri percorsi a piedi, e Azazel vide profilarsi la sagoma grigia del cimitero di Père-Lachaise.
Con un brivido si fermò a leggere le scritte sulle due alte torri che facevano da sentinella all’ingresso principale: “Spes illorum immortalitate plena est” e “Qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet”.
«La loro speranza è piena di immortalità,» sussurrò l’angelo caduto. E dopo un istante: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà.»
Azazel strinse i pugni e la sua mascella si serrò. Gli occhi blu scintillarono nella notte. La rabbia era palpabile, scuoteva la sue ali imprigionate, facendole dolere.
Lanciò un’ultima occhiata al portone dell’ingresso ormai chiuso, poi proseguì fino a un angolo un po’ nascosto del muro. Una lieve flessione delle ginocchia, e il suo corpo era accosciato in cima alla cinta. Saltò giù, silenzioso come un animale notturno.
I ciottoli grigi erano invisibili, coperti da una spessa coltre di neve, fredda e immota sotto la suola delle sue scarpe. A fatica poteva riconoscere le imponenti cappelle che sorpassava, una dopo l’altra, ma le conosceva a memoria.
La statua di un angelo bambino, il volto contrito in una smorfia di sofferenza, attrasse per un attimo la sua attenzione. Azazel contrasse le labbra, i suoi occhi dardeggiarono ancora nella notte.
Poi non guardò più nulla, la mente concentrata sul percorso che aveva compiuto così spesso, il cuore che iniziava ad accelerare il proprio ritmo. E poi parve perdere un battito, appena scorse la tomba che stava cercando.
Si fermò un attimo, portandosi la mano al petto, mentre gli occhi si inumidivano. Poi avanzò fino a mettersi davanti alla pietra. Si chinò e tolse la neve che la ricopriva, finché la pietra non fu sgombra. Era una delle più semplici, priva di qualsiasi iscrizione, scavata direttamente nella terra e sormontata da una nuda lapide. Non vi era nome, né ritratto, nulla indicava chi fosse sepolto nel suolo gelido della Parigi invernale.
Azazel chiuse gli occhi e alzò il capo. Aveva ricominciato a nevicare.
Quanto tempo era passato dalla sua seconda ribellione? Da quanto aveva tradito anche Lucifer? Non lo ricordava più, ma sapeva che il suo corpo e il suo spirito erano banditi da secoli, banditi dal Cielo come dal fuoco degli Inferi, in solitudine.
Le lacrime scesero copiose, mischiandosi con la neve che si scioglieva sulla pelle calda del suo volto. La solitudine era il suo Inferno personale, e da quello spaventoso isolamento dell’anima nulla avrebbe mai potuto salvarlo.
«Oh, Céline!» esclamò in un sussurro. «Troppi gli anni che esisto in questo mondo privo di te, ma anche un minuto trascorso senza la tua presenza sarebbe stato interminabile.»
Non sarebbe dovuto succedere, lui lo sapeva. Non avrebbe dovuto amare un essere umano, e soprattutto non avrebbe dovuto amare una donna che era nata per vivere nella luce.
Non era stata cattolica, la sua Céline, non avrebbe potuto esserlo, non lei che era nata con il dono della grande Madre Terra nelle vene. Il culto di cui era impregnata la sua esistenza esisteva sin dall’origine del tutto, lei era parte della natura, e dalla natura veniva la sua magia bianca. Per secoli gli uomini avevano finto di crederle estinte, ma le streghe bianche non avevano mai cessato di calcare il suolo.
Per tutta la vita aveva usato quel dono per aiutare gli uomini, per guarirli, per mitigare la loro sofferenza e lenire le pene del corpo e dell’anima.
Azazel ricordava ancora anche con troppa chiarezza il loro primo incontro, quando Lucifer l’aveva mandato tra gli uomini per vincere l’anima di quella ragazza alla causa dell’oscurità.
Si erano urtati mentre lei usciva di casa, i lunghi capelli nerissimi sciolti sulle spalle, la vita sottile stretta nell’abito chiaro che quasi sfiorava il terreno. L’aveva guardata, e sapeva che avrebbe dovuto insidiarla, per tingere di nero quella magia che tanto bene aveva operato nel mondo. E gli si era stretto il cuore.
A lungo ci aveva provato, legato alla propria promessa infernale, disposto a tutto pur di tenere fede al patto che sin dall’inizio l’aveva visto al fianco di Lucifer.
E quando, dopo mesi di insuccessi, infine aveva scelto di usare l’arma estrema, cioè il proprio corpo e l’amore carnale per un demone, si era ritrovato sconfitto nella guerra che lui stesso aveva iniziato.
L’amava.
Azazel ricordò con chiarezza il momento in cui aveva scelto di rivelarle la propria vera natura. L’immagine dell’orrore iniziale negli occhi di Céline era ancora vivida nella sua mente.
Le aveva voltato le spalle, sopraffatto dall’abominio che era nella sua stessa natura. Poi aveva sentito una mano che gli sfiorava una spalla, e labbra calde che si posavano alla base del suo collo.
Quando si era girato a prenderla tra le braccia e ad accogliere tutta la passione del suo bacio, allora aveva saputo che nulla li avrebbe mai più separati.
Erano fuggiti. Si erano nascosti. Ma non ti puoi celare a lungo dai demoni. O dagli angeli.
Lui, che era stato il braccio destro di Lucifer, aveva ucciso, massacrato, mutilato, decine di coloro che una volta gli erano stati fratelli. Poi era fuggito con lei di nuovo. E di nuovo.
Ma infine erano stati gli uomini, quegli stessi uomini che Céline aveva aiutato per tutta la vita, a tradirli.
Si erano mossi con le torce in mano, fomentati dall’odio e dalla paura per quello che non comprendevano. In un corteo minaccioso avevano percorso le strade di Parigi, inneggiando all’odio e a un distorto concetto di giustizia. Le loro voci cariche di odio erano giunte fino a demoni e angeli, rivelando il nascondiglio della donna e dell’angelo caduto.
Erano arrivati insieme, e mentre Azazel veniva trascinato lontano dagli arcangeli punitori, Céline era stata raggiunta dalla folla urlante. Aveva tentato di fuggire, invocando disperata il nome dell’amato. L’avevano presa e trascinata fuori in una fredda notte di Natale. Poi l’avevano coperta di sputi, strappandole i vestiti di dosso. Nessuno aveva osato toccarla, forse temendo che il contatto potesse trasmettere loro la maledizione della strega. Le prime pietre l’avevano colpita ai fianchi e alla schiena, mentre cercava disperatamente di coprirsi rannicchiandosi al suolo.
L’angelo caduto aveva gridato, obbligato a vedere la scena mentre le dita impietose degli arcangeli lo immobilizzavano. Il suo urlo aveva scosso la notte e fatto tremare la terra. Gli uomini si erano fermati per un istante, atterriti. Ma questo era servito solo ad accrescere la loro rabbia.
L’avevano sollevata da terra e legata a un palo che qualcuno aveva piantato nel terreno. La catasta di legna ai suoi piedi era stata ammonticchiata in fretta. Volevano liberarsi di lei al più presto. La paura albergava nei loro cuori quanto l’odio. Perché anche nel diciannovesimo, come nei secoli che sarebbero seguiti, la superstizione e il terrore per il diverso albergavano nei cuori della gente.
Il fuoco aveva iniziato ad ardere in pochi secondi e le fiamme erano salite svelte verso il corpo di Céline. Lei era rimasta a fissare i loro sinistri bagliori a occhi sbarrati, mentre le sue urla laceravano la notte, poi aveva guardato i propri carnefici, e infine sollevato il capo al cielo, gridando un’ultima volta il nome di Azazel.
Lui l’aveva vista morire e stavolta il suo urlo lacerante aveva spaccato la terra in una crepa profonda. I muri delle case erano cadute, travolgendo gli assassini. I sopravvissuti erano fuggiti senza voltarsi indietro.
Ed era stato allora che gli arcangeli lo avevano liberato. Era caduto e aveva colpito con forza il suolo. In un attimo era riemerso dal profondo cratere che l’impatto del suo corpo aveva creato.
L’aveva raggiunta, ma aveva potuto stringere solo un corpo martoriato, da cui la carne bruciata si staccava impietosa.
Aveva pianto, e le sue lacrime avevano guarito in parte l’orrore perpetrato dal fuoco. Ormai troppo tardi.
Gli arcangeli erano planati silenziosi attorno a loro. Era stato Gabriel a fare un passo avanti e la sua voce era suonata impietosa: «La seppelliremo nel nuovo cimitero. Non ci sarà alcuna funzione per lei. Non potrebbe. Però, anche se la sua fede è sbagliata, riconosciamo che il suo cuore è puro. Sconterà il peccato di aver amato un demone. Dovrà riparare a lungo. Ma poi sarà ammessa nel Regno dei Cieli.»
Un ringhio sordo, carico di disperazione, era scaturito dalla gola di Azazel: «Avete permesso che venisse uccisa!»
Il volto di Gabriel non aveva dato alcun segno di emozione, mentre replicava: «Noi non interferiamo nel destino degli uomini. Tu sei stato il solo a farlo. Quel che è successo è soprattutto colpa tua.»
L’angelo caduto si era piegato sul corpo senza vita di Céline, e gli altri avevano permesso che desse sfogo al dolore e alle lacrime che non volevano arrestarsi.
Li aveva seguiti fino al cimitero, volando con loro come aveva fatto un tempo. Eppure ora non era più parte delle schiere angeliche. Adesso la rabbia era la sola emozione che animasse il suo corpo immortale.
Avevano seppellito Céline nella terra gelata di Père-Lachaise. Prima che posassero la pietra grigia a coprirla, Azazel si era gettato su di lei, e l’aveva abbracciata ancora, per l’ultima volta, mettendo tutta la propria disperazione in quella stretta.
E quando finalmente l’aveva lasciata, e la tomba era stata chiusa, era stato allora che Lucifer con le sue schiere era comparso.
Gli occhi accusatori del principe demone si erano posati su Azazel e non c’era clemenza in loro.
Fremendo, Azazel scosse via i ricordi che si erano addensati su di lui come una cappa di piombo. La mezzanotte si stava avvicinando. Lo sentiva nell’aria, nella presenza che prendeva via via consistenza.
Raddrizzò la schiena e chiuse gli occhi, il cuore che riprendeva ad accelerare i battiti, come impazzito. Stava aspettando.
L’aria intorno alla tomba parve addensarsi, solidificandosi in fretta. Era giunto il momento.
L’angelo caduto aprì di colpo gli occhi, lasciando che il loro blu si adeguasse alla notte.
Il corpo prese pian piano forma, divenendo sempre meno impalpabile, finché la figura della donna fu nitida quasi come se fosse stata ancora fatta di carne.
Céline gli sorrise.
Azazel tese la mano e la ragazza fece altrettanto. I loro occhi erano incollati. Le loro anime tese a incontrarsi, a raggiungersi di nuovo.
La mano dell’angelo caduto aveva ormai quasi raggiunto quella di Céline. E l’orsetto, preso dal magazzino dimenticato, fece improvvisa la sua comparsa tra le dita di Azazel. Quell’oggetto inanimato tornò in un istante all’aspetto che aveva avuto appena uscito dalla fabbrica.
Il sorriso della ragazza si allargò, mentre stringeva nella mano ora sensibile il piccolo peluche. Le loro dita si sfiorarono, dando un fremito ai cuori che anelavano quell’amore perduto.
Durò un istante. Poi il corpo di Céline tornò a farsi diafano, e la mano del demone le passò attraverso.
Le loro espressioni mutarono: incredula e rabbiosa quella di Azazel, mesta e rassegnata quella della ragazza, che stringeva al petto il peluche, anch’esso ora quasi trasparente.
L’angelo caduto avanzò, e tentò ancora di abbracciarla, ma le sue mani strinsero solo l’aria.
Due grandi lacrime rotolarono sulle guance di Céline, ora praticamente eteree.
E in un attimo di lei non rimase nulla.
Le gambe di Azazel cedettero. Si ritrovò in ginocchio sul suolo coperto di neve, i capelli bagnati gli si incollavano sul volto, gli occhi erano spalancati sul punto in cui lei era svanita.
La condanna era stata impietosa, ed era stato Lucifer a pronunciarla. Ogni anno si sarebbero potuti incontrare, per pochi minuti e solo all’inizio della notte di Natale. Ma non ci sarebbe stata nessuna possibilità di redenzione, nessun pentimento, non finché uno dei due avesse deciso di disertare il loro appuntamento.
La mano di Azazel artigliò la neve, la strinse fino a farne un panetto compatto e ghiacciato. Poi lo lasciò cadere.
Si alzò piano. Si asciugò le lacrime dal volto. Non c’era più nulla lì per lui.
E la rabbia divampò, insieme al dolore.
Non l’avrebbe permesso, mai. Non avrebbe lasciato Céline. Avrebbe continuato a essere un reietto, a vagare tra Inferno e Paradiso, chiuso fuori da entrambi i cancelli.
La solitudine era un peso gravoso, a volte intollerabile, ma l’avrebbe sopportata. Mai nella vita avrebbe rinunciato a lei.
E avrebbe atteso la notte di Natale ogni anno, aggrappandosi a quel dono oscuro che gli era stato concesso, finché il mondo non fosse arrivato alla scadenza del proprio tempo.