progetto grafico
Mancavano pochi giorni a Natale. L’aeroporto di Vienna era un trionfo di luci e di colori. Lunghi festoni argentati e dorati, rami d’abete e vischio ornati con stecche di cannella e nastri. Ogni negozio e fast food sfoggiava il suo abete carico di grandi fiocchi rossi, gingilli scintillanti e angeli di cartapesta. E musica. Ovunque. In certi punti sovrastava perfino gli annunci all’imbarco in più lingue. Il fiume di gente in transito rallentava davanti alle vetrine scintillanti. Spesso un bagaglio a mano diventava più pesante a causa degli acquisti. Voci, musica, luci, odore di cibo. La manifestazione del consumismo più sfrenato, camuffato da festa religiosa.
Per Max invece il Natale era Natale, indipendentemente dagli spot pubblicitari. Sette anni, occhi azzurri, voglia di gioco. Fissava incantato una slitta in mezzo a una vetrina di giocattoli, con accanto un manichino panciuto, vestito da Babbo Natale, intento ad aggiustare i finimenti di due renne di pezza a grandezza naturale. Dai sacchi di juta accatastati sulla slitta, spuntavano pacchi regalo rossi col fiocco dorato. Subito dietro a Babbo Natale, avevano posizionato dei folletti-pupazzo nell’atto di incartare gli ultimi doni e Max ne puntò subito uno.
Quanto vorrei la stazione di servizio, quella tutta da montare, con le pompe di benzina…
“Ti piace la vetrina?” chiese una voce maschile alle sue spalle.
Max sussultò. Sua madre lavorava nella ditta di pulizie dell’aeroporto e lui non avrebbe dovuto trovarsi lì. Ma la stanza con gli stipetti assegnata alla ditta per i dipendenti era davvero troppo grigia e triste per giocarci. Il turno di lavoro della mamma durava sei ore. A lui sembravano eterne. Così aveva trovato il modo di sgattaiolare fuori, eludendo la sorveglianza delle guardie giurate, per gironzolare nell’aeroporto. Si era spostato di continuo per non farsi beccare dalla mamma o da uno dei suoi colleghi. Infine era incappato in quella vetrina meravigliosa. Evidentemente il suo interesse non era passato inosservato. Si sentì perduto.
Se è uno della sorveglianza, la mamma verrà licenziata.
Si voltò col cuore in gola guardando in alto. Invece dovette abbassare gli occhi. La voce apparteneva a un uomo poco più alto di lui. Indossava un completo sportivo marrone: pantaloni di velluto a coste e, sotto alla giacca in tinta, un panciotto a quadri scozzesi. Sulla camicia beige, spiccava la cravatta a fiocco, di un rosso sgargiante.
“Molto” rispose il bambino fissandolo con curiosità.
“Anche a me” sorrise il nano. “Ci ho messo parecchio per rifinirla come si deve.”
Lo stupore di Max si fece tangibile. “L’ha fatta lei?”
“Certo. Dimmi, qual è il particolare che ti piace di più?”
Se dico che mi piace la scatola della stazione di servizio, penserà che sono maleducato. Però è brutto dire le bugie. “L’aiutante di Babbo Natale. Quello con la scatola grande” rispose senza mentire troppo.
“Ah, la stazione di servizio” l’ometto gli strizzò l’occhio con fare complice. “Hai buoni gusti. Vuoi vederla da vicino?”
“Io…” Max fece un piccolo passo indietro. “Veramente la mia mamma… devo andare…”
Il nano gli posò amichevolmente una mano sulla spalla, trattenendolo. “Hans. Il mio nome è Hans. E questo negozio è mio. Davvero non vuoi dare un’occhiata ai giocattoli? Forse la mamma te ne compra uno. Coraggio, entra!”
Max si guardò attorno incerto. Sua madre gli aveva ripetuto fino allo sfinimento che era pericoloso parlare con gli sconosciuti. Men che meno si dovevano accettare inviti. Però si trattava di entrare in un negozio con dentro tanta gente e certamente l’aeroporto era ben sorvegliato. Cosa gli sarebbe potuto succedere? Inoltre l’idea di tenere tra le mani la scatola almeno per un po’ era una tentazione fortissima.
La fortuna corse in suo aiuto. Poco lontano una donna seduta accanto alla sua valigia agitò una mano più o meno nella sua direzione e lui finse di rispondere con un cenno del capo.
“Va bene” acconsentì.
“Oh, è quella la tua mamma… non le somigli molto. Dai, entra e cerca quel che fa per te.”
Una volta varcata la soglia, Max sgranò gli occhi dalla meraviglia. Il negozio sembrava molto più ampio. Giocattoli ovunque. Sotto lo sguardo attento dei genitori, i bimbi passavano in rassegna gli espositori, sognando davanti alle confezioni ancora chiuse ma cariche di promesse, mentre al centro del negozio troneggiava uno splendido plastico con rotaie e trenino elettrico. Max si avvicinò per osservare meglio. Giunta a un passaggio a livello, la locomotiva si fermò per lasciar passare la slitta con Babbo Natale. Il bambino dimenticò presto il motivo per cui era entrato e cominciò a passare in rassegna gli scaffali, sognando come tutti gli altri. Infine si fermò davanti alla confezione con la stazione di servizio.
Come quella in cui lavora il mio papà. Una volta ci andavo sempre a trovarlo.
Ancora una volta la voce di Hans lo fece trasalire.
“Allora? Cosa ti farai comprare dalla mamma?”
Il bambino aveva il cuore in gola. “Veramente lei non ha tanti soldi e papà ha una nuova famiglia. Non credo che avrò dei regali quest’anno.”
“Dici?” Hans sembrava sorpreso e nel contempo contrariato. “Oh, be’… allora non ti rimane che scrivere a Babbo Natale!”
Max sorrise scettico. “Gli ho già scritto un sacco di volte. Credo non sappia leggere molto bene, o magari gli servono occhiali con lenti più spesse, perché mi ha sempre portato solo cose che non avevo chiesto. Anche se…” si interruppe e guardò il nano con fare complice. “Un mio compagno di classe dice che Babbo Natale non esiste…”
“Non esiste?” Hans rimase letteralmente scandalizzato. “Come si fa a dire una cosa di questo genere? Assurdo! Babbo Natale esiste, te l’assicuro. Negli ultimi tempi si è pure modernizzato. Immagino tu gli abbia scritto una richiesta su carta, come si faceva una volta.”
“Io… be’…” arrossisce il bimbo.
“Ma allora quando torni a casa collegati a internet e…” si interruppe notando lo sguardo sconsolato di Max. “Che c’è?”
“Non so se la mamma mi farà usare la sua chiavetta di connessione per scrivere a Babbo Natale. Anzi, mi sa proprio di no.”
“Capisco” sospirò il nano. “Per tua fortuna io sono un tipo previdente. Ecco, guarda qui” lo condusse davanti a un portatile posato su un bancone del negozio. “È già collegata al sito giusto. Inserisci i tuoi dati e scrivi qual è il regalo che desideri. Quando hai finito, premi l’invio. Semplice, no? Fai pure con calma, io ho vado a controllare il negozio” concluse allontanandosi.
Rimasto solo, Max fissò scettico lo schermo. La pagina virtuale era aperta su un sito che non aveva mai sentito nominare: Babbo Natale Express – sogna e avrai. Subito sotto, il cursore lampeggiava nella prima casella, quella in cui scrivere il nome.
“E va bene, ci provo!” mormorò quasi con rabbia. “Ma se anche stavolta non succede niente, vuol dire che non esisti!”
Cercò sulla tastiera le lettere per comporre il proprio nome e cognome. Rimase perplesso quando il campo dell’indirizzo si riempì da solo. Però aveva sentito dire che in rete potevano accadere cose incredibili. E se si fosse trattato di un hacker? Forse il sito era solo una trappola, a scuola ne aveva parlato spesso con i compagni. Si guardò attorno senza riuscire a decidersi.
“Che ho da perdere?” decise infine.
Nella casella relativa al dono desiderato, scrisse: pompa di benzina. Un momento prima di spedire la richiesta trattene l’indice e aggiunse: un paio di stivali caldi per la mia mamma.
Invio.
La finestra si chiuse formando l’immagine di una busta su cui troneggiava la scritta Polo Nord, che divenne piccolissima svanendo sullo sfondo verde, per lasciare nuovamente il posto alla pagina iniziale.
Fatta!… e adesso? lo sguardo cadde sull’ora segnata sullo schermo in basso a destra. È tardi! si allarmò. Tra poco la mamma finisce il turno! “Arrivederci signor Hans” gridò sperando che il nano potesse sentirlo. “Grazie!”
Volò fuori dal negozio e svanì in direzione dello spogliatoio per le donne delle pulizie.
Subito dopo Hans uscì dal suo nascondiglio dietro alla postazione internet per avvicinarsi al personal. Effettuò un login speciale inserendo una password molto complicata. Sfogliò le richieste della giornata alla ricerca di quella giusta. Quella di Max. Sorridendo, cliccò sull’opzione approvato. Soddisfatto, tornò alla sua vetrina. Nell’aeroporto c’erano ancora tanti bimbi e tutti avevano il diritto di essere felici.
La notte della vigilia, Max era in ansia. Sua madre, Greta, aveva messo in tavola una cena speciale a base di sushi perché una cuoca del ristorante giapponese dell’aeroporto l’aveva presa a benvolere. Sapendola in difficoltà, le aveva dato di nascosto alcune porzioni di cibo. Tanto in cucina non se non sarebbero mai accorti.
“Mamma, anche in Giappone festeggiano il Natale?” chiese Max osservando con sospetto un rotolino di pesce crudo con dentro riso e altre cose a cui non sapeva dare un nome.
“Non credo. O almeno non come noi. Perché?”
“Allora Babbo Natale non porta niente ai bambini giapponesi?”
Per evitare di rispondere, Greta finse di concentrarsi sulla salsa di soia in cui stava sciogliendo una noce di wasabi.
“Allora?” insistette Max.
“Allora cosa?”
“Babbo Natale porta lo stesso i regali ai bambini giapponesi?”
“Non lo so, tesoro.”
“Io credo di sì” il bambino aveva messo in bocca un pezzo di sushi e se lo stava godendo. “Penso che lui sia così buono che la notte della Vigilia va da tutti i bimbi del mondo.”
Gli occhi della donna divennero umidi. Pensò al piccolo pacco che aveva comprato al supermercato sotto casa. Quell’anno non aveva potuto fare di più. Si sentiva terribilmente in colpa.
“Credo tu abbia ragione. Magari non riuscirà a portare tutto quello che i bambini hanno chiesto, ma di certo farà del suo meglio.”
“Sai, probabilmente non arriva tutto a tutti perché lui si è modernizzato” insistette Max con aria convinta. “Bisogna scrivergli via e-mail.”
“Oh, allora non aspettiamoci grandi cose” sorrise pallida la madre. “Noi abbiamo imbucato la lettera in modo tradizionale.”
“È vero, però poi sono riuscito a scrivergli via e-mail.” Arrossì leggermente rendendosi conto di aver parlato troppo.
“Gli hai scritto via e-mail?” Greta si allarmò. “Quando?”
“A scuola” mentì Max per salvare il salvabile e sperando che quella infrazione non venisse annotata per tempo sul registro magico che tenevano gli elfi. “Stavolta sono stato chiarissimo. Se non mi porta quello che ho chiesto, allora lui non esiste!”
Greta si alzò da tavola per andare a prendere il dolce che la ditta di pulizie aveva regalato ai suoi dipendenti. Non voleva che Max notasse il tremito delle sue labbra.
Bimbo mio, troppo presto perderai fiducia nella magia del Natale. Mi dispiace.
Ricacciò indietro le lacrime. “A volte i messaggi di posta elettronica finiscono nella cartella dello spam” rispose cercando di sembrare convincente. “Può succedere. Perciò se non troverai sotto l’albero quello che hai chiesto, spero non ne rimarrai deluso.”
Il bambino la fissò serio. “No, stavolta tutto andrà come deve andare. Ne sono certo.”
Col cuore gonfio, Greta divise il dolce con Max. Poi riordinarono assieme la cucina e misero una tovaglia pulita sul tavolo. Max preparò un piattino con i suoi biscotti preferiti. La mamma invece mise del latte nel bicchiere più bello che aveva.
“Direi che ci siamo, Max. È ora di andare a dormire.”
“Lasciamo accese le luci dell’albero” suggerì speranzoso il bambino indicando con orgoglio l’abete. “Così ci trova.”
Nell’ambiente unico che fungeva da cucina e da salotto, Greta aveva sistemato un piccolo abete finto proprio accanto alla finestra. Non era particolarmente bello, ma lei sapeva che gli occhi di Max vedevano in modo diverso da quello degli adulti. Nonostante tutto, la donna sorrise. Spero tanto che tu creda ancora a lungo alla magia. Abbracciando il figlio con tenerezza, lo baciò sulla punta del naso.
“Buonanotte. Ricorda che Babbo Natale entrerà solo se dormirai sul serio. Lui se ne accorge sempre se un bimbo non dorme. In quel caso passa oltre senza lasciare nulla.”
“Tranquilla. Conterò le pecore!”
Scappò a chiudersi nella sua cameretta, indossò in fretta il pigiama, spense la luce e cominciò a contare. Ma l’eccitazione era troppo forte. Il tempo passava e lui si rigirava inquieto nel letto. Stringendo tra le braccia il suo orsacchiotto preferito, ripensò alla busta elettronica con l’indirizzo Polo Nord e allo strano incontro con Hans.
Forse Babbo Natale non riuscirà a trovare la nostra casa. Vienna è tanto grande e qui siamo in periferia… Forse non è vero che esiste e io e la mamma rimarremo senza regali…
Un paio di lacrimoni gli scesero lungo le guance.
A un tratto sentì un fruscio proveniente dalla cucina. D’istinto si nascose sotto la trapunta. Un nuovo fruscio, questa volta un po’ più forte.
E se fosse…?
A quel punto la curiosità ebbe il sopravvento. Scese pian piano dal letto, infilò le pantofole di lana cotta, aprì la porta della cameretta badando a non farla cigolare, e quatto quatto andò in cucina. Alla luce intermittente degli addobbi, notò che il bicchiere era vuoto così come il piatto dei biscotti. In preda alla frenesia accese la luce.
“Mammaaaaa!!!” gridò sorpreso.
La donna corse trafelata, convinta di chissà quale disastro e invece si trovò di fronte a Max che le tendeva trionfante un pacco con sopra il suo nome: Greta.
“Guarda, questo è tuo!”
“Impossibile” mormorò la donna sbalordita, guardandosi attorno per controllare eventuali segni di effrazione. Ma tutto era in ordine, esattamente come lo avevano lasciato. Aprì incredula il pacco e ne tirò fuori gli stivali caldi e comodi che aveva tanto desiderato.
Ridendo di gioia, Max afferrò il suo dono. Sapeva già di che si trattava e non vedeva l’ora di montare la stazione di servizio. Mentre strappava la carta che avvolgeva la scatola, sentì giungere da lontano una voce ovattata che augurava festosa: “Oh-oh-oh… Merry Christmas!”
Dovette sentirla anche la mamma, perché si precipitò alla finestra e guardò verso il cielo stellato. Contro il disco pieno e perfetto della luna, per qualche istante si delineò il profilo di una slitta tirata da renne.
“Impossibile” ripeté ancora Greta con gli occhi velati di lacrime.
“Che forza, vero?” rise Max. “Buon Natale anche a te!” gridò poi verso la notte splendente. “E tanti saluti al signor Hans!”