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Stretto nel suo cappottino logoro Andrea sembrava ancora più piccolo. Sara l’osservava in silenzio, provando una tristezza infinita.
Il Natale era alle porte e anche quell’anno si sarebbe rivelato privo di gioia. Con il naso schiacciato contro la vetrina, Andrea guardava speranzoso un grande albero addobbato da miriadi di palline colorate.
«Guarda mamma, guarda com’è bello. Dici che se scrivo a Babbo Natale lui me lo porta? Mamma, ho fatto il bravo vero?»
Sì, era stato bravo. Non aveva chiesto giochi, non aveva fatto capricci, si era comportato come un vero ometto.
Era tutto così ingiusto. In quel momento le venne in mente la solita frase fatta: la vita è ingiusta, per chi non lo è?
Al diavolo le frasi fatte. Suo figlio aveva solo otto anni, per quanto ancora avrebbe dovuto patire per gli errori dei grandi?
«Mamma, sono stato buono vero? Perché non dici nulla?»
Se ne stava dritto dinnanzi a lei, con le mani nelle tasche e la testa bassa, temendo di ricevere una risposta negativa. La punta della sua scarpa strusciava sull’asfalto gelato, se avesse continuato in quel modo, il avrebbe finito con il rovinarsi, e non era il momento per delle scarpe nuove.
Sara non se la sentì di deluderlo per l’ennesima volta, non lui, non la sua unica ragione di vita. Non era certo colpa sua, se le cose con suo padre erano andate male.
Prese il bimbo per mano e si avvicinò alla vetrina, guardò attraverso il vetro e vi trovò l’albero di Natale più bello che avesse mai visto.
Lo sguardo le cadde sul cartellino del prezzo, per un attimo il suo cuore parve fermarsi. Centoventi euro, una vera fortuna per lei, considerato che non avrebbe potuto permettersi di spendere nemmeno la metà di quella cifra. In quel momento tutta la bellezza dell’albero svanì.
«Sei stato buono, ti sei comportato da ometto. Ma forse sarà il caso che tu scriva quella letterina a Babbo Natale, e chissà che quest’anno non ti ascolti.»
Il sorriso che suo figlio gli regalò le scaldò l’anima, e per un attimo, riuscì a dimenticare il freddo che l’avvolgeva. Ci sarebbe stato tutto il tempo per darsi della pazza, ma in quel momento ciò che contava di più, era la gioia di Andrea.
Il bambino s’incamminò verso casa, sembrava aver messo le ali ai piedi, poi improvvisamente si voltò verso sua madre e le gridò di sbrigarsi.
Il loro appartamento distava solo un paio di isolati, certo, il quartiere non era dei più raccomandabili, ma dopo la separazione era tutto ciò che Sara si era potuta permettere.
Un anno prima e a quell’ora, lei se ne stava tranquillamente in cucina. Come era facile per la mente ritrovare certi ricordi.
La casa era avvolta nell’odore dei biscotti natalizi e Andrea, stava già ispezionando ogni angolo della casa, dove fosse stato possibile nascondere dei regali.
Un’altra vita, un’altra donna. Sì, un’altra Sara, piena di vita e di aspettative, che credeva nel futuro, nel matrimonio e nella famiglia.
Mentre saliva le scale preceduta da suo figlio, ripensò al primo giorno in cui aveva messo piede in quel palazzo.
All’epoca si era detta che sarebbe stato per poco, giusto qualche mese e poi avrebbe trovato una sistemazione migliore, ma il tempo non le aveva dato ragione.
Era la vigilia di Natale quando il suo intero mondo le si era rivoltato contro. La casa era in ordine, la tavola apparecchiata per dieci, quella sera ci sarebbero stati ospiti, e lei non vedeva l’ora di passare qualche ora in allegria.
Si era alzata presto e aveva iniziato a cucinare, Andrea l’aveva raggiunta pronto a darle una mano, mentre suo marito stranamente era ancora al letto.
Seduto su di uno sgabello, Andrea stava cercando di recuperare con il cucchiaio, l’ultimo fiocco di mais, che invece di farsi prendere continuava ad affondare nel latte.
Per qualche minuto era rimasta a guardare incantata, con quanta concentrazione cercava di non farlo fuggire, ma ogni volta gli scivolava via. Alla fine gli aveva consigliato di bere il latte, in quel modo il fiocco di mais sarebbe rimasto attaccato alla tazza, e così avrebbe potuto recuperarlo.
La mattina era trascorsa tra le risate e le canzoncine natalizie, un paio di volte Andrea aveva provato a svegliare suo padre, ma questo con tono stizzito lo aveva cacciato fuori dalla camera.
Qualcosa non andava e Sara non sapeva come comportarsi. La sera prima aveva cercato di comprendere il malumore di suo marito, ma non aveva ricevuto che risposte brusche, quindi aveva lasciato stare e se ne era andata al letto.
Il fatto che a quell’ora fosse ancora intrattabile la preoccupava, ma per il bene di Andrea fece finta di nulla e continuò a impastare biscotti.
Dall’alto del suo sgabello lui si divertiva a mischiare la farina con le uova, le sue mani erano completamente ricoperte di pasta, per non parlare di tutti i pezzettini che gli erano rimasti attaccati alla maglietta del pigiama.
Avrebbe dovuto dirgli di cambiarsi, ma si stava divertendo così tanto ed era la vigilia, almeno per quella volta poteva far finta di nulla.
Nonostante il rumore e le risate che riempivano la cucina il marito non si fece vedere. Solo poco prima di pranzo si presentò in salotto, Sara stava finendo di sistemare e poi insieme ad Andrea avrebbe allestito l’albero di Natale.
«Non c’è la possibilità di avere un po’ di pace in questa casa?», li aveva apostrofati con fare scontroso il marito. Andrea senza pensarci su gli si era buttato addosso, e come di solito accadeva, stava aspettando che suo padre lo prendesse in braccio.
«È la vigilia Paolo e stiamo preparando per la cena di questa sera, mi dispiace se ti abbiamo svegliato.»
Non le piacque il modo in cui lui guardò il bambino, e il gesto che lo seguì, convinse Sara che davvero qualcosa non andava.
«Santo cielo Andrea! Vuoi stare attento… mi stai sporcando di farina. Forse è il caso che tu vada a darti una ripulita, e già che ci sei vestiti, sembri uno straccione ancora in giro in pigiama.»
«Paolo non mi sembra il caso che tu gli parli così. Mi sta aiutando in cucina e non ci vedo niente di male.»
«Figurati se tu non avevi da ridire. Dimmi Sara, c’è stata mai una volta da che siamo sposati, che tu mi abbia dato ragione?»
«Non mi sembra questo il momento, e poi non davanti al bambino per favore.»
«Tranquilla, non mi interessa nemmeno la risposta, non più. Sto andando via, ieri mentre eravate fuori ho preso un po’ delle mie cose, il resto lo prenderò più avanti.»
«Stai andando via? Cosa significa? Oggi è la vigilia di Natale e stasera ci saranno qui tutti i parenti…»
«Andiamo Sara, davvero credi che me ne freghi qualcosa? Smetti di ripetermi che giorno è oggi, lo so benissimo. È il giorno in cui mi riprendo la mia libertà, e a proposito della cena, non ci sarà alcuna cena.»
«Paolo cosa ti succede? Se questo è uno scherzo non lo trovo divertente, prima mi dici che te ne vai e ora che non ci sarà nessuna cena.»
«Dio Sara… eppure sei una donna sveglia. Ho avvisato ieri che non ci sarà la cena, ho detto a tutti che preferivamo stare da soli, almeno non dovrai dare spiegazioni. Adesso vado che si sta facendo tardi, Marzia mi aspetta.»
«Papà non rimani con noi? Ho fatto qualcosa di male?»
Paolo si chinò fino ad arrivare a guardare suo figlio negli occhi, gli posò una mano sul capo e lo baciò. «Da grande capirai che non sempre le cose vanno come vogliamo, papà deve andarsene ma tu non hai colpe, ci vedremo presto.»
E senza aggiungere altro lo lasciò, lì da solo a chiedersi cosa potessero significare quelle parole. Lasciò la sua famiglia, tutto ciò che Sarà aveva sempre ritenuto importante.
Con le mani ancora sporche di farina si pulì gli occhi ormai colmi di lacrime, cercò di ricacciarle indietro più che poté, non voleva farsi che suo figlio le vedesse. Piangere davanti a lui lo avrebbe spaventato ulteriormente.
«Mamma… mamma, perché il papà se ne è andato? Ma ritorna vero? Ritorna per scartare i regali, ci ho messo così tanto per fare il suo.»
Cosa era successo? Marzia? Il volto anonimo di quella donna gli balzò alla mente, era per lei che li aveva lasciati?
E così non ci sarebbe stata nessuna cena, Paolo aveva previsto tutto. Ma che bravo. Aveva deciso anche per loro senza dargli una possibilità, senza aggiungere che guardare suo figlio negli occhi e lasciarselo dietro le spalle, gli era riuscito così bene.
Quando era iniziato ad andare tutto storto? Quando quella donna si era insinuata tra di loro? In quel momento avrebbe voluto urlare, spaccare la prima cosa che gli fosse capitata tra le mani, ma rimase impassibile, solo per Andrea.
«Andiamo amore, dobbiamo finire di preparare una cena, stasera abbiamo ospiti.»
«Ma papà ha detto che non verrà nessuno.»
«Da questo momento il papà non decide più nulla, la cena ci sarà, eccome se ci sarà.»
Ingoiò la rabbia e tornò in cucina, il piano di lavoro era cosparso di farina, e diverse teglie attendevano di essere infornate. Se Paolo aveva pensato per un solo momento, di poter decidere anche per loro aveva sbagliato. Aveva deciso di andarsene, di lasciarli… bene, anche lei da quel momento avrebbe fatto di tutto per dimenticarlo.
Per nessun motivo avrebbe rovinato le feste a suo figlio, per lei avevano smesso di avere importanza da molto, ma Andrea meritava di avere i suoi biscotti di zenzero a forma di pupazzo di neve.
La rabbia poteva aspettare, un paio di giorni in più non avrebbero cambiato nulla, e lei avrebbe avuto più tempo per pensare alle conseguenze di quella decisione.
Mise le teglie in forno, lasciò ad Andrea il compito di mettere le cose sporche nel lavandino, e poi avrebbero finito di addobbare l’albero.
Prese il telefono e andò in camera da letto, le lenzuola erano ancora calde, e l’aria era satura del deodorante di Paolo. Per un istante qualche lacrima sfuggi al suo controllo, ma fu subito rimessa al suo posto. Anche la mano che scivolò sul cuscino di Paolo fu subito ritirata, non poteva permettersi quel gesto, non dopo un tradimento simile.
Uno dopo l’altro chiamò i suoi famigliari, e quei pochi amici che riteneva fidatissimi. Raccontò loro di come quella mattina avesse avuto un risvolto così drammatico. Chiese a ognuno di loro di essere presente, non voleva che le scelte di suo marito ricadessero sul figlio.
Spiegò che senza di loro avrebbe rischiato di crollare, che non se la sentiva di rimanere sola, non quella sera almeno.
I suoi genitori furono gli unici a non commentare, il fratello gli chiese se fosse il caso di cercare Paolo e spezzargli le gambe, e in un primo momento fu tentata di accettare la proposta, poi ne avevano quasi riso insieme.
Lo stronzo, così lo aveva definito sua sorella Chiara, aveva detto loro che aveva intenzione di fargli una sorpresa, che quello sarebbe stato un Natale diverso. Gli avevano creduto, lo avevano assecondato quando li aveva invitati a non dire nulla a Sara.
Era stato davvero bravo.
Dopo aver concluso l’ultima telefonata, si sforzò di tornare in cucina ma prima passò dal bagno, si diede una bella rinfrescata al viso, ed evitando di guardarsi allo specchio tornò da Andrea. Sapeva già cosa avrebbe visto, e non era pronta a crollare, ancora qualche ora non chiedeva altro.
«Allora si batte la fiacca qui in cucina? Dov’è il mio chef di fiducia?»
Si guardò intorno e vide che tutto era stato riposto nel lavandino, ma di Andrea nessuna traccia. Stava per andare nella sua cameretta, quando dei singhiozzi attirarono la sua attenzione. Si fece forza ed entrò in salotto. Nell’angolo dove avevano sistemato l’albero e alcuni regali, suo figlio se ne stava rannicchiato con un pacchetto tra le mani.
Riconobbe subito la carta, era tutta stropicciata perché lo aveva voluto incartare lui, il regalo per suo padre. Le bastò chiudere gli occhi per rivederlo, chino sul tavolo della cucina, immerso tra pezzi di plastilina colorata, mentre costruiva una macchinina.
Ci aveva passato le ore, l’aveva montata e rimontata più volte, ma poi all’ennesimo tentativo si era detto soddisfatto. L’aveva messa su di un calorifero per farla asciugare prima, dio quanto ne andava fiero, e quanto aveva sperato che al suo papà piacesse.
Ma a Paolo non era importato nulla, lei gli aveva detto di quel regalo, di quanto il loro bambino ci avesse lavorato, eppure lui se ne era andato ignorandolo completamente.
Solo le lacrime di Andra le impedirono di sbottare, gli si avvicinò e iniziò a parlare con lui, come se non stesse accadendo nulla, come se fosse un giorno come un altro.
«Mi dispiace angelo mio. Il papà ti vuole bene, faremo in modo che abbia il tuo regalo, te lo prometto.»
«Se papà mi volesse bene non se ne sarebbe andato.»
«Ascoltami Andrea», e mentre parlava con lui, lentamente se lo strinse al petto. A starsene seduto in terra si era infreddolito, avrebbe voluto spazzare via l’angoscia dai suoi occhi, dal suo piccolo cuore, ma per la prima volta temette di non potercela fare.
«Sai una cosa? Spesso i grandi si comportano in modo stupido. Se il papà se ne è andato non è per colpa tua, e non pensare nemmeno per un istante che non ti ami, perché non è così.
Forse non stava bene con noi, o forse ha avuto paura di non essere più un bravo papà, un bravo marito. Diamogli tempo, ma stai sicuro che da te tornerà sempre, sei o non sei il suo campione?»
«E da te mamma? Tornerà anche da te?»
«Io sono grande, posso cavarmela anche da sola.»
«No mamma, tu non sei sola… tu hai me. Io sono il tuo tonno pigro e ti vorrò sempre bene, e ti prometto che tornerò sempre.»
Poteva sembrare la scena di un film strappa lacrime, ma era solo un frammento di una vita che stava per cambiare, non si poteva riavvolgere nessun nastro, né premere il tasto stop.
Il tempo avrebbe continuato a scorrere inesorabile, e per Sara e Andrea, molte cose stavano per cambiare, ma ancora non sapevano in che direzione sarebbero andate.
«Allora mio bel tonno pigro è ora di finire l’albero, devo solo ricordare dove ho messo le decorazioni.»
«Ma mamma, sono nello sgabuzzino. Tutte le volte ti dimentichi, per fortuna che ci sono io altrimenti non potremmo fare l’albero.»
«E già… vedi, senza di te non saprei proprio come cavarmela.»
Recuperate le decorazioni passarono l’ora successiva a ridere, e per quanto Sara potesse sentirsi vuota e triste, quelle risate ebbero il potere di farla star meglio.
Un anno. Dio come le erano sembrati eterni i primi mesi. La mattina faceva fatica ad alzarsi dal letto, ma c’era Andrea da portare a scuola, e poi il lavoro, non poteva permettersi di perderlo.
I colleghi non sapevano nulla, non era ancora riuscita a confidarsi con nessuno di loro. Come avrebbe potuto confessare quel fallimento? Leggere nei loro volti la compassione o la derisione.
E poi come avrebbe potuto rispondere alle loro domande, quando nemmeno lei era riuscita a capire la causa di tutto.
Paolo non si era più fatto sentire se non tramite un avvocato, e lei si era vista costretta a chiedere aiuto alla famiglia, le sue finanze non le permettevano un lusso simile.
Il fratello Davide si era offerto di pagare tutte le spese, e le aveva ripetuto più volte, che l’importante era togliersi dai piedi quel figlio di una buona donna. Il padre del suo bambino, l’uomo con cui aveva sperato di passare il resto della sua vita.
Ci aveva creduto con tutta se stessa a quelle promesse. Davanti al prete aveva pronunciato ogni parola con estrema convinzione, e cosa ne era rimasto di quel sogno, se non un profondo dolore?
Aveva creduto di non farcela, certe volte nemmeno la presenza di Andrea sembrava darle la forza di andare avanti, ma invece…
Le settimane si erano accavallate, quel Natale era ormai dimenticato, l’anno nuovo era arrivato con tanti dubbi e poche promesse. Il bambino continuava a chiedere di suo padre, ma anche lui con il passare del tempo aveva smesso di attendere un suo ritorno.
La routine era cambiata, non c’erano più i giochi nel lettone, niente più panna del cappuccino spalmata sul naso, adesso era tutta una corsa.
Sara si alzava presto, metteva in ordine la casa e dopo aver fatto colazione svegliava Andrea, ed era allora che cominciavano i problemi.
Il più delle volte lui non aveva voglia di alzarsi, e quando lo faceva era ormai così tardi che doveva fare colazione stando in piedi. Sara non si riconosceva più, le urla si sprecavano dietro al bambino.
Urlava per fargli lavare i denti, per fargli infilare il grembiulino della scuola, quasi sempre arrivavano trafelati, e cominciava a maledire la propria voce. Pensare che aveva sempre odiato alzarla, ma farlo con Adrea era ancora più straziante.
Erano arrivate le vacanze di primavera, e per l’occasione aveva mandato il bambino da sua madre, era un po’ che non vedeva i cugini, e lei aveva bisogno di un paio di giorni da passare tranquilla.
La prima mattina si era alzata presto, talmente abituata ai nuovi ritmi che alle sei, si era ritrovata in cucina a fare colazione. Solo dopo essere passata in camera di Andrea, aveva ricordato che non doveva lavorare.
Che strana sensazione guardare quel lettino vuoto, ma avevano entrambi bisogno di distrarsi, e sicuramente Andrea stava facendo colazione con i nonni.
Era tornata in camera, sentiva forte il bisogno fisico di riposare, come se tutta la stanchezza di quei mesi le fosse crollata addosso. Non era riuscita ad addormentarsi, ma era rimasta ugualmente al letto con gli occhi aperti a fissare il soffitto.
Aveva atteso le lacrime, e ripensato a tutto quello che Paolo le aveva detto in presenza dell’avvocato, ma nessuna lacrima era arrivata a bagnarle il viso. Che fossero finite? Ne aveva piante… oh se ne aveva versate.
Aveva perso il conto delle federe inzuppate delle sue lacrime, e in quei momenti era stata certa che non avrebbe mai smesso di piangere, eppure…
A distanza di mesi, e per la prima volta, i suoi occhi erano rimasti asciutti, il cuore non si era perso in nessun tumulto, anzi, se ne stava tranquillo sotto lo strato di stoffa del suo pigiama. Che le cose stessero cambiando?
Senza che se ne fosse resa conto, un leggero sorriso le aveva increspato le labbra. Le era sembrata così estranea quella sensazione, poter chiudere gli occhi e non provare né la voglia di disperarsi, né di darsi ulteriori colpe.
Aveva poi passato l’intera giornata ad analizzare i mesi trascorsi, i giorni che avevano preceduto il Natale, gli anni che lei aveva sempre creduto indimenticabili. Le colpe che si era data si stavano sgretolando, una dopo l’altra.
Aveva amato Paolo, si era dedicata a lui senza per questo soffocarlo, gli aveva lasciato i suoi spazi le sue manie, mai gli aveva chiesto di rinunciare a qualcosa.
Non si era mai negata e lo aveva cercato ogni volta che il desiderio si era fatto strada in lei, era stata una brava amante, una moglie presente. Nemmeno l’arrivo di Andrea aveva spento i suoi appetiti, allora cosa non era andato nel verso giusto?
Inizialmente era stata pronta a prendersi tutte le colpe, ma una volta davanti al giudice, Paolo non era stato in grado di elencare le vere motivazioni di quella separazione.
Semplicemente non l’amava più, e con quelle parole aveva messo fine alla loro unione. Per Sara era stata una vera doccia gelata, ma era stata ben cosciente, che quella non era tutta la verità.
Solo in seguito era venuta a sapere che la relazione con Marzia andava avanti da un paio di anni. La sola idea di aver diviso il letto con lui, di aver toccato e baciato la sua pelle l’aveva fatta sentire sporca. Come aveva potuto farle questo? Come aveva potuto fare l’amore con Marzia e poi farlo ancora con lei una volta tornato a casa?
Quello era stato forse il peggior giorno della sua vita, due anni di menzogne, di finzioni, ma perché? Perché non le aveva detto la verità?
Troppe erano state le domande che Sara si era posta in quei due giorni, e alla fine aveva capito, che non c’era mai stato nulla da salvare. Lei si era donata completamene, era stata se stessa, non si era mai nascosta dietro ad atteggiamenti fasulli, ma nonostante l’amore e la sincerità e il rispetto, Paolo se ne era andato.
Era tempo di rimettersi in piedi, di riprendere in mano le redini della sua vita, aveva un figlio da crescere un futuro da costruire per entrambi. Un futuro dove Paolo non sarebbe più stato contemplato, se non come figura da tenere sullo sfondo.
Il giudice le aveva assegnato la casa e un buon mantenimento per lei e per il bambino, ma lei aveva rinunciato al suo mantenimento e alla casa, con sommo stupore del giudice.
Aveva guardato Paolo in viso, cercando di trovare una traccia dell’uomo che l’aveva fatta innamorare, ma era riuscita solo a intravedere un uomo egoista, e con un grado di coerenza pari allo zero. Il giudice aveva anche stabilito i giorni di visita, ma una volta usciti dal tribunale dei minori, Paolo si era fatto vedere il meno possibile, adducendo ogni volte una qualche scusa.
«Stai buttando nel cesso l’amore di tuo figlio, pensa bene a quello che fai.»
Glielo aveva detto dopo l’ennesima telefonata in cui Paolo, si scusava di non poter passare a prendere il bambino. Le prime volte lo faceva parlare direttamente con lui, ma poi resasi conto di quale effetto avessero su Andrea tali parole, si limitava a riferire.
«Papà non mi vuole più bene…», le aveva detto più di una volta in lacrime. Le si spezzava il cuore a vederlo così, si sentiva impotente come mai nella sua vita, ma aveva le mani legate.
Paolo stava ormai uscendo dai suoi pensieri, il lavoro per fortuna occupava gran parte del suo tempo, e aveva trovato un bravo confidente nel suo capo squadra.
In principio il fatto che fosse un uomo l’aveva frenata, ma con il tempo Giulio era riuscito a far breccia nelle sue difese. Parlava con lei, tra una battuta e l’altra riusciva a tirarle fuori i brutti pensieri, non cercava mai di colpevolizzarla, né tanto meno metteva Paolo in cattiva luce.
Lui le diceva con semplici parole, che nella vita non tutti erano destinati a costruire il proprio futuro con una sola persona. Era dell’idea che ci fossero diverse tipologie di persone, quelle destinate a essere delle meteore, e altre che avrebbero lasciato segni profondi nel bene e nel male.
Poi veniva la categoria che lui preferiva, quella delle persone destinate a rendere felice il prossimo, e le diceva che con molta probabilità, Paolo avesse fatto parte del secondo gruppo.
A vederla con i suoi occhi, Sara si stava convincendo di avere ancora delle possibilità, non che fosse in cerca di un compagno, no, per il momento il dolore e la delusione le erano bastati.
Com’era strano però vedere Giulio nel ruolo di spalla, pur lavorando insieme da anni, tra loro c’era sempre stato un rapporto di capo e subalterno, nulla avrebbe mai fatto presagire quell’epilogo.
Eppure lui c’era sempre, capiva quando era il momento di offrirle una parola di sostegno, ma sapeva anche girarle alla larga quando la vedeva fumare di rabbia.
Era come un antidolorifico che leniva le sue pene, che la faceva ridere, lasciando di sasso il resto della squadra. Se non fosse stato che era sposato, Sara avrebbe potuto pensare che ci fosse sotto qualcosa, ma lui era felicemente ammogliato da diversi anni, e non essendo costretta a stare in guardia questo la faceva stare bene.
Era tornata in gioco, usciva con le amiche e trascorreva molto tempo con la famiglia. Le ore passate con Andrea si dividevano tra gioco e compiti, ore pesanti dato che il bambino non aveva voglia di studiare. Non poteva dargliene una colpa, sapeva che era il suo modo di reagire all’abbandono, e sperava che riuscisse a superarlo, ma non sempre le speranze avevano una realizzazione.
«Mamma mancano venti giorni al Natale», le aveva detto quel giorno Andrea, mentre con le dita scorreva le date sul calendario.
Avevano passato un anno difficile, fatto di rinunce e sofferenza, tanto Sara quanto il bambino avevano sperato che Paolo tornasse a casa. Solo dopo tre mesi lei ci aveva messo una bella croce sopra, era stata la rabbia a darle la forza, ma poi con il passare del tempo, erano sopraggiunti altri bisogni.
Doveva crescere suo figlio, fargli sentire che il suo amore era tutto per lui, ed era stata dura quando Andrea aveva iniziato a svegliarsi di notte piangendo. Era stata dura stringerlo tra le braccia e rassicurarlo che tutto si sarebbe risolto, quando lui avrebbe solo voluto vedere suo padre rientrare dalla porta di casa.
«Mamma… riprenderesti il papà con noi?»
Glielo aveva chiesto mentre gli rimboccava le coperte, e lei per un istante si era sentita persa. Poi, dopo aver respirato profondamente, si era seduta sul letto e lo aveva baciato.
Non aveva risposto subito, si era presa del tempo, desiderava dargli una risposta chiara, e non era sua intenzione mentirgli o illuderlo.
«Sai… forse ora non ti è facile capire, chissà, forse ti arrabbierai con me, ma è mio dovere cercare di fare del mio meglio. Quello che ha fatto il papà mi ha ferito tantissimo, e so che tu stai soffrendo molto per la sua lontananza.
Se fossi una mamma diversa ora ti risponderei di sì, che lo riprenderei con noi, ma lo farei solo per te. Purtroppo non riesco a farlo, sono una mamma egoista, non me la sento di soffrire ancora per colpa sua, nemmeno per te.
Odiami amore mio, pensa pure che sia tutta colpa mia, ma noi due ci meritiamo di meglio, e tuo padre ha fatto qualcosa per la quale non c’è rimedio.»
«Non gli vuoi più bene?»
«C’è una sola persona a cui io voglio bene, più di ogni cosa al mondo, sei tu.»
«Io voglio bene al papà.»
«Ed è giusto così, è il tuo papà, anche se è andato via tu rimani la sua scimmietta.»
Avrebbe voluto dirgli che l’amore non bastava, che le favole esistevano solo sui libri, che per stare insieme serviva molto di più, ed era quel più che lei non sentiva più per Paolo.
Meno di venti giorni a Natale, le sarebbe piaciuto mettere sotto l’albero un bel po’ di regali, ma le spese erano molte. Risparmiando qualche euro al mese gli aveva preso dei libri, Andrea adorava il Diario di una Schiappa, così in libreria aveva preso quello che gli mancava.
Il problema era l’albero, Paolo se lo era portato via dicendo che avendolo comprato lui, ne aveva tutto il diritto. Lei non aveva detto nulla, lo aveva guardato caricarlo in auto e andarsene senza alcun rimorso. Aveva anche venduto la casa senza dirle nulla. Che uomo.
Quel giorno aveva dovuto mentire, dire a suo figlio che dei topolini in cantina lo avevano rosicchiato, e che ormai inservibile, era stata costretta a buttarlo.
Erano giorni che guardavano i negozi per trovare l’albero giusto, ore passate nei centri commerciali, Sara guardava i prezzi, Andrea la grandezza, aveva provato a fargli capire che non poteva spendere molto, ma era stato come parlare al vento.
Ogni volta che ne vedeva uno gli si accendeva una luce negli occhi, il più delle volte spariva subito, segno che non fosse convinto, ma davanti a quella vetrina, il suo sguardo si era illuminato come un cielo stellato.
Centoventi euro, non che l’albero e le decorazioni non li valessero, ad averli lo avrebbe preso subito, ma a dicembre doveva pagare tre volte tanto di mensa arretrata, e sperava di riuscire a fare una scappata dal dentista.
Andrea ormai aveva dato per scontato che i regali li avrebbe trovati sotto quell’albero, e lei non se la sentiva di rovinargli anche quel Natale, non dopo tutti i passi avanti che avevano fatto.
Lui era già arrivato in cima alle scale mentre lei, lentamente saliva i gradini di casa, cercando di trovare una soluzione. Stava tirando fuori le chiavi quando le balenò alla mente il volto di Giulio, ma in che modo avrebbe potuto aiutarla?
Non era di una spalla su cui piangere che aveva bisogno, ma di un aiuto concreto. Avrebbe potuto chiedere alla famiglia, ma pensando a quanto si era esposto Davide aveva scartato l’idea.
C’era ancora tempo, non molti giorni, ma sperava che nessuno comprasse quell’albero.
«Mamma posso guardare la tele mentre cucini?»
«D’accordo, ma quando chiamo si spegne, intesi?»
La risposta era arrivata per metà tra la porta della cucina e quella del salone, almeno per una buona mezz’ora Andrea non avrebbe pensato all’albero.
In piedi davanti ai fornelli, Sara si lambiccava il cervello in cerca di una soluzione. Per quel mese avrebbe potuto evitare di comprare libri, sarebbe rimasta a casa invece di andare a trovare le amiche, almeno così avrebbe evitato un pieno di benzina superfluo.
Sì, sarebbe stato più semplice alzare il telefono e chiederli a qualcuno, e dubitava fortemente che gli avrebbero detto di no. Chi la conosceva sapeva bene, che si sarebbe fatta in quattro per restituirli, ma scartò a priori l’idea.
Doveva cavarsela da sola, dopo tutto quello era solo un piccolo ostacolo, cosa avrebbe fatto davanti a qualcosa di più serio? Una promessa andava mantenuta, questo gli avevano insegnato i suoi genitori, e se c’era una cosa che un genitore non avrebbe mai dovuto fare, era quella di deludere un figlio.
Lo squillo del telefono arrivò a distrarla dai suoi pensieri.
«Mamma è il papà, c’è il suo numero sul display.»
Andrea le aveva portato il telefono ma aveva evitato di rispondere, di solito quando era davanti alla televisione per lui non esisteva nessuno, e per quanto lei gli spiegasse che non era bello, lui proseguiva in quella abitudine fastidiosa.
Avrebbe tanto voluto evitare quella telefonata, ma a cosa sarebbe servito? Sapeva che quando Paolo voleva qualcosa diventava insistente, non le rimase quindi che armarsi di pazienza e rispondere.
Avrebbe voluto chiedergli in malo modo cosa volesse, o se finalmente si fosse ricordato di avere un figlio, urlarglielo sarebbe stata la cosa migliore, ma c’era Andrea, e con la rabbia non sarebbe approdata a nulla. Non valeva la pena farsi il sangue amaro per uno come lui.
«Ciao Paolo, dimmi.»
«Ciao Sara, vorrei tenere Andrea per le feste di Natale.»
Il silenzio che seguì a quelle parole sembrò abbattersi su di loro come un macigno. Paolo sapeva quanto lei odiasse i giri di parole, ma quello era troppo. Niente scuse per le visite saltate, niente interessamento per la scuola, nulla. E cosa gli stava chiedendo? Doveva aver capito male, Paolo non poteva davvero pensare che lei gli dicesse di sì.
«Sara mi hai sentito? Voglio tenere il bambino per le feste.»
«Scusa Paolo, mi sono persa tra il “vorrei e tenere”, stai scherzando vero?»
«Il giudice ha suddiviso le festività se ben ricordo.»
«Sì, come ha suddiviso i fine settimana, le visite settimanali, e il dividerci i vari impegni come la palestra e il catechismo. Sì, ricordo bene, c’ero anche io in tribunale, ma in questi mesi non mi sembra che tu te ne sia ricordato.»
«Se hai intenzione di litigare dillo pure, ho i miei diritti e tu non puoi impedirmi di vederlo.»
«Litigare? Con te? Se lo facessi significherebbe che ti considero un uomo, ho fatto questo sbaglio una volta, non lo farò mai più. Hai intenzione di rovinarci il secondo Natale di seguito? È questo il tuo intento?»
«Ti ricordo che ho dei diritti.»
Senza farsi sentire da Andrea, andò a chiudere la porta del salone e poi chiuse dietro di se quella della cucina.
«Io ho, io ho, sai dire solo questo? Tu hai dei diritti? Ascoltami bene, cosa mi dici dei diritti di tuo figlio? E dei miei? Di tutte le visite che hai saltato senza nemmeno avvisare. Di tutti quegli impegni che ho dovuto cancellare per colpa tua, credi davvero di poter continuare così?
Sono mesi che tuo figlio non ti vede, e se chiami è solo per annullare un incontro, non gli chiedi mai come va a scuola, e ora vuoi passare le feste con lui. Paolo ti ricordo che tuo figlio ha nove anni, non è stupido e si rende conto di cosa succede, come credi di convincerlo?»
«Potresti dirgli che l’ha deciso il giudice, dopo tutto è la verità. Se glielo dici tu non farà problemi.»
«Io! Dovrei dirglielo io? Non hai nemmeno le palle di parlare con lui? E cosa pensi di fare quando e se dovesse accettare l’invito, spiegamelo, visto che non riesci a parlarci?»
«Quando sarà qui mi preoccuperò della cosa.»
«Della cosa? Tuo figlio non è una cosa, è un bambino con dei sentimenti. Sentimenti che tu hai ferito profondamente senza farti il minimo scrupolo.»
«Dannazione Sara, non riesci proprio a rendere le cose più facili?»
«Come tu hai fatto con noi?»
Senza attendere risposta Sara andò in salotto e consegna il telefono ad Andrea che la guardò storto.
«Il papà deve chiederti una cosa, non devi rispondere subito, però devi stare ad ascoltare. Quando hai finito riattacca, non lo voglio sentire.»
«Ma mamma sto guardando la tele.»
«Per una volta la tv può aspettare.»
Ecco, lo aveva fatto di nuovo, aveva alzato la voce con suo figlio. Le pretese di Paolo l’avevano fatta infuriare, con quale coraggio tirava in ballo il giudice? Quante volte lo aveva pregato di organizzarsi per poter stare con Andrea, ma lui aveva messo sempre il lavoro e i suoi impegni davanti a tutto.
Farlo parlare con suo figlio era stata una crudeltà, ma era tempo che qualcuno si prendesse le sue responsabilità, era stufa di dover giustificare un padre assente.
Non era mai stata sua intenzione far sì che Andrea arrivasse a odiarlo, a quello ci aveva pensato da solo con il suo comportamento. Se suo figlio avesse deciso di passare le feste con il padre, a malincuore si sarebbe fatta da parte, ma il bambino sentiva troppo la sua mancanza, quindi non le rimaneva che prepararsi a un Natale in solitaria.
«Gli ho detto che ci penserò.»
Sorpresa si voltò verso la porta, Andrea se ne stava in piedi con il telefono tra le mani, lo sguardo non prometteva nulla di buono. Posò il cordless sul tavolo e senza dire nulla, tornò a guardare la tele.
Avrebbe dato qualunque cosa per vedere la faccia di Paolo, sentirsi mettere da parte così dal figlio non doveva essergli andata giù, questo le fece capire che il bambino era più forte di quanto credeva.
L’acqua aveva iniziato a bollire, poco sale e poi la pasta, a minuti sarebbe stata pronta la cena. In quel momento Sara pensava solo ad andarsene al letto, la giornata era stata pesante, e la seguente non sarebbe stata da meno.
Cenarono in silenzio, lei non se la sentì di indagare, vedeva che qualcosa lo preoccupava ma preferì attendere che fosse lui a cercarla. Negli ultimi tempi aveva imparato ad aprirsi, vedeva il mondo con occhi da bambino ma parlava senza peli sulla lingua.
«Credo sia ora di andare a letto, lava i denti e metti il pigiama, io finisco di riordinare e poi vengo a darti la buona notte.»
Si alzò da tavola e tolse le stoviglie sporche, lavò i piatti mentre lui infilava il pigiama e puntualmente dimenticava i denti.
«Andrea… lava i denti o domani niente tele.»
Lo sentì sbuffare ma poi lo scorrere dell’acqua in bagno gli confermò che si era alzato. Non era facile, ogni sera una lotta, era forse un errore volerlo più indipendente? Lo faceva per lui, perché un giorno non fosse come uno di quei bamboccioni, incapaci di cuocersi un piatto di pasta o rifarsi il letto.
Lavato l’ultimo piatto si asciugò le mani e iniziò a spegnere le luci, chiuse la porta di casa e lo raggiunse in camera. Come sempre le si presentò davanti la solita scena, Andrea coperto fino al naso dal piumino, mentre accanto alla sua testa spuntava quella del gatto. Ai sui piedi gli altri due gatti facevano a gara a chi si lavava meglio.
«Vedo che non manca nessuno.»
Anche lei era cresciuta circondata dai gatti, e vedere suo figlio che coltivava il suo stesso amore per gli animali le riempiva il cuore di gioia.
«Sbagliato mamma, manchi tu, me la racconti una storia?»
«Andrea è tardi, poi domani mattina non ti tiro giù nemmeno con le cannonate.»
«Dai mamma, quella dell’aeroplanino che non sapeva volare.»
«Solo un pezzetto, poi si spegne la luce e si dorme.»
Quella storia l’aveva inventata lei, insieme a tante altre che Andrea adorava, era piccolo quando le aveva sentite per la prima volta, eppure continuava a chiederle. Si sdraiò accanto a lui e prese a raccontare di questo areoplanino che, dopo aver combattuto nella seconda guerra mondiale, non ricordava più come si volava.
La storia si animava con i rumori dell’elica che scoppiettava ai primi tentativi, con le urla dell’aeroplanino che temeva di precipitare, ridevano sempre in quei momenti, e pensare che suo padre non era stato presente nemmeno una volta.
A metà della storia sentì un leggero russare, la storia faceva ancora effetto, Sarà rimboccò le coperte e spense la luce, era ora di dormire anche per lei.
«E voi da bravi fate una buona guardia», disse ai gatti prima di uscire dalla camera.
La mattina dopo al lavoro durante la pausa, Sara si ritrovò a parlare con Giulio dell’albero di Natale e della telefonata di Paolo. Inizialmente aveva pensato di tenerlo fuori dai suoi problemi, ma evidentemente lui doveva averglielo letto in faccia.
«Allora Sara, cosa c’è di nuovo, il tuo ex ti rende la vita difficile?»
«Quello sempre, ma spero che prima o poi si decida a uscire dalla mia vita per sempre. A parte questo, ho promesso ad Andrea un albero di Natale.»
«Direi che è una buona cosa, intendo l’albero di Natale.»
«Sì e no, so che ogni promessa è un debito, ma questo mese sono a corto di soldi, sto cercando di capire dove risparmiare, ma ho paura di deluderlo.»
«Qual è il problema? Te li presto io, poi me li ridai con calma, lo sai che per te io ci sono sempre.»
«Grazie Giulio, ma non li ho chiesti nemmeno ai miei proprio per non essere in debito. Devo riuscire a cavarmela da sola, se non riesco a risolvere questo, cosa farò quando saranno problemi grossi?»
«Ti capisco, vuoi essere indipendente è una bella cosa, ma Sara, ci sono momenti in cui l’orgoglio deve essere messo da parte, pensa che è per tuo figlio. E poi a me non pesa.»
«Lascia perdere dai, non credo che tua moglie la prenderebbe bene. Prestare soldi a una collega, persino io storcerei il naso.»
«Sei proprio convinta di non volere che ti aiuti?»
«Sì Giulio, convinta, ma ringrazio sei sempre così gentile, sei un vero amico.»
«Già, un vero amico… cosa potrei volere di più.»
Dopo la pausa non ebbero più modo di parlare, ognuno impegnato nel suo lavoro, e Sara persa nuovamente nei suoi pensieri.
La settimana trascorse tra alti e bassi, i soliti problemi con Andrea, e la sua poca voglia di seguire le regole di casa. Seduta in cucina Sara guardava il calendario, ancora dieci giorni e sarebbe stato Natale. Suo figlio ancora non gli aveva fatto sapere nulla, e Paolo continuava a pressarla. Gli aveva spiegato più di una volta che era inutile, non avrebbe costretto il bambino a stare con lui.
«Mamma, devo dirti una cosa ma non arrabbiarti va bene?»
«Cosa ti fa pensare che io mi arrabbierò?»
«Si tratta di papà, ci ho pensato, se per te non è un problema vorrei passare il Natale con lui.»
E lei che pensava di essere preparata a quello, che stupidità, che arroganza. Non lo era affatto, aveva sentito il cuore perdere un battito, era rimasta senza parole, ma non poteva fargli capire di esserci rimasta male.
«Non sono arrabbiata, non ne vedo il motivo, se è questo che vuoi d’accordo, chiamerò il papà e gli darò la buona notizia.»
«E tu mamma cosa farai? Non voglio che rimani sola.»
«Tranquillo, andrò dalla nonna e starò con lei, lo zio Davide e tutti gli altri, non preoccuparti, non starò da sola.»
«Promesso?» «Si amore, promesso.»
Se ne era andato in camera a fare i compiti, l’aveva lasciata da sola con l’angoscia che la divorava. E così aveva deciso di andare da lui, sapeva che era giusto così, che sentiva troppo la mancanza del padre, sì, era giusto.
In cuor suo sperava solo che non fosse l’occasione per deluderlo nuovamente, il bambino meritava amore non altra sofferenza. In qualche modo l’avrebbe superata, forse sarebbe rimasta a casa da sola, o chissà, forse avrebbe accettato l’invito di alcuni colleghi a passare una serata in allegria.
Meno otto, sette, sei, cinque…
«Mamma mancano cinque giorni a Natale, chissà cosa mi regalerà il papà?»
Cinque giorni, Dio come erano volati via, quasi li avesse gettati tutti insieme dalla finestra. Per quanto ci avesse provato, non era riuscita a mettere insieme la cifra per l’albero, poi si era detta che Andrea non lo avrebbe nemmeno visto, forse era meglio così.
«Allora Sara, sei riuscita a prendere l’albero a tuo figlio?»
«No. Per quanti sforzi io abbia fatto non ci sono riuscita, l’ho dovuto portare dal dentista per l’apparecchio, si era rotto. Per quanto le spese le divida con il padre, mi è costato farlo riparare, e mentre lo pagavo dicevo addio all’albero. Ma tanto Andrea non ci sarà, ci rifaremo l’anno prossimo.»
«Che significa che tuo figlio non ci sarà? Mi stai dicendo che passerai il Natale da sola? Stai scherzando vero?»
«No Giulio, ti sembro una che ha voglia di scherzare? Il padre gli ha chiesto di passare le feste con lui, e alla fine Andrea ha deciso di andare.»
«Hai lasciato decidere tuo figlio? Ma ha solo nove anni.»
«Lo so quanti anni ha, ma in quest’ultimo anno avrà visto suo padre si o no una ventina di volte, chi sono io per dirgli che non può stare con lui? Dimmelo dai! Chi diamine sono io, per impedirgli di passare un bel Natale?»
«Scusami Sara, non volevo angosciarti con le mie parole, è solo che lo trovo egoista da parte del tuo ex. Mi dispiace io non son nessuno e questi non sono affari miei.»
«Sei un buon amico, non preoccuparti non hai fatto danni. Ma tu? Tu come lo passerai il Natale? Tua moglie ti trascinerà ancora a casa dei suoceri?»
«A dire il vero, credo che quest’anno passerò un Natale del tutto diverso. Quello che desidero è poterlo passare con le persone che amo, stare in allegria anche se non si farà nulla di speciale. Credimi, certe volte basta così poco per essere felici.»
«Allora ti auguro di passare le feste in buona compagnia, adesso vado o rischio di consegnare il lavoro in ritardo, grazie di tutto.»
«Ti ho detto mille volte che non devi ringraziarmi, ok, vai anche io ho da fare ancora un bel po’ di lavoro.»
Mentre tornava al suo tavolo, Sara ebbe come l’impressione di sentirsi gli occhi di Giulio fissi su di sé. Che strane le parole che aveva usato, però sarebbe piaciuto anche lei passare il Natale con qualcuno che amava.
A distanza di un anno la solitudine iniziava a farsi sentire, il vuoto nel letto accanto a lei diveniva sempre più fastidioso. Come le sarebbe piaciuto svegliarsi di nuovo, ritrovandosi tra le braccia di un uomo, chissà, forse lo avrebbe chiesto come regalo di Natale.
«Che ore sono mamma? Tra quanto arriva papà?»
Glielo aveva chiesto almeno venti volte nell’ultima mezz’ora, era eccitato, felice all’idea di passare quei giorni con il padre. Con Paolo lei era stata chiara, se il bambino avesse chiesto di tornare a casa, lei sarebbe andato a prenderlo.
Sarebbe rimasto con lui fino al trenta dicembre, per il Capodanno la famiglia di Sara aveva organizzato una festa in montagna, non avrebbe tollerato problemi da parte sua, di nessun genere.
«Andrea smettila di chiedermelo, non è che in questo modo il tempo corre più veloce. Papà arriverà stai tranquillo, avrà trovato traffico.»
Con il naso attaccato alla finestra della cucina, Andrea guardava tutte le macchine che passavano, intorno alla sua faccia si era formato un alone di alito, sembrava quasi che avesse l’aureola.
«Mamma è arrivato e vedessi che macchina.»
Sara lo raggiunse alla finestra, il suo ex marito stava scendendo da una fiammante X6, a quanto pare non aveva perso certe abitudini, apparire era sempre stato importante, se poi tutto il resto veniva a mancare, non era poi così grave.
«Vai a metterti il giubbino e non tornare finché non ti chiamo, voglio parlare con il papà prima che andiate via.»
«Va bene, così prendo anche un libro da leggere.»
Sentire la sua voce al citofono non fece che infastidirla, ritrovarselo davanti dopo alcuni minuti la irritò ulteriormente, ma doveva fare buon viso, lo doveva a suo figlio.
«Sara è bello rivederti.»
«Vorrei poter dire altrettanto.»
«Hai intenzione di litigare?»
«No, non ho voglia di sprecare altro tempo con te, voglio solo chiarire le cose.»
«Sono tutto orecchi.»
«Come d’accordo lo riporterai il trenta a sera, per le nove deve essere a casa, se ritardi avvisi, se ci sono problemi mi chiami, e nel caso lui volesse tornare prima del tempo evita di importi.»
«Ma come niente orari, né regole, tutto qui?»
«Tu attieniti agli accordi, sono già passata sopra a troppe cose, non è detto che con l’anno nuovo io non riveda le mie considerazioni.»
«Mi stai forse minacciando?»
«Io? Minacciare te?»
Lo guardò negli occhi cercando anche l’ombra dell’uomo che aveva amato, ma non servì a nulla. Quello che aveva davanti era solo uno sconosciuto, null’altro.
«Se tu mi conoscessi bene, a questo punto della tua vita sapresti che io non minaccio. Tu sbaglia ancora una volta con Andrea, fallo tornare a casa in lacrime, deludilo di nuovo, e io ti dimostrerò quanto e fino a che punto posso diventare bastarda.»
«Uhm… me la sto facendo sotto, mi stai davvero provocando, non ti facevo così focosa.»
«Sai una cosa, sei qui solo perché lui ti vuole bene, un bene che tu non meriti e non meriterai mai. Se riesci a fallire anche con lui, allora ti sarai mostrato per quello che sei… un niente.»
«Papà andiamo?»
A quanto pare l’impazienza aveva fatto sì che Andrea disubbidisse a sua madre, ma poteva capirlo, e sperare che tutto andasse per il verso giusto.
«Andiamo campione, passeremo delle feste bellissime, vedrai quanti progetti ho fatto.»
«Ciao mamma.»
Un ciao e la porta di casa era di nuovo chiusa, Andrea si era limitato a un semplice ciao. Non doveva prendersela, dopo tutto aveva nove anni, e stava per passare le feste con il suo papà, quale bambino non ne sarebbe stato felice.
Non passarono che pochi attimi, poi il campanello della porta suonò. Sicuramente si erano dimenticati qualcosa, tra tutti e due se non li si seguiva, avrebbero lasciato in giro anche la testa.
«Cosa hai dimenticato questa volta ometto?»
«Questo.»
Andrea si alzò sulle punte dei piedi e strinse le braccia intorno al collo della mamma, gli diede un bacio lungo un chilometro e poi si strinse a lei.
«Ti voglio bene mamma, ti chiamo per farti gli auguri di Natale.»
«Il mio tonno pigro… ti voglio bene anche io, mi raccomando fai il bravo.»
Dopo un secondo Andrea era già sparito lungo le rampe delle scale, ora era davvero da sola.
La casa era silenziosa, gli unici rumori che si sentivano, erano quelli dei gatti che si rincorrevano da una stanza all’altra. Era così strano vederla vuota, osservare il pavimento e non trovare alcuna traccia di Andrea, nessun gioco lasciato in giro, e nessun calzino spaiato sotto le sedie.
Decise che prima di andare a letto avrebbe chiamato sua madre, rimanere a casa da sola non sarebbe stata la scelta giusta. Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare a come Paolo stava cercando di comprarsi il figlio. Se si fosse giocato anche quella occasione, lei non si sarebbe fatta più problemi a sbattergli la porta in faccia.
Come si mise seduta sul divano uno dei gatti le si acciambellò sulle gambe, quello era il preferito di Andrea, quello che la notte si nascondeva sotto le lenzuola.
«E adesso con chi vai a dormire pigrone?»
Gli diede una bella grattatina dietro le orecchie e tornò ai suoi pensieri. Il gatto sembrò quasi capirla tanto che le rispose con un miagolio sommesso, dopodiché chiuse gli occhi e si addormentò.
Lentamente la stanchezza di quei giorni arrivò a sopraffarla, le palpebre si chiusero contro il suo volere, e piano piano Sara sprofondò in un sonno profondo.
Al suo risveglio trovò il gatto steso contro il suo fianco, il sole aveva lasciato il posto alle prime ore della sera. Allungò la mano verso la coperta che teneva sul divano e se la stese sopra, non si alzò, si dimenticò persino di cenare, quella sera si scoprì a non aver voglia di nulla, se non di pace.
Niente televisione, niente libri, se ne rimase apatica sotto la coperta, si alzò soltanto per dare da mangiare ai gatti, e una volta messo il pigiama si ributtò sul divano. Era come se la sua mente stesse cercando di resettare quelle ultime ore, trattenendo per sé solo il ricordo dell’abbraccio di Andrea.
Se qualcuno della sua famiglia l’avesse vista in quel frangente ne sarebbe rimasto meravigliato, forse anche spaventato, dato che lei non dormiva mai nelle ore pomeridiane. Odiava risvegliarsi con il mal di testa e una dose massiccia di nervosismo.
In quel momento non le importava di nulla, se avesse potuto sarebbe svanita, anche se questo non avrebbe risolto i problemi, né fatto sparire le preoccupazioni.
Alle nove di sera aveva spento le luci e se ne era andata al letto, quello era il luogo più comodo dove passare la notte. A distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, erano arrivati i gatti, dovevano aver capito che lei aveva bisogno di calore.
Che vita era mai quella? A letto presto e come compagnia dei pelosi, neanche avesse avuto ottant’anni. Sapeva di doversi dare una smossa, di dover riprendere in mano le redini della sua vita, non si poteva concentrare tutto su lavoro e figlio.
Santo cielo, aveva trentacinque anni, un mondo davanti a sé e lei cosa faceva? Lasciava che il tempo passasse, che le scivolasse addosso senza cercare di afferrarlo, cosa ne era stato della Sara gioiosa, piena di interessi?
Si era spenta senza rendersene conto, quegli anni con Paolo l’avevano prosciugata. Possibile che nel suo cuore non ci fosse più amore per nessuno, che non fosse più capace di battere per un sorriso, una carezza, cosa ne era stato di lei?
Stava per spegnere la luce quando iniziò a squillare il telefono, si alzò e a piedi nudi andò in sala a recuperarlo, il pavimento era gelido, ora che non c’era Andrea i riscaldamenti rimanevano perlopiù spenti.
Tornò sotto le lenzuola e si sfregò i piedi cercando di scaldarli velocemente, nel frattempo riconobbe la voce di sua madre dall’altro capo della linea. Buttò un occhio alla sveglia, erano passate da poco le dieci, e la cosa la meravigliò, di solito sua madre a quell’ora dormiva già, che fosse accaduto qualcosa?
«Mamma è successo qualcosa? Papà sta bene? Perché mi chiami a quest’ora?»
«Scusa Sara, avrei dovuto immaginare che ti saresti preoccupata, ma non riuscivo a dormire, così tuo padre mi ha detto di chiamarti almeno mi levo il pensiero.»
«Sinceramente vista l’ora mi sono preoccupata, dimmi cosa ti tormenta?»
«Vedi… oggi Davide è venuto a trovarci, abbiamo parlato del pranzo di Natale, quello a cui tu non vuoi partecipare, hai presente cosa mi hai detto vero? Non ti senti in vena.»
«Mamma ne abbiamo già parlato, con Andrea dal padre sinceramente non me la sento di festeggiare, ci fosse stato lui sarebbe tutto diverso. Venire lì e starmene con il muso… no, non mi va di rovinarvi la festa.»
«Ti dicevo appunto, Davide ha avuto un’idea e io e tuo padre siamo d’accordo con lui. Ho chiamato gli zii e tua sorella, ti informo che il pranzo di Natale si farà a casa tua, che tu lo voglia o no.»
«Ma mamma, cavolo… dai per favore, ma Davide non si fa mai gli affari suoi?»
«Sara lo sai che tuo fratello ti vuole un gran bene, e sai che quando si mette in testa qualcosa non lo fermi, quindi renditi presentabile. Domani mattina verrò con tua sorella e ti daremo una mano a preparare la casa, al pranzo abbiamo già pensato noi, tu devi solo aprirci la porta.»
«Non ho neppure l’albero per mettere i regali, anche se non vi ho potuto fare nulla, ma l’anno prossimo prometto…»
«Sara, non capisci… a noi non importa dei regali, dell’albero, a noi importa di te, non vogliamo che passi un altro Natale a piangere. Sei troppo importante per noi, siamo una famiglia, ed è questo che fanno le famiglie, si vogliono bene e si aiutano.»
«L’albero era per Andrea, ne ha visto uno che gli piace tanto, ma costa troppo. Avrei voluto prenderglielo, così quando tornava a casa gli avrei fatto una sorpresa. Ma a quest’ora immagino che lo abbiano già venduto, l’ho deluso un’altra volta.»
«Domani, domani parleremo anche di questo, e se è il caso faremo un salto al negozio, e ti avviso, se l’albero c’è lo prenderemo, consideralo un nostro regalo per il bambino. Adesso ti lascio andare a dormire, domani saremo lì molto presto, facci trovare un bel caffè pronto, altrimenti chi la sente tua sorella.»
«Immagino che qualunque cosa io dicessi voi non mi dareste resta, va bene mamma, ci vediamo domani e dì a Chiara che troverà un litro di caffè bollente, come piace a lei. Buonanotte.»
«Immagini bene, buonanotte Sara.»
E così la sua famiglia si era attivata. A dire il vero gli era sembrato strano che l’avessero lasciata stare per tanto tempo, forse era proprio quello di cui aveva bisogno per darsi una smossa.
Spense la luce e sorrise, immaginando quello che sua sorella e la madre sarebbero state capaci di combinare, quelle due messe insieme erano peggio di un rullo compressore. L’albero, per un attimo lo immaginò in un angolo del salone, con tutte le luci accese e le decorazioni, avrebbe dato alla sua casa una nota di calore.
Nonostante la sveglia del cellulare avesse già suonato per tre volte, Sara non aveva voglia di alzarsi, ma da lì a poco sarebbero arrivate madre e sorella, e se il caffè non fosse stato pronto, avrebbe dovuto sorbirsi una lunga, e alquanto fastidiosa sequenza di lamentele da parte di Chiara.
Quando i piedi toccarono terra lei dormiva ancora, senza nemmeno prendersi la briga di vestirsi andò in cucina e tra uno sbadiglio e l’altro, preparò la macchinetta del caffè e la mise sul fuoco.
Mentre l’acqua si scaldava lei aprì le imposte, una volta richiusa la finestra rimase lì, ferma a osservare la brina sui tetti delle auto, si guardò intorno cercando di scoprire quanti pazzi fossero alzati a quell’ora.
Trovò solo un paio di finestre illuminate, evidentemente la gente preferiva oziare al letto, e come dargli torto visto il freddo che faceva, e poi erano iniziate le vacanze natalizie.
Il caffè non fece in tempo a ribollire che il campanello di casa segnò l’arrivo del rullo compressore. Sorrise fra sé immaginando cosa sarebbe accaduto in quelle poche ore, che fosse stata pronta o no, loro avrebbero operato ogni cambiamento ritenuto necessario.
«Ancora in pigiama?»
Non fece nemmeno in tempo ad aprire la porta, evidentemente Chiara era già bella carica con o senza il caffè.
«Anche io sono felice di vederti, sicura di volere il caffè, mi sembri già bella arzilla. Mamma… immagino abbiate già qualche idea, e che vi aspettiate da me completa collaborazione?»
«Buongiorno figliola, vai a vestirti mentre tua sorella si serve e io mi do un’idea del lavoro da fare.»
«Sì mamma, va bene mamma, vado voi fate come a casa vostra.»
Chiara si era già accomodata in cucina, il rumore degli sportelli indicava che stava cercando zucchero e tazzine, e prima che le rivoltasse ogni pensile, le gridò di guardare sopra alla cucina a gas.
Sua sorella non era cattiva, ma aveva un carattere autoritario, che fosse più grande di lei non voleva dire che poteva darle ordini o imporsi sulle sue scelte di vita. Cosa che Chiara aveva provato a fare, ma con ben scarsi risultati, rimediando sempre qualche gesto significativo del dito indice.
Ferma sulla soglia della camera, Sara si rese conto del caos che regnava intorno a lei. Da quanto non metteva ordine in quella stanza? Se la sua vita assomigliava anche lontanamente a tutto quello, allora era davvero caduta troppo in basso.
Rovistò nell’armadio e ne uscì fuori con paio di jeans e una felpa, si vestì con calma e cercò di mettere un po’ d’ordine, rifece il letto e spalancò la finestra, freddo o meno, la stanza aveva bisogno di prendere aria.
Quando tornò in cucina vide che sua madre teneva in mano un notes, apriva gli sportelli e poi dopo averne osservato il contenuto scriveva qualcosa, poi fu il turno del frigorifero.
Gli bastò l’espressione sgomenta dipinta sul viso di sua madre, per capire cosa stesse pensando del vuoto abissale che spadroneggiava lì dentro.
«Non per farmi gli affari tuoi, ma da quanto non fai la spesa?»
«Tranquilla mamma, non avevo intenzione di fare la fame, sarei andata oggi, e poi io e Andrea non mangiamo chissà quante cose, di solito c’è l’essenziale.»
«Un bambino deve nutrirsi se vuole crescere sano, e tu devi mangiare se vuoi reggerti in piedi, come pensi di poter lavorare e occuparti di lui se non hai energie? Chiara fai una lista della spesa e vai al supermercato, io e tua sorella iniziamo a mettere in ordine.»
«Tranquilla mamma ci penso io a riempirle il frigo, ma credo che servano molte cose anche in dispensa. Ok faccio la lista e vado, non mettete il caffè in frigo, sapete quanto non mi piaccia.»
Stavano discutendo sul come disporre il tavolo in sala, quando Chiara dalla porta di casa le salutò. Mentre la madre spiegava come sistemare le poltrone per far spazio, lei iniziò a tirare fuori le stoviglie, sarebbe stato meglio dar loro una bella lavata, e poi doveva ritrovare la tovaglia delle feste.
«Allora, io inizio a spolverare e tiro via il tappeto, tu pensa alle stoviglie e per favore togliti quell’espressione di vittima sacrificale dalla faccia. Sei una donna forte e lo dimostra tutto ciò che hai fatto nel corso di quest’anno, ti rimetterai in carreggiata, fidati, ti conosco meglio di quanto credi. Sono o non sono tua madre?»
«Cielo, certe volte a guardare Chiara mi vengono dei dubbi. Sicura che papà non mi abbia trovata in strada e portata casa?»
«Figlia degenere, fai quello che ti dico e dimenticherò quello che hai detto. Però ora che mi ci fai pensare… il papà portò a casa una femminuccia…»
«Mamma!»
«Permalosa, vai a lavare i piatti o non combineremo nulla.»
«Eseguo… e piatti siano.»
Mentre lei era in cucina, sentì sua madre aprire una a una le imposte, e conoscendola bene si preparò al peggio. Dopo alcuni minuti, come a darle ragione, si ritrovò avvolta da una corrente di aria fredda.
«Mamma, tu e la tua mania di aprire le finestre, siamo in dicembre e fa un freddo cane.»
Quando era piccola, o si alzava di corsa o era costretta a rifugiarsi sotto le coperte, non c’era freddo o vento che spingesse sua madre a tenere le finestre chiuse.
«La casa deve cambiare aria, non la senti questa puzza di chiuso?»
Se si fosse azzardata a ribattere, la discussione sarebbe andata avanti per ore, così, dopo aver alzato gli occhi al cielo, Sara chiuse la porta della cucina e infilòa le mani nell’acqua bollente, almeno avrebbe percepito un bel tepore.
Finito di lavare i piatti mise in ordine e andò in camera, non prima di aver aperto la finestra, tanto se non l’avesse fatto lei ci avrebbe pensato la madre.
Nella sua stanza c’era ancora molto da mettere in ordine, sapeva di non poter chiudere la porta e basta, sicuramente la sera della cena sarebbe stata scelta come stanza dei cappotti, e non voleva fare brutta figura con la sua famiglia.
Ma lì dentro da sola, la voglia di tornare a letto e lasciare che il Natale e tutte le altre feste passassero senza di lei, tornò prepotentemente a bussare nella sua mente.
Sarebbe stato così facile infilarsi sotto le coperte, lasciarsi avvolgere dal loro calore e attendere che il sonno sopraggiungesse, ma a quanto pare la sua famiglia aveva deciso diversamente.
Dal salone le giunsero le note di una vecchia canzone, un’altra vecchia abitudine di sua madre, canticchiare mentre riordinava la casa. Quante ne aveva imparate di canzoni? In casa sua la musica moderna non era mai entrata, la radio era perennemente sintonizzata sulla solita stazione di musica anni sessanta.
Persino i suoi colleghi la prendevano in giro perché riteneva i cantanti di quei tempi i migliori, non ascoltava molta musica moderna, e vedeva poca televisione. I suoi compagni più fedeli erano i libri, che lei divorava a decine, ma con le entrate ridotte al minimo, aveva dovuto fare a meno di alcune abitudini, e i libri erano stati una di queste.
«Sara sei qui dentro?»
A quanto pare non le era più concesso stare da sola.
«Si mamma, entra pure.» «Stai bene?»
«Stare bene… a dire il vero è tanto che non mi fermo a pensarci sai.»
«Ormai è passato un anno, dovresti esserti scrollata di dosso un po’ di polvere.»
«Dici? Certe volte mi sembra di essere sommersa dalla polvere, ho paura che se alzo la testa ne inghiottirò talmente tanta da soffocare. Credevo fosse più facile.»
«Niente è facile bambina mia, non credere che per gli altri lo sia, molte coppie attraversano momenti bui, ci sono quelle che ne escono fuori a testa alta, e quelle che si sciolgono per sempre.»
«Io non ho avuto la possibilità di uscirne fuori, non sapevo nemmeno che ci fossero dei problemi, e tutt’ora non capisco come sia potuto finire tutto.»
«Non ci sono state avvisaglie?»
«No mamma, il sesso era perfetto, parlavamo di tutto, ma evidentemente mi sono solo illusa che quella fosse la perfezione, mi sono fatta del matrimonio un’idea sbagliata.»
«Mi dispiace Sara, tutti hanno diritto a una seconda possibilità, ma oggi posso dirti che non hai perso nulla. Hai un bambino splendido, nonostante i suoi nove anni, lo trovo più maturo del padre, mi auguro solo che non abbia ripreso da lui la sua incoerenza.»
«Scusami mamma, non volevo piangermi addosso, sarà meglio che metta in ordine, c’è molto da fare.»
«Questo è lo spirito giusto, torno di là, quando hai finito usciamo e andiamo a vedere l’albero.»
Erano ormai le dieci di mattina, quando Sara e sua madre misero piede fuori di casa. L’aria era fredda, ma almeno c’era il sole che rendeva la giornata più vivibile. Pochi isolati e sarebbero arrivate al negozio, lei sperava che per una volta un suo desiderio si avverasse, un albero, nient’altro, solo per far felice suo figlio.
«È quello il negozio?» «No… non dirmelo… è chiuso. Com’è possibile?»
Attraversarono la strada e quando giunsero davanti all’entrata del negozio videro che c’era affisso un avviso: “chiuso per lutto.”
«Non ci posso credere, di tanti giorni qualcuno ha scelto le feste di Natale per morire…»
«Sara! Ti dovresti vergognare di quello che hai appena detto. Pensa alla famiglia di quella persona, pensa a che feste tristi saranno. Ragazzina io non ti ho educata per essere così!»
Se ne era pentita subito, non appena aveva pronunciato l’ultima parola, ma la delusione, e il pensiero di non aver mantenuto quella promessa, l’avevano raggelata.
«Scusami mamma. Lo so, non avrei dovuto, per un attimo ho solo pensato ai miei problemi, e leggendo quel foglio mi rendo conto che sono niente in confronto. Hai ragione, ho pena per quella famiglia e devo ritenermi davvero fortunata, ho tutti voi.»
«Mi dispiace per l’albero, ma una vita umana vale molto, ma molto di più. Andrea capirà, è un bambino intelligente, dirò a Davide di portare l’albero che c’è in cantina, faremo su quello. Vedrai, si sistema tutto.»
Lungo la strada che le riportava a casa, Sarà pensò che forse era stato meglio così, non si poteva avere tutto, ma almeno una volta non sarebbe stato possibile?
Doveva scrollarsi di dosso quella sensazione di fallimento, lei ci aveva provato, li avrebbe anche spesi quei soldi, ma la sua vita era giunta a un punto in cui, ogni cosa andava centellinata, e il denaro purtroppo era una di queste.
Se solo avesse chiesto prima l’aiuto della famiglia, se solo Paolo non se ne fosse andato, se… troppi se che non portavano a niente, che non avevano ormai più un senso. Era andata così, doveva farsene una ragione e trovare un rimedio, forse l’albero di sua madre avrebbe davvero risollevato quel Natale.
«Chiamo tuo fratello, tu intanto comincia ad affettare i pandori che abbiamo portato, poi penseremo a qualche altro dolce da servire domani sera. È l’unica cosa che manca, sai che non sono molto brava in queste cose.»
«E pandori sia, devo avere anche del mascarpone se non sbaglio, vedrò di preparare una crema passabile.»
«Ma piantala… come se non lo sapessimo che sei una maga dei dolci. Anzi, credo che tuo fratello non veda l’ora di sedersi alla tua tavola, sai che sarebbe capace di mangiarsi il mondo da solo.»
«Mi chiedo da chi abbia ripreso, tra te e il papà se mangiate una fetta di dolce è già tanto.»
«Forse abbiamo raccolto anche lui dalla strada, proprio come te. Chi lo sa.»
«Spiritosa, anche se per Davide non ci metterei la mano sul fuoco.»
Mentre scartava i pandori si immaginò di avere lì con lei Andrea, lui si sarebbe divertito a svuotare le bustine dello zucchero e poi scuotere il sacchetto. Oddio, l’ultima volta che ci aveva provato, il pandoro era finito in terra, con grande gioia dei gatti che erano accorsi a banchettare.
«Mamma credo che adesso ti arrabbierai», le aveva detto quando era tornata in cucina.
E mentre lei cercava di capire cosa era successo, uno dei gatti l’aveva guardata con il muso coperto di zucchero. In quel momento non era stata capace di arrabbiarsi, aveva recuperato il pandoro ed era scoppiata a ridere scorgendo i musi degli altri due.
«Spero che la merenda sia stata di vostro gradimento. Adesso vediamo di rimediare, taglierò via la parte smangiucchiata dai gatti, ma tu non dire niente al papà, sai che lui si schifa anche dell’aria.»
I momenti più belli erano stati quelli passati con Andrea, come aveva potuto non collegare la cosa, capire che i problemi c’erano sempre stati, ma non li aveva colti? Eppure, mentre tagliava il pandoro, si rese conto di quanto era stata stupida, come aveva fatto a non notarlo, a non accorgersi di come tutto cambiava quando erano tutti e tre insieme?
Di quanto l’aria divenisse pesante quando Paolo era in casa, di come Andrea cambiava atteggiamento quando il padre era presente? Eppure la cosa era sempre stata lì, sotto i suoi occhi.
Lui che in casa diventava invisibile, che si lamentava se la pioggia li costringeva a non uscire, che riprendeva il bambino quando questo non voleva andare in giro. Era lui che non riusciva a stare in quelle quattro mura, una casa che viveva quasi come una prigione, e a pensarci bene, era stato come vivere con un leone in gabbia.
E la vita aveva cominciato piano piano a girare intorno a lei e ad Andrea, come aveva potuto non accorgersene? Forse se fosse accaduto, quell’abbandono non l’avrebbe ferita, non si sarebbe sentita umiliata, come invece era accaduto.
Solo in quel momento, con il coltello ancora a mezz’aria, si rese conto di quanto lei fosse stata più forte, ma avesse vissuto nel modo sbagliato quel divorzio. Avrebbe dovuto accoglierlo come una liberazione, come l’inizio di una nuova vita, un inizio fatto di speranza e di amore per suo figlio. Ecco, era così che sarebbero dovute andare le cose.
La lama scivolò senza trovare ostacoli attraverso la massa soffice del pandoro, e si fermò con un colpo secco sul piano del tavolo, producendo un rumore sordo che la fece sobbalzare.
Era davvero stata così cieca e stupida? A quanto pare sì. Si era davvero dannata l’anima per un anno, pensato di essere la causa di tutti i suoi mali? Sembrava proprio di sì. Cielo… quanto doveva aver riso di lei, e ora suo figlio era con lui, gli aveva permesso di prendersi qualcosa che non meritava, l’amore di suo figlio.
L’amore di quel bambino che lui non aveva esitato un attimo ad abbandonare, lo stesso bambino che era rimasto a guardarlo mentre se ne andava la sera della vigilia. Un padre che per un anno non aveva fatto altro che trovare scuse, che lo aveva trattato come un impegno di poca importanza.
E lei gli aveva concesso di passare il Natale insieme, lo aveva fatto per Andrea, per l’amore incondizionato che provava per suo padre, ma quella sarebbe stata l’ultima volta.
«Chiederò al giudice l’affidamento unico, non merita l’amore di suo figlio, e non gli permetterò mai più di giocare con la sua vita.»
Quando sua madre se la ritrovò davanti, coltello in mano e sguardo fiero, si spaventò. Per un attimo aveva creduto che sua figlia fosse impazzita, ma quelle parole dette con profonda convinzione, le fecero capire che finalmente aveva iniziato a risalire la china, Sara era tornata la donna fiera di un tempo.
«Era ora, adesso vai a finire il lavoro.»
«Tutto qui? Non sai dirmi altro?»
«Sara, non credo che tu abbia bisogno di sentirti dire qualcosa. Però credo che tuo fratello si mangerà il tavolo se non trova il dolce.»
«Neanche un: brava figlia mia?»
«Sei in cerca di complimenti?»
«Ok mamma, torno in cucina o quel povero fratello denutrito morirà di fame.»
In cucina non era rimasto molto da fare, tre bei pandori farciti di crema al mascarpone facevano bella mostra sul tavolo, non rimaneva che coprirli e metterli in frigorifero. Proprio quando stava per chiuderne la porta, Sarà sentì il telefono squillare, si voltò ma si rese conto che il portatile era rimasto in sala da pranzo.
«Mamma rispondi tu per favore.»
«E se è Paolo?»
«Ecco, allora è meglio che rispondi tu, rischierei di mandarlo a quel paese.»
Quando dopo qualche minuto la madre comparve in cucina, Sara stava riordinando alcuni pacchi di pasta.
«Credo che ne porterò qualche chilo in chiesa, per me e Andrea sono troppi.»
«Sicuramente faranno comodo a qualcuno, a proposito, al telefono era un tuo collega.»
«Un mio collega? Strano… sono in pochi ad avere il mio numero, ma non quello di casa. Chi era?»
«Un certo Giulio Mineo.»
«Giulio?»
«Sì, Giulio, cosa c’è problemi di udito?»
«E ti ha detto cosa voleva?»
«No Sara, siamo stati fino a ora a parlare del tempo. Certo che mi ha detto cosa voleva.»
«E allora perché non me lo dici invece di tergiversare?»
«Se avessi immaginato che ti saresti spazientita non avrei risposto. Allora, il tuo collega voleva invitarti a passare la vigilia con un po’ di gente, tutto qui.»
«Tutto qui? Giulio mi invita e tu dici tutto qui?»
«Non vedo cosa ci sia di strano?»
«Mamma Giulio è sposato! Sua moglie è gelosa, figuriamoci se gli permette di invitare una collega.»
«Sicura che sia sposato?»
«Sì mamma, da oltre dieci anni.»
«A questo punto non so che dirti, forse passerà a farti gli auguri. Meglio che torni di là, e se il telefono squilla stavolta rispondi tu.»
Non era tanto il fatto che Giulio avesse cercato il suo numero, quanto che l’avesse chiamata a casa. Il giorno prima si erano salutati e fatti gli auguri di buon Natale, insieme agli altri colleghi avevano brindato alle feste, e poi ognuno se ne era tornato a casa. Perché non aveva fatto parola di quell’invito?
A Sara sembrò tutto così insensato, lui era al corrente delle sue idee, una tra queste, non uscire mai con i colleghi, ancor più se erano sposati. Era certa di non averlo incoraggiato in nessun modo, anche se a dire il vero, negli ultimi tempi si era scoperta attratta da lui. Ma questo non aveva cambiato nulla, si era tenuta tutto dentro e lo aveva lasciato a debita distanza.
Per Giulio aveva provato sentimenti contrastanti, c’erano state volte in cui avrebbe buttato all’ortica tutte le sue idee, solo per sapere cosa si provava a sentirsi apprezzata, come donna e come amante.
Ma la parola “amante”, non rientrava nel suo vocabolario, era troppo territoriale, non amava condividere quella parte di sé stessa, soprattutto con un’altra donna.
Si era detta che fosse colpa dell’astinenza forzata, delle attenzioni che Giulio le riservava da un po’, da quelle frasi messe lì, tanto per istigare la fantasia. Cercò di ripensare a quegli ultimi giorni, agli strani sguardi che lui le dedicava, all’insofferenza che leggeva nei suoi occhi, quando un altro collega la faceva ridere.
Giulio era sposato, e per quanto ne sapesse lei, anche felicemente. Basta! Si disse. C’era una casa da ripulire e una cena da organizzare, in quel momento non c’era posto per lui nei suoi pensieri.
Verso l’ora di pranzo rientrò anche Chiara, con le braccia cariche di sacchetti della spesa. In cucina era stato approntato un pranzo alla bene e meglio, ma quando vide i piatti di plastica storse il naso.
«Non ci sono più piatti in casa?»
«Non fare la sarcastica e siediti a mangiare, tua sorella a passato un paio d’ore a pulire la cucina, direi che non è il caso di farle lavare ancora dei piatti.»
«Da quel poco che ho visto la casa è stata tirata a lucido, e io che pensavo che avreste passato il tempo a chiacchierare.»
«Fai la brava Chiara, siamo stanche e la giornata non è ancora finita.»
«Ah dimenticavo, giù in portineria c’è un pacco per te.»
«Per me? Come mai non l’hai preso?»
«Sai com’è, ero stracarica di spesa, ma forse ora che ci penso avrei potuto portarlo con la bocca.»
«Come mai in vista delle feste diventi sempre così acida? Hai mai pensato di dormire finché non finiscono? Comunque grazie, finito qui scendo a prenderlo.»
«Chiedi al portiere di portarlo su, dopo tutto fa parte del suo lavoro.»
«Vabbè che sarà mai un pacchettino, ho ancora un po’ di forze.»
«A dire il vero è più grande di un pacchettino… fidati, fattelo portare su, però aspetta, credo di averglielo già chiesto io.»
«Mamma la vedi come fa, e poi dice che una non gli tira il collo.»
«Ragazza, dopo che ti ho fatto la spesa avrei dovuto farti anche da corriere? La prossima volta mi faccio gli affari miei.»
«Chiara piantala e mangia, occupa la tua bocca in qualcosa di utile.»
«Lascia stare mamma, tanto io ho finito, faccio un salto dal portiere e dò un’occhiata.»
Sulla porta di casa sentiva ancora le lamentele di Chiara, non che fosse cattiva, ma certe volte era difficile digerire lei e le sue paternali, ma forse quella volta aveva ragione.
Attese sul pianerottolo che l’ascensore arrivasse, ma dopo alcuni minuti si rese conto che dovevano averlo lasciato aperto, così decise di scendere a piedi. Quando giunse alla guardiola del portiere, la prima cosa che vide fu un pacco enorme con un fiocco argentato.
«Signora Corsi, vedo che sua sorella l’ha informata. Vuole una mano per portarlo su in casa?»
«Mi scusi Valerio, ma chi l’ha lasciato? Io non aspettavo nulla.»
«Il signore che l’ha portato ha detto di essere un suo amico, ma quando gli ho chiesto se dovevo avvisarla, mi ha pregato di non disturbare. Sinceramente non saprei dirle chi fosse, non l’ho mai visto da queste parti.»
«Ok se mi dà una mano a portarlo fino all’ascensore gliene sarei grata. Certo che se ricordasse l’aspetto di questo signore mi sarebbe d’aiuto.»
«Come no signò, sarà stato alto un metro e settantacinque, ottanta. Capelli castani corti e mossi, e se non sbaglio gli occhi erano verdi.»
«Deve averlo guardato bene, complimenti per la memoria.»
«Signò è il mio lavoro, e poi ho avuto modo di osservarlo perché è rimasto fuori dal cancello per un po’ prima di entrare.»
Giulio. Prima la telefonata e poi quello, cosa stava accadendo? Possibile che avesse frainteso la sua amicizia? Non poteva permettersi di sbagliare un’altra volta, non doveva lasciarsi andare a stupide fantasie con un uomo sposato.
Sarà continuò a pensare che qualcosa non andava, era pur vero che negli ultimi tempi Giulio le si era avvicinato molto, ma non aveva mai fatto quel passo in più, un gesto per farle capire che fosse interessato a lei.
«Bene Signò, le auguro una buona giornata, torno in guardiola.»
«Grazie Valerio è stato gentilissimo.»
Caricato il pacco in ascensore Sarà continuò a farsi mille domande, poi alla fine si convinse che forse aveva travisato tutto. Che quello era solo il gesto di un buon amico, di una persona che aveva condiviso con lei i tormenti degli ultimi mesi, sì, si disse, forse le cose stavano davvero così.
Arrivata al piano trascinò il pacco fin dentro casa, le voci della madre e di Chiara le arrivavano dal salotto, dovevano aver finito di mangiare.
Iniziò a scartare il pacco, ma una volta tolta la carta, non c’era nessun immagine o scritta che ne spiegasse il contenuto. Cercò di sollevare i lembi del cartone ma questi erano ben sigillati, quando finalmente cedettero, ecco spuntare alcune decorazioni natalizie.
“Ho visto un albero con Andrea ma costava troppo…”
Più o meno gli aveva detto così quel giorno al lavoro, ma ricordava anche di aver declinato il suo aiuto.
«Allora chi è che ti manda regali simili per Natale? Di sorellina, non avrai mica uno spasimante?»
«E se anche fosse? Mi sembra che tua sorella ne abbia tutto il diritto. Chiara smettila di essere indiscreta.»
«Tranquilla mamma, non è il caso. Non ho uno spasimante, ma so chi mi ha mandato il regalo, ti basta come risposta?»
«Me la farò bastare, mi sembra che oggi tra te e mamma siate intrattabili, cavolo manco si può scherzare.»
«Non me la sono presa, sto solo cercando di capire il perché di questo dono.»
«Sara, non c’entrerà mica quel tuo collega che ha chiamato un paio di ore fa?»
«Vorrei poterti dire di no, ma a quanto pare è stato proprio lui.»
«Ma non mi hai detto che è sposato, per di più felicemente?»
«Sinceramente a questo punto non so più cosa pensare, il regalo, l’invito per la cena. Non ci sto capendo nulla.»
«Cos’è questa storia del collega?»
«Chiara vai a mettere a posto la spesa, renditi utile ok?»
«Ho capito… non mi volete tra i piedi, però poi a casa mi racconti tutto. Vado, vado.»
Sua sorella sparì in cucina, mentre sua madre le si era avvicinata, e aveva iniziato a tirare fuori le decorazioni. C’erano diverse scatole di palline di vetro, ognuna con una decorazione diversa, una più bella dell’altra.
«Sono davvero splendide, ci credo che Andrea se ne sia innamorato.»
«Aspetta di vederlo finito.»
«Ti preoccupa il fatto che sia stato lui a regalartelo?»
«Se devo essere sincera, non so se essere preoccupata o curiosa.»
«Ti chiedi cosa ci sia dietro a questo suo comportamento? Comunque lasciatelo dire, conosce la tua situazione e credo che non stia facendo nulla di nascosto. Forse sei tu a non conoscere proprio a fondo la sua, di situazione.»
Le parole della madre le risuonarono in mente per tutto il tempo, mentre svuotavano la scatola e in seguito, quando iniziarono a dare vita all’albero di Natale. Passarono un’ora a decorarlo senza nemmeno rendersene conto, fu Chiara a richiamare la loro attenzione entrando in salotto.
«Si è fatta l’ora di andare, domani dovremo portare un sacco di cose, sarà meglio sbrigarsi o non concluderemo nulla.»
«Tua sorella ha ragione, dobbiamo preparare tutto l’occorrente, tu fatti un bel bagno e rilassati, chissà che la tua mente non trovi le risposte.»
«Grazie, davvero. Anche a te Chiara, sei stata gentile mentre io sono stata sgarbata con te, scusami.»
«Figurati, tra sorelle capita, ci vediamo domani e se fossi in te, seguirei il consiglio della mamma. Domani sarà una giornata lunga, riposati.»
«Bene ragazze, basta con i preamboli la giornata non è ancora finita. Domani saremo qui per le tre, fatti bella, è tanto che non ti vedo curata come si deve.»
«Va bene mamma, mi farò un bagno, mi rilasserò e domani sarò una strafiga da paura. Fate le brave, vi voglio bene.»
Dopo aver abbracciato sua madre e sua sorella, Sarà le accompagnò all’ascensore e quando sentì la porta aprirsi al piano terra, rientrò in casa e tirò un sospiro di sollievo.
L’albero di Natale faceva bella mostra di sé nell’angolo più luminoso del salotto, cavolo se era bello, a vederlo con le luci accese era davvero uno spettacolo, chissà che faccia avrebbe fatto Andrea trovandoselo davanti.
Alle sei di sera la vasca da bagno iniziò a riempirsi, la montagna di schiuma che andava via via formandosi, rilasciava nell’aria un buon profumo di gelsomino. Sara amava quell’aroma, aveva la capacità di rilassarla, e la bottiglia quasi vuota le ricordò che era ora di ricomprarlo.
Seduta sul bordo della vasca, non faceva altro che pensare a Giulio e al suo regalo. Si ricordò del fatto che sua madre lo aveva invitato a passare, e per un attimo si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato averlo alla sua stessa tavola.
Avrebbe provato imbarazzo? Dopo tutto non era come sedersi insieme e bersi un caffè, non come quando si dividevano le fette di torta portate al lavoro da altri colleghi. Già, perché Giulio ne salvava sempre una per lei, e se questo non era possibile divideva la sua e gliene dava la parte più grande.
Possibile che qualcosa fosse cambiato tra loro e lei non se ne fosse mai accorta? Che presa dai suoi problemi avesse frainteso le gentilezze di Giulio? Il suo animo si era davvero indurito fino al punto tale, da non riconoscere un uomo interessato a lei?
Mentre gli abiti finivano sul mobile del bagno, Sara si chiese se alla fine, quel matrimonio perfetto lo fosse davvero, o si trattasse soltanto di una messa in scena.
Una volta in acqua si sistemò un asciugamano sotto la testa e si lasciò andare contro la vasca. E se Giulio avesse avuto problemi in famiglia? Non fu difficile ammettere con sé stessa che c’era dell’attrazione, ma problemi o no, lui era sposato, e per lei quelli ammogliati erano off limits.
Gran bell’uomo, negli ultimi tempi ritrovandoselo così vicino, si era spesso sorpresa a osservarlo. Fisico asciutto, almeno da quello che poteva vedere, la superava di almeno trenta centimetri, per questo quando parlavano lei gli chiedeva puntualmente di sedersi.
Lui rideva della cosa ma non c’era stata volta in cui non l’avesse accontentata. Si era ritrovata a fantasticare sui suoi capelli, una massa incolta di riccioli scuri in cui avrebbe volentieri immerso le mani. Ma sarebbe stato bello anche seguire i suoi lineamenti con la punta di un dito, sfiorargli le labbra e vedere come quel lieve tocco lo avrebbe fatto reagire.
Sì, sarebbe stato bello, peccato per la fede che portava al dito. Si disse che doveva smetterla di fantasticare, ma era poi così facile? Quel regalo aveva acceso in lei una piccola speranza, ma non doveva darle modo di germogliare, sarebbe stato un errore.
Chiuse gli occhi e inspirò, lasciò che le braccia galleggiassero molli sul pelo dell’acqua, si concentrò sull’odore di gelsomino e riportò i suoi pensieri alla cena della vigilia.
Ci sarebbero stati tutti, il padre Francesco, sua madre Ida e Davide con la sua fame smisurata. Di sicuro sua madre e la sorella avevano cucinato per un esercito, almeno così sarebbero riuscite a tenerlo a bada.
Chiara con il marito e sua figlia Elisa, poi sarebbero arrivati i cugini Claudio, Valentina e Alessio tutti con la loro famiglia a seguito. Per non contare poi gli zii, se tutto andava bene si sarebbero ritrovati in venti, e sì, perché come al solito alcuni amici si sarebbero autoinvitati.
Ci sarebbe stato il caos, avrebbero parlato uno sull’altro, come accadeva spesso durante le loro rimpatriate, però sarebbe mancato Andrea, chissà se in quel momento stava pensando a lei o era tutto preso da qualche cosa di nuovo?
Senza pensarci due volte uscì dalla vasca, si buttò addosso l’accappatoio e andò in camera da letto. Sul comodino il cellulare vibrava, fece un balzo sul letto per recuperarlo, e prima che questo smettesse di suonare riuscì a rispondere.
«Ciao mamma, è un po’ che squillo dov’eri?»
«Scusa amore ero in vasca, ho lasciato il telefono in camera, se avessi saputo che telefonavi lo avrei tenuto vicino.»
«Fa niente, avrei continuato a farlo squillare, tanto lo so che mi avresti risposto.»
«Come va lì con il papà?»
«… bene. Ho conosciuto il fratellino, sai mamma è davvero buffo. Dovresti vederlo quando piange, diventa talmente rosso, che è quasi più rosso delle mie Ferrari, hai presente?»
Le servirono un paio di minuti per elaborare quelle informazioni, e quando recepì a pieno le parole di Andrea, per Sara fu come se un fulmine l’avesse colpita in pieno.
«Quindi ti stai divertendo?»
Non voleva lasciare spazio alla collera che sentiva crescere dentro di sé, Andrea non aveva colpe. E così per l’ennesima volta, Paolo si era preso gioco di lei, un figlio? Come aveva potuto nasconderle una cosa come quella?
Aveva sempre saputo che la possibilità c’era, dopo tutto lui voleva una famiglia numerosa, era stata lei a fermarsi, a non volerne altri dopo Andrea. Ma avrebbe dovuto avvisarla parlargliene, chissà come doveva aver reagito suo figlio una volta messo davanti al fatto compiuto.
«Insomma mamma, quando lui dorme non si può fare rumore, e quando si sveglia devo tenere la tele bassa o si mette a piangere. Ma il papà dice che quando sarà più grande, potrò giocarci insieme, sperò che gli piacciano i miei giochi.»
«Amore, il papà è in casa?»
«No, è uscito con degli amici, dovevano andare su in montagna per un pranzo, io sono con Marzia e il fratellino.»
«E sai quando torna?»
«Credo che torni il 26, almeno è quello che ho sentito mentre litigava con lei.»
«Papà e Marzia litigavano?»
«Sì, lei gli diceva che non era giusto, che sarebbe dovuto rimanere con noi, ma lui ha detto che non aveva voglia di passare le feste con i suoi genitori.»
«Quindi tu e Marzia siete da soli con il piccolo?»
E mentre quelle ultime parole riecheggiavano nella sua mente, Sara prese a vestirsi con rabbia. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito, era assurdo, totalmente irreale. L’istinto le aveva detto di non fidarsi, ma il figlio voleva passare il natale con lui, però quello era davvero inammissibile.
Non solo si era presentato con un figlio appena nato, ma lo aveva lasciato per andare con gli amici a festeggiare per i cavoli suoi.
«Ma il papà è stato un po’ con te prima di andarsene?»
«Quando è venuto a prendermi aveva già le valigie in macchina. Abbiamo cenato insieme e poi la mattina dopo è partito.»
Sara decise in quel momento che avrebbe messo fine a quella situazione. Aveva sbagliato, avrebbe dovuto far capire a suo figlio che ormai la loro vita aveva preso strade diverse, ne avrebbe sofferto, ma a quel punto sarebbe stato meglio.
«Vuoi tornare a casa? Pensaci con calma, ti richiamo tra un’ora, e se mi dirai di sì verrò a prenderti di corsa.»
«Ma il papà non si arrabbierà?»
«Amore mio, al tuo papà ci penso io.»
«Sei arrabbiata con me?»
«Non dirlo nemmeno per scherzo, con te mai. Ho solo bisogno di calmarmi, mi hai detto cose che avrei preferito non sentire.»
«Posso parlarne con Marzia, lei voleva andare dai suoi, così non saremmo rimasti da soli, e poi mi ha chiesto se volevo che mi portasse a casa.»
«Davvero? Ti ha chiesto questo?»
«Sì, prima che ti chiamassi, per questo l’ho fatto, per chiederti di venire a prendermi. Posso tornare a casa mamma, il fratellino mi piace, ma io voglio stare con te.»
«Il tempo di vestirmi e arrivo, e dì a Marzia che non sono arrabbiata con lei, non più ormai.»
«Ok, posso guardare i cartoni mentre aspetto?»
«Sì amore puoi, a dopo.»
Quando arrivò alla macchina si stava ancora allacciando il secondo stivale, dentro l’ascensore aveva fatto a botte con la lampo del giaccone, a quanto pare non aveva intenzione di fare il suo dovere. Minacciò di spaccarla quando il cursore magicamente prese a scorrere, infilò cappello e sciarpa e nel farlo per poco non investì il portiere.
«Signò tutto bene?»
«Sì sì, tutto a posto, non potrebbe andare meglio.»
Rischiò di cadere un paio di volte quando i lacci le finirono sotto le suole degli stivali, ma poi alla fine tutto fu al suo posto, e lei si ritrovò in strada incazzata nera con sé stessa, ma soprattutto con Paolo.
Ormai la strada era tracciata, si sarebbe data da fare per arrivare di nuovo davanti al giudice, e questa non avrebbe fatto la brava, niente concessioni perché lui era il padre di suo figlio. Questa volta avrebbe opposto un netto rifiuto alle sue richieste.
Venti minuti, tanto aveva impiegato per coprire la distanza tra la sua casa e quella di Paolo, era sicura di avere rischiato di investire un paio di pedoni, e doveva aver chiesto loro scusa, ma in quel momento non ne era poi tanto certa.
Non dovette nemmeno suonare il campanello, il portone si aprì non appena lei scese dall’auto. Fece le due rampe di scale volando, e quando arrivò sul pianerottolo ad accoglierla fu il pianto di un neonato.
Andrea fece capolino dalla porta, indossava il giubbotto e si stava tirando dietro il suo trolley, poi alle sue spalle comparve Marzia. Non ci fu bisogno di parole, in quel momento sul suo viso c’era tanta amarezza, doveva essere davvero stanca.
A quanto pare, sembrava proprio che l’idillio fosse finito, lei ancora non se ne rendeva conto, ma presto avrebbe aperto gli occhi, o così sperava Sara.
«Grazie per avermi fatta chiamare, andiamo amore.»
La porta si richiuse dietro le loro spalle, nuovamente il pianto del piccolo tornò a farsi sentire. E così a tanti momenti negativi, il padre ne aveva aggiunto un altro, avrebbe mai smesso di abbandonare suo figlio per la sua voglia di libertà?
«Sai, domani sera a casa nostra ci saranno tutti, faremo una grande festa.»
«Ci sarà anche lo zio Davide? Ma si mangerà tutti i dolci?»
«Tranquillo, la nonna e zia Chiara hanno preparato tante cose buone.»
«Ci sarà anche il pandoro con la crema?»
«Secondo con te?»
«Ne nascondiamo uno? Se ci arriva lo zio a noi rimarranno solo le briciole.»
Ebbene ora erano complici, l’operazione pandoro avrebbe avuto inizio una volta giunti a casa.
Non si dissero altro, Sara non fece domande, era troppo felice di riavere suo figlio con sé. Si era preparata a passare le feste senza di lui, ma era bastati meno di due giorni per riportarlo a casa.
Quando arrivarono la portineria era chiusa, l’ascensore con il suo lento incedere li riportò fin davanti alla porta di casa, mezz’ora dopo Andrea era già a letto. Sara gli si era stesa accanto e non si mosse da lì per tutta la notte, con sommo dispiacere dei gatti.
«Mamma! Mamma c’è l’albero, il mio albero. È di là in salotto è … è grandissimo.»
Furono i sobbalzi del letto a svegliarla per non parlare delle grida di Andrea. Sembrava una scheggia impazzita, correva dalla sala alla camera da letto, e i gatti si spostavano terrorizzati al suo passaggio.
«Dai mamma alzati vieni a vederlo… è enorme.»
«Sì… dammi il tempo di svegliarmi.»
Quella notte non aveva chiuso occhio, Andrea aveva continuato a rigirarsi nel letto, e lei si era ritrovata più di una volta a un pelo dal pavimento. Arrivò in salotto con gli occhi aperti per metà, sbadigliava a raffica e voleva solo tornarsene sotto le coperte.
«Mamma grazie», le disse tuffandosi tra le sue braccia.
«Sai, anche se me lo avevi promesso, ho pensato che non saresti riuscita a prenderlo.»
Ed era andata veramente così, ma dirglielo sarebbe forse servito a qualcosa? Però Sara non se la sentiva di mentirgli così, decise di camuffare un po’ la verità.
«In effetti è così, non ho potuto comprarlo.»
«Ma… mamma allora come mai è qui?»
«Un regalo, qualcuno ci teneva tanto che tu avessi un bel Natale.»
«Sono stati i nonni allora?»
«Amore, è un regalo non è educato chiedere, accettalo e basta, così come ho fatto io.»
«Sei triste, mamma non devi essere triste. Io sono qui, abbiamo l’albero più bello del mondo, avrei voluto anche il papà… però anche così va bene, sarà un Natale fortissimo.»
«Lo sarà ancora di più se nascondiamo uno dei pandori, tanto lo zio non sa quanti ne ho preparati.»
«Sì mamma! Sarà un nostro segreto, ma lo zio non potrebbe farsi piacere qualcos’altro?»
«Bella domanda, stasera quando arriva prova a chiederglielo. Adesso che ne dici di fare colazione, poi se vuoi ci rimettiamo nel lettone e tu mi leggi qualcosa.»
«La gabbianella e il gatto, non sono ancora riuscito a finirlo, ti leggerò quello.»
«Vada per la gabbianella, però se mi addormento prometti che mi svegli.»
«E se mi addormento anche io?»
«Vuol dire che ci sveglieranno i nonni quando arrivano. Ora fila in cucina che si mangia.»
Andrea fece fuori un intero pacchetto di biscotti, li immergeva nel latte e il più delle volte era costretto a ripescarli sul fondo con il cucchiaio. Sara si era preparata a passare quei giorni da sola, com’erano cambiate le cose nell’arco di così poche ore.
Prima l’albero di Natale e poi il ritorno a casa di Andrea, la nera visione che si era fatta di quelle feste, stava via via sparendo dalla sua mente. Chissà, si domandava a quel punto, cosa le avrebbe riservato la cena, e soprattutto, Giulio sarebbe passato?
Fecero colazione nel caos, Andrea non la smise un secondo di parlare, le raccontò tutto quello che avrebbe voluto fare con i cugini quella sera. Gli parlò di cosa sperava trovare sotto l’albero, di come avesse chiesto senza vergogna a zio Davide, l’ultimo modellino della Ferrari.
Con le mani giunte sotto il mento, Sara lo guardava, stava crescendo il suo bambino, e lei non voleva perdersi nemmeno un momento della sua crescita. Si augurò di essere in grado di indicargli la giusta strada, di potergli dare il giusto consiglio, e si disse che mai avrebbe cercato di tarpargli le ali, dopo tutto la vita era la sua.
Sicuramente la mancanza di un padre si sarebbe fatta sentire, ma aveva poche speranze che Paolo maturasse fino al punto da poter insegnare qualcosa a suo figlio. Fino a quel momento gli aveva solo fatto vedere, quanto i propri interessi venissero prima degli altri.
Come deciso prima di colazione, tornarono a infilarsi sotto le coperte, Andrea con il suo libro e Sara con tanto sonno arretrato. A sua discolpa si disse che ce l’aveva messa tutta, ma svegliarsi ogni mattina alle 5,30 e la notte insonne appena passata, le avevano tolto ogni resistenza.
Alla terza riga, o forse era stata la quarta, Sara sentì le palpebre chiudersi, e prima che scivolasse nel sonno abbracciò suo figlio e se lo tirò accanto. La casa era pulita, la cena l’avrebbero portata i suoi, non doveva certo preoccuparsi di svegliarsi nel pomeriggio. Una doccia veloce e un po’ di trucco e anche lei sarebbe stata pronta.
La sveglia suonò senza un apparente motivo, mentre schiacciava il pulsante per spegnerla, Sara era certa di non averla impostata. Anche se avesse fatto finta di niente, la maledetta avrebbe ripreso a suonare ogni dieci minuti, non rimaneva che alzarsi, ormai il sonno era spezzato.
Andrea dormiva profondamente, doveva essere stanco, non era da lui rimanere a letto fino a tardi, ma almeno così avrebbe avuto il tempo di mettere i regali sotto l’albero. La sua famiglia glieli aveva consegnati giorni addietro, e lei si era vista costretta a nasconderli in ogni antro della casa. Per fortuna suo figlio rispettava il divieto di aprire l’armadio, se solo se ne fosse dimenticato, sarebbe stato travolto dai pacchetti.
Scivolò fuori dalle coperte e senza farsi sentire recuperò i regali, li dispose sotto l’albero e subito dopo andò a farsi una lunga doccia calda. Si sentiva eccitata e allo stesso tempo nervosa, se Giulio si fosse presentato lei avrebbe dovuto prendere una decisione.
La sua presenza avrebbe senz’altro significato che si aspettava un qualche coinvolgimento, non che la cosa la spaventasse, conosceva bene Giulio, sapeva che tipo di uomo era, ma ancora non aveva deciso se era il momento di rimettersi in gioco.
Ma per quanto ci avesse pensato, non poteva aver dimenticato che le emozioni erano qualcosa di incontrollabile, non si poteva impedire al proprio cuore di battere, ma il suo? Come avrebbe reagito?
Lasciò che l’acqua della doccia la scaldasse fin dentro le ossa, recuperò un vecchio rasoio, e per la prima volta da quando Paolo se ne era andato, si depilò. Persino dove non era mai arrivata, c’era stato un momento di vergogna mentre passava il rasoio sui peli del pube, pensò che doveva essere impazzita, ma ormai il dado era tratto e alla fine dell’opera, non ne rimase nemmeno uno.
“Cosa mi sono messa in testa? “
Finita la doccia si avvolse nell’accappatoio, e rimase seduta sul bordo della vasca mentre procedeva con la manicure, “cielo” si ritrovò a pensare, come si era trascurata in quei mesi. Ma chi glielo aveva fatto fare di soffrire per un uomo simile?
«Ben alzato.»
La testolina di Andrea spuntava dalla porta, doveva essersi svegliato da poco, aveva ancora gli occhi mezzi addormentati.
«Mamma posso guardare la tv?»
«Facciamo una cosa, fai un po’ di compiti mentre io preparo il pranzo, ti porti avanti anche dopo, così stasera e domani avrai tutto il tempo di giocare con i cugini.»
«Ma mamma, sono in vacanza…»
«Anche io amore, ma non per questo smetto di occuparmi di te. Così anche tu non puoi evitare di farli, fai il bravo, vedrai che se ti impegni ci metti poco.»
«Ma mamma…»
«Fai il bravo amore, ho nascosto o no il pandoro farcito? E stasera dovrò mentire quando lo zio mi chiederà se ce n’è ancora.»
«Va bene, uffa però, se ci danno tanti compiti che senso ha fare le vacanze? Tanto vale che la scuola rimanga aperta.»
Senza nemmeno chiudere la porta Andrea le voltò le spalle e se ne andò. Fare i compiti in vacanza era uno strazio sia per lui che per Sara che spesso doveva stargli sopra per ore, ma andavano comunque fatti.
Come più di una volta gli aveva ricordato, era suo dovere andare a scuola e studiare, come lo era il suo lavorare e portare i soldi a casa per pagare le bollette e farlo mangiare. Se non lo avesse fatto, si sarebbero ritrovati in mezzo alla strada.
«Mamma sono arrivati i nonni!»
Il tempo era volato, dopo aver pranzato si erano seduti in salotto a fare i compiti, come sempre quando si trattava della grammatica, Andrea tendeva a fare capricci, e allora con tanta pazienza, Sara gli spiegava che era necessaria, che l’avrebbe aiutato a capire, a scrivere e a leggere nel modo giusto.
Guardò l’orologio sul mobile, si erano fatte le sette e mezza, dall’ingresso le arrivavano le voci concitate dei genitori, e quella più pimpante di suo figlio.
«Vedo che non sei ancora pronta.»
«Si mamma, anche io sono contenta di vederti, e se guardi meglio, vedrai che mi sono lavata e vestita.»
«Sì, ma guarda quei capelli, sembri uno spaventapasseri, e il trucco, nemmeno un po’ di mascara.»
«Mamma lo sai che per quelle cose sono negata.»
«Tranquilla, Chiara è giù che aspetta mentre Tommaso cerca parcheggio, ci penserà lei a renderti presentabile.»
«Ma papà! Anche tu ti ci metti.»
E mentre suo padre la stritolava in uno dei suoi soliti abbracci, le sussurrò alle orecchie.
«Tua madre mi ha pregato di dirti così, e per quanto non condivida questo pensiero, sai che faccio sempre quello che mi chiede.»
Il sorriso illuminò il viso di Sara e suo padre di rimando le diede un buffetto sulla guancia. Anche se in un primo momento aveva preferito disertare quella cena, si sentì felice di averli tutti lì con lei, a condividere un momento bello di quelle feste.
«Allora cos’è questo mortorio?»
Chiara era entrata in casa seguita dal marito e dalla figlia Elisa, alla vista della sorella vestita ma senza un filo di trucco aveva storto il naso.
«Quello lo chiami essere presentabile? Dio Sara, ti sei dimenticata anche come ci si fa belle?»
«Sempre simpatica tu, eh?»
«Dai andiamo in camera, per fortuna ho sempre con me qualche cosa. Elisa tu vai a fare compagnia ad Andrea, tra poco arriva anche zio Davide.»
Una volta in camera Chiara chiuse la porta, la madre era rimasta in sala con il marito e i nipoti, voleva che loro avessero tempo di parlare.
«Cosa c’è che non va nel mio aspetto?»
«Mettiamola così, mamma mi ha parlato di questo Giulio, e io la penso come lei, secondo me non sai proprio tutto di lui.»
«Scusa? Di cosa stai parlando?»
«Ma dai Sara, non sei stupida. Secondo te se si volesse solo divertire ti avrebbe regalato un albero di Natale?»
«Cosa c’è di strano se uno vuole regalare alberi?»
«Con te proprio l’abc ci vuole. Se ci stesse solo provando, ti inviterebbe a cena, non rischierebbe un invito a casa tua con tutta la famiglia, e per essere chiara, un albero di Natale lo regala un uomo innamorato, comprendi?»
Comprendeva? Sua sorella non sarebbe potuta essere più schietta. Nel frattempo, mentre Sara cercava di trovare una risposta ragionevole, Chiara la fece accomodare davanti allo specchio, e in men che non si dica le aveva raccolto i capelli sulla sommità della testa.
«Non capisco perché ti ostini a tenerli legati, ti stanno così bene quando li raccogli in questo modo. Dieci minuti e ti faccio diventare una fata.»
«Una fata… oggi è un anno che ho smesso di sentirmi tale. Credi che io non ci pensi? Se Giulio si dovesse presentare cosa gli dico? Siamo colleghi, confidenti da quando Paolo mi mollato. Non ho mai pensato a lui come all’altro.»
«È normale che tu abbia paura, rimettersi in gioco dopo una delusione non è facile. Si ha paura di sbagliare, di ritrovarsi nella stessa situazione…»
«Non ti facevo così saggia Chiara, e cosa dovrei fare?»
«Sul serio me lo stai chiedendo? Io sono sicura che tu sappia già cosa fare.»
«Sicura. Ci sono momenti in cui desidero che venga e l’attimo dopo spero tutto il contrario. E poi come lo spiegherei ad Andrea?»
«Mentre ti trucco tu pensaci, se dovesse arrivare saprai come comportarti.»
Le mani di Chiara volavano sul viso della sorella, e intanto dal salone arrivavano sempre più voci.
«Sembra che Davide sia arrivato e anche gli zii, di un po’ hai nascosto un pandoro?»
«Anche tu? Sì, Andrea mi ha chiesto la stessa cosa, l’ho fatto sparire stamattina, ma acqua in bocca o si fa fuori anche quello.»
«Questa mania dei pandori, io vorrei sapere da chi l’ha presa.»
«Forse mamma dice il vero, quando afferma che papà l’ha trovato per strada.»
In camera risuonarono le loro risate, quante volte il padre aveva affermato una cosa del genere, facendo riferimento a ognuno dei suoi figli?
«Ecco fatto, sei splendida, se il tuo Giulio trova il coraggio di venire resterà a bocca aperta.»
«Non c’è nessun mio, è solo un collega.»
«Sì, un collega per il quale ti sei depilata, di un po’ da quanto tempo non lo facevi più?»
«Oh basta, se hai finito raggiungiamo gli altri, se tutto va bene staranno dando il tormento a mamma per aprire i regali prima del tempo.»
«Sara, un ultima cosa e poi andiamo. Hai tutto il diritto di rifarti una vita, forse questo Giulio è quello giusto o forse no, ma se non ti rimetti in gioco non lo saprai mai. Ti voglio bene lo sai, voglio solo che tu sia felice, tu e Andrea.»
Non appena la porta venne aperta, tutto il vociare giunse loro come amplificato, come era mancato a Sara tutto quel caos, sì, quella sera forse qualcosa sarebbe cambiato.
In salotto la tavola era stata già apparecchiata, il clima era festoso e questo la rallegrò. «Finalmente, ad aspettare voi mi è venuta una fame, cosa c’è da rosicchiare?»
«Davide…»
«Cosa c’è, uno non può avere fame, ma sì, voi donne che ne sapete, siete sempre a dieta.»
«Forza gente, tutti a tavola, facciamo gli onori agli antipasti, e sbrigatevi prima che Davide non ci lasci nulla.»
Tra una risata e l’altra le portate sparirono dai piatti, tutti fecero i complimenti alle cuoche, l’albero riscosse un grande successo, specialmente tra i bambini. I regali ormai ingombravano metà del pavimento e loro non vedevano l’ora di aprirli.
Si stavano servendo i contorni quando il citofono suonò. Sulla tavolata calò il silenzio, Sara e sua madre si guardarono, Chiara tossì spudoratamente, e gli altri si guardarono come a chiedersi chi mancasse.
«Vado io, voi rimanete pure seduti, e poi dicono che gli uomini non vogliono più fare nulla.»
Davide si alzò da tavola portandosi dietro un piccolo vassoio di antipasti, quando aprì la porta il boccone gli andò quasi di traverso.
Si era aspettato di ritrovarsi davanti un viso conosciuto, ma quel volto non aveva posto nella sua memoria, per un attimo immaginò come doveva apparire a quello sconosciuto, ma dopo un secondo tornò a fregarsene.
«Sta cercando qualcuno in particolare o ha sbagliato porta?»
«Spero di no, è già imbarazzante così. Sono Giulio un amico di Sara, vostra madre mi ha invitato a passare, disturbo?»
«Un amico di mia sorella? Ah, entra allora a tavola stanno per servire i primi, ti unisci a noi?»
«Direi che ho una fame discreta, volentieri.»
«Dio ti benedica, allora non sono l’unico affamato a questa tavola. Vieni ti presento alla ciurma.»
Il fratello. Per un attimo aveva creduto di trovarsi davanti l’ex di Sara, sarebbe stato davvero impossibile fermarsi. Appena la porta era stata aperta, un chiasso assordante lo aveva avvolto, e mentre si avvicinava alla sala scortato da Davide, si rese conto con sorpresa, di non provare poi un così grande imbarazzo.
«Ciurma questo e Giulio, è un amico di Sara, fate posto perché si unisce a noi. Giulio questi siamo noi, benvenuto.»
Come era entrato in sala, i suoi occhi avevano subito cercato il volto di Sara, e non appena aveva scorto il suo sorriso non l’aveva più abbandonato.
«Buonasera a tutti, spero di non essere di troppo.»
«Ciao Giulio io sono Irma la mamma, sono contenta che alla fine tu sia venuto, dai siediti vicino a Sara ti abbiamo tenuto un posto.»
E così era venuto, com’era strano vederlo in un ambito diverso dal lavoro. Si era fatto la barba e i suoi capelli erano in ordine, per un istante Sara sentì il desiderio di scompigliarli, per fortuna il buon senso ebbe la meglio e restò seduta.
Lo guardò accomodarsi al suo fianco, era in imbarazzo, lo capiva da come teneva le mani in tasca, non lo aveva mai visto così.
«Se ti avessi incontrata in giro, credo che ti avrei riconosciuta. Stai benissimo.»
«Credo che tu debba ringraziare me per questo, a proposito io sono Chiara la sorella.»
«Beh allora grazie sorella di Sara.»
«Se proprio vogliamo mettere i puntini sulle i, se deve ringraziare qualcuno siamo io e tua madre, il capolavoro lo abbiamo fatto noi, tu che dici mamma.»
«Piantatela, cosa penserà di noi? Che siamo una famiglia di svitati?»
«Non si preoccupi signora, sono abituato agli svitati.»
«Chiamami pure Irma, signora fa così vecchia.»
«Questa è la mia famiglia, fai ancora in tempo a scappare.»
«Grazie, ma almeno per ora non vedo motivi per fuggire. »
«Ehi sorella, il tuo amico è coraggioso.»
«Davide pensa a mangiare. Sara, tu e tua sorella venite con me in cucina, prepariamo i piatti per i primi.»
Prima di scomparire dalla vista di Giulio, Sara si voltò a guardarlo ancora una volta, non le aveva staccato gli occhi di dosso e anche in quel momento la stava seguendo con lo sguardo.
Si sentì spintonata da sua sorella che dietro di lei, rideva come una scema cercando di non farsi sentire. Quando entrarono in cucina partirono i commenti.
«E quello tu lo consideri solo un collega? Ma lo hai visto bene, è un figo di uno, se non ci fosse mio marito seduto di là, ti fregherei il posto.»
«Per fortuna che ho molti più anni di lui, ma tua sorella ha ragione, è come se per lui a tavola ci fossi solo tu. Io rimango della mia idea, quello non è un uomo sposato, ha l’aria di uno in pace con sé stesso, cerca di scoprire la verità, potrebbe piacerti.»
«La volete piantare, se fosse per voi due dovrei saltargli addosso e prenderlo sul tavolo della sala tra antipasti e stuzzichini.»
«Di la verità, se non ci fossimo noi lo faresti.»
«Datemi tregua vi prego, portiamo di là i piatti, non so voi ma a me è venuta una gran fame.»
Gli uomini fecero piazza pulita dei primi, qualcuno ebbe anche il coraggio di chiedere il bis, nonostante fosse arrivato da meno di un’ora, Giulio si sentiva a suo agio. Nessuno aveva fatto domande né battutine, a tavola si erano affrontati diversi argomenti, e lui ogni volta vi era stato tirato dentro, nemmeno per un istante si era sentito un estraneo.
Con Sara al suo fianco poteva sopportare di tutto, ma quello che stava vivendo in quella casa lo faceva stare bene. Lei gli era apparsa subito stupenda, non l’aveva mai vista vestita da donna, sempre tute informi e capelli raccolti, il trucco le aveva donato un aria civettuola, cosa che a lui piaceva molto.
Ogni tanto sbirciava nella sua direzione, e un paio di volte l’aveva sorpresa a osservarlo, allora le aveva sorriso, per poi tornare a parlare con il famigliare di turno. Per tutta la durata della cena non ebbe molte occasioni per chiacchierare con lei, ma si era ripromesso di trovare il modo di rimanere anche solo cinque minuti, dopo che tutti se ne fossero andati.
La prima volta, dopo tanto tempo, Giulio sentva di aver trovato il suo posto, ma era anche consapevole che i suoi sentimenti non avrebbero potuto nulla, se lei non fosse stata disposta a dargli un’occasione. Aveva impiegato mesi per trovare il coraggio, aveva atteso che il dolore passasse o mitigasse, e negli ultimi tempi gli era sembrato di vedere in Sara un cambiamento.
Doveva solo avere pazienza, prima o poi se ne sarebbero andati, almeno così sperava, ma in caso contrario non si sarebbe lasciato intimorire, in un modo o nell’altro le avrebbe fatto capire cosa provava per lei.
«Davide fai davvero schifo, ti rendi conto che da solo ti sei fatto fuori quasi due pandori?»
«Che ci posso fare io se mi piacciono, e poi come li fai tu cara sorella non li fa nessuno, è anche colpa tua.»
«Direi che si è fatto tardi, i bambini devono andare a dormire altrimenti domani mattina saranno troppo stanchi per aprire i regali.»
«No… nonna, dai, vogliamo rimanere ancora un po’.»
Il coro delle loro voci non riuscì a scalfire la decisione di Irma, era tempo di andare e di lasciare soli quei due, sapeva benissimo che fin quando fossero rimasti tutti, Giulio non avrebbe fatto nessun passo avanti.
A quanto pare dovevano essersene resi conto tutti, a parte i ragazzini non fu sollevata alcuna obiezione, al contrario furono veloci a recuperare i loro giubbotti, nel giro di dieci minuti la casa si stava svuotando.
«Giulio rimani tu a dare una mano? Noi abbiamo cucinato, a Sara tocca lavare i piatti. Scusateci ma siamo davvero stanchi.»
Giulio guardò Irma e le sorrise, e così lo avevano capito tutti, possibile che gli si leggesse in faccia? Prima o poi avrebbe avuto modo di ringraziarla, gli aveva dato la scusa per rimanere, e a quanto pare ricevuto il consenso da tutta la famiglia. Quando aveva suonato al citofono, si era immaginato imbarazzo, silenzi, ma una volta varcata la porta di casa, la realtà era stata colmata da molte emozioni.
«A proposito, domani pomeriggio ci riuniamo a casa nostra per il pranzo di Natale e per una tombolata, sei il benvenuto se vuoi aggregarti.»
«Grazie Irma, e grazie a tutti quanti, mi avete fatto sentire come uno di famiglia.»
«Almeno adesso sai quello che ti aspetta.»
«Davide!»
«Che ho detto di male, è o non è qui per far la corte a mia sorella?»
«Buona notte mamma, papà, Chiara grazie di tutto, e tu Davide, spero che i pandori ballino la rumba nel tuo stomaco tutta la notte.»
Ci furono altri saluti, baci e abbracci in cui venne incluso anche Giulio, poi finalmente la porta si chiuse e il chiasso cessò.
«Andrea è ora di andare a letto, inizia a mettere il pigiama e lava i denti, quando hai fatto chiamami, io intanto inizio a sparecchiare.»
«Se Giulio ti aiuta non ci metterai molto, buona notte.»
«Buona notte Andrea, è stato un piacere conoscerti.»
Il bambino butto un ultimo sguardo ai pacchetti sotto l’albero e se ne andò in camera, Sara sapeva che da lì a pochi minuti l’avrebbe chiamata, lui avrebbe voluto il bacio della buona notte e poi sarebbe rimasta sola con Giulio.
Quei minuti furono carichi di imbarazzo, ora che erano da soli evitavano di guardarsi, poi quando Andrea la chiamò, lei si sentì meglio.
«Tuo figlio è un bel bambino, ti somiglia sai, specialmente quando sorride.»
Avevano iniziato a sparecchiare la tavola, lui faceva i mucchietti di piatti e bicchieri sporchi, mentre Sara li portava in cucina. Andarono avanti così per una mezz’ora, poi quando la sala fu in ordine, non rimase che lavare i piatti.
«Spero di non averti messa in difficoltà, non era mia intenzione.»
«Non è questione di imbarazzo», gli disse voltandosi verso il lavandino.
«Il fatto è che fino all’altro giorno ti credevo felicemente sposato.»
«Credo di sapere cosa tu possa aver immaginato, ti sarai chiesta cosa potesse volere da te uno sposato, che razza di idee si potesse essere messo in testa. Ti capisco sai.»
«Scusa ma devo saperlo, prima di poter dire anche una sola altra parola. Sei sposato?»
«Lo ero, fino a due anni fa credevo che tutto andasse per il meglio, ma non era così. Da un giorno all’altro mi sono ritrovato solo, mi sono chiesto mille volte cosa avessi fatto di sbagliato…»
«E lo hai scoperto?»
«No, quando ci siamo ritrovati davanti al giudice lei mi ha detto che io non avevo colpe, che sono cose che capitano. Ti ami il giorno prima, e il giorno dopo non sai più chi divide il letto con te, finisce, così come niente fosse.»
«Perché? Perché sei rimasto ad ascoltare i miei problemi senza dire nulla? Perché, visto che anche tu non te la passavi bene?»
«Perché attraverso te, mi sono reso conto che per davvero tutto finisce da un momento all’altro, ho capito che se avessi avuto la fortuna di innamorarmi di nuovo, avrei fatto in modo di non dare più nulla per scontato.»
«Ed è capitato, intendo dire se ti sei innamorato di nuovo?»
Quando Giulio le rispose si rese conto che le si era avvicinato, poteva sentire l’alito caldo sfiorargli la pelle del collo, si sentì avvolgere dall’aroma del suo dopobarba, in quell’istante capì che il cambiamento si era già messo in moto.
Chiuse gli occhi e rimase in trepida attesa, consapevole che quella risposta avrebbe cambiato la sua vita.
«Oh Sara, se solo immaginassi… mi sono ritrovato innamorato senza nemmeno accorgermene, è successo così, piano piano, una parola, un sorriso. Poi più il tempo passava e più desideravo stare con lei, non mi bastavano più le parole, mi costringevo a tenere ferme le mani, quelle stesse che avrebbero voluto lenire il suo dolore con una carezza.
All’inizio ho avuto paura, sì paura, avevo sempre pensato di essere innamorato di mia moglie, ma quello che provavo per questa donna era qualcosa di diverso, qualcosa che con il tempo aveva messo le radici dentro di me. Vederla, parlarle, piccole cose ma che portavano il sole nella mia vita.»
Era come ubriacarsi con lo champagne, ogni parola che Giulio le sussurrava a fior di pelle la inebriava, e lei era lì in silenzio a desiderare che lui parlasse ancora e ancora.
«Deve essere davvero una donna fortunata se è riuscita a conquistare il tuo cuore.»
«Fortunata? Dimmelo tu Sara, ti senti una donna fortunata in questo momento?»
«Possiamo stare così ancora un po’, ho paura, paura di quello che sto provando in questo momento…»
«Possiamo stare così tutta la notte e se ti sentirai stanca le mie braccia ti sosterranno.»
Così dicendo l’avvolse nel suo calore e l’attirò contro il suo petto, non aggiunse altre parole, sapeva di dover aspettare, lui aveva avuto mesi per capire, per prepararsi, lei no. Avrebbe atteso tutto il tempo del mondo, se questo l’avesse condotta da lui.
«Questa sera qualcuno mi ha detto che è tempo che torni a vivere, so che è giusto, ma non sono da sola, mio figlio è una parte indissolubile della mia vita, chiunque vorrà me dovrà accettare anche lui, dovrà aspettare che io sia pronta a farlo entrare nelle nostre vite.»
«Qualunque cosa per te.»
«No Giulio fammi finire. In futuro prevedo che ci saranno problemi, voglio chiedere l’affidamento unico e so per certo che il mio ex non mi renderà la vita facile, come posso chiedere a qualcuno di condividere tutto questo?»
«In due si sopporta meglio, ci si fa forza e si affronta la vita diversamente. Non mi aspetto che tu ora mi salti al collo o che mi getti per terra e abusi di me, ti chiedo una possibilità, nient’altro.»
Lentamente Sara si girò tra le sue braccia fino a trovarsi con il viso a pochi centimetri dal suo, come aveva fatto in tutto quel tempo a non notare i suoi occhi? Le labbra piene fatte per essere baciate, doveva essere stata cieca.
«Mia madre ti adora, per non parlare di Davide, mangi quanto lui. Se non ti dessi una possibilità non me lo perdonerebbero, quindi credo di non potermi tirare indietro sai.»
«Sì, lo penso anche io. E adesso posso baciarti? Dio è tutta la sera che non penso ad altro, e poi quest’abito, mi fai venire pensieri peccaminosi.»
Le labbra di Giulio si posarono leggere sulla bocca di Sara, non era riuscito ad aspettare un minuto di più, e anche se per un attimo si pentì di quel gesto, il pensiero svanì quando la sentì rispondere al suo bacio.
All’inizio timidamente, quasi come una scolaretta alle prime armi, poi quando lei schiuse le labbra, Giulio prese ad assaggiarla con la lingua. Non riusciva ancora a credere di averla tra le braccia, di sentire il suo sapore in bocca, si meravigliò nello scoprirsi tremante ed emozionato come un ragazzino.
Quante volte aveva immaginato di sfiorarla con le dita, di poter affondare le mani nei suoi capelli, aveva creduto che sarebbe rimasto solo un sogno, ma il mugolio di piacere che uscì dalle labbra di Sara ruppe ogni dubbio.
«Sono venuto qui stasera senza alcuna pretesa», le disse tra un bacio e l’altro.
«Ho avuto più di quanto potessi immaginare. Ma adesso è meglio che io vada, se resto ancora potrei non voler più andare via, e di là c’è tuo figlio, non voglio creare problemi.»
Sara aveva il fiato corto, i baci di Giulio si erano fatti man mano più voraci e possessivi, staccarsi da lui era stato come rinunciare a respirare. Da quanto non si sentiva più così? Le gambi molli, la voglia di avere di più, ma per fortuna Giulio si era fermato, se fosse stato per lei, non era poi così sicura che si sarebbe tirata indietro.
«Questo lo devo considerare come un sì, mi stai dando una possibilità?»
«Sì, mi sto dando una possibilità, e riguardo domani, preferirei che tu non accettassi l’invito di mia madre, voglio avere modo di pensare a questa sera in tutta libertà. Non offenderti.»
«Ti capisco, è giusto che tu ti prenda tutto il tempo che ti serve, ma sappi che io non ho intenzione di mollarti.»
«Buona notte Giulio e Buon Natale.»
«Buon Natale Sara, e grazie per il regalo che mi hai fatto, è stato il più bello in assoluto.»
Ancora un bacio poi Giulio le voltò le spalle e, la lasciò a guardarlo mentre scendeva le scale. Forse lei non se ne rendeva conto, ma il calore e l’affetto che lui aveva ricevuto quella sera dalla sua famiglia, lo aveva fatto sentire parte di qualcosa. Qualcosa a cui non voleva rinunciare.
L’orologio della cucina segnava l’una e mezza, aveva appena ricevuto un dono inaspettato, il cuore di un uomo che lei sapeva, sarebbe stato per sempre suo. Prima di spegnere le luci decise che da lì a qualche ora lo avrebbe chiamato, dopo tutto che senso aveva buttare via il tempo in inutili attese.
Se quello era il suo futuro tanto valeva che se lo vivesse appieno fin da subito.