Scena tagliata: “L’ODORE DELLA NOTTE” (Destined for an early grave), Flashback con Gregor
Nota dell’autrice: Ciao a tutti! Come promesso ecco un altro post. Questa è una scena tagliata dal flashback de “L’ODORE DELLA NOTTE”, dove Cat incontra Gregor per la prima volta. Gli avvenimenti in questa scena sono leggermente diversi da quelli del libro. Qui, Cat non sa ancora di essere per metà vampira, perché è ambientata un mese prima del suo sedicesimo compleanno. Come sapete, nel libro Cat incontra Gregor subito dopo il proprio compleanno e sapeva già dell’esistenza dei vampiri. A parte questo, tutto il resto è uguale a “L’ODORE DELLA NOTTE”. Qualcuno mi ha chiesto se Gregor avesse morso Justina per farla collaborare quando è venuto per la prima volta a casa di Cat. Sì, è così (doveva aver bevuto il suo sangue per rapirla nel sogno più avanti nel libro). Gregor controllava mentalmente anche i nonni di Cat. Questa scena non mostra quella parte, ma i lettori possono trovare degli accenni. Come riferimento, la scena finisce dove inizia il flashback nel libro. Questa scena fu tagliata perché il mio editore non voleva che il flashback fosse troppo lungo e in effetti non narrava niente di nuovo. Vedrete di nuovo Gregor con la sua tendenza a controllare, e Cannelle fare ancora di più la stronza, ma credo che questi particolari siano già stati appurati in “L’ODORE DELLA NOTTE”.
***
Licking Falls, Ohio
4 Aprile 2001
Mi riparai gli occhi contro il sole del tardo pomeriggio che filtrava tra i rami. Presto avrebbe fatto buio. La cosa mi faceva sentire sollevata e allo stesso tempo mi turbava. Nessuno poteva vedere bene al buio quanto me, ma non avrei dovuto farlo sapere a nessuno.
“Joseph,” chiamò mia nonna dal portico di fronte. “Vai a prendere Catherine, tra poco è ora di cena.”
“Arriverà,” fu la risposta di mio nonno. A giudicare dai suoni, stava ancora lavorando alla vecchia Chevrolet. “Riesce a sentire l’odore del cibo, ti dico.”
Un’altra conversazione a cui avevo origliato involontariamente, anche se da acri di distanza. Almeno stavolta non era nulla di imbarazzante. Sentirli discutere di disfunzioni erettili o di movimenti intestinali nella privacy della loro camera da letto mi avrebbe segnato a vita, questo era sicuro.
Lasciai l’albero su cui mi ero seduta per correre verso l’interno del frutteto, allontanandomi dalla casa invece che avvicinarmici. Non avevo molto tempo prima di dover tornare, ma amavo quel frutteto. Soprattutto di notte. I suoni della natura mi circondavano invece che le chiacchiere della mia famiglia, e mi sentivo in pace. Spesso sgattaiolavo qui fuori quanto tutti in casa dormivano. Era una delle poche volte in cui potevo rilassarmi.
Dopo circa mezz’oretta, tuttavia, mi avviai verso casa, camminando a passo svelto. Cominciava a fare freddino fuori. A volte a marzo poteva nevicare. Forse l’inverno non ci aveva ancora abbandonati.
Ero quasi a casa quando udii la voce dell’uomo, una voce bassa e acculturata, con un accento francese. Mi fece quasi incespicare risalendo il giardino davanti la casa. Non c’era nessuna macchina nel vialetto e qui eravamo nel mezzo della campagna dell’Ohio. Se venivi dal sud, qui eri ancora considerato un forestiero. In più non lo avevo sentito arrivare, ma dopotutto, mi ero spinta ad una distanza di otto ettari dalla casa. Troppo lontano persino per le mie orecchie.
Quando entrai in casa, i miei nonni erano già seduti al tavolo della cena, che era stato apparecchiato per cinque invece che per quattro. Mia madre era in cucina, i capelli sciolti dal solito chignon e sparsi disordinatamente lungo la schiena. Quello, oltre all’uomo alto che mi dava le spalle, era insolito, ma i miei nonni sembravano rilassati, perciò dovevano sapere cosa stava succedendo.
“Scusate il ritardo,” esordii, andando verso mia madre per aiutarla con la pesante pentola di ghisa che stava tirando fuori dal forno. “Ho perso la cognizione del tempo.”
L’estraneo si voltò e mi guardò in faccia. Questa volta inciampai sui miei stessi piedi. Il suo braccio scattò per sostenermi, facendomi sbattere le palpebre per la velocità con cui si era mosso. I miei nonni se ne stavano seduti serenamente come se nulla stesse succedendo, e mia madre mi passò a fianco per mettere lo stufato in tavola.
Fissai la mano sul mio gomito e l’uomo alto collegato ad essa con un leggero shock. Ciocche dorate unite a ciocche più scure gli davano un colore biondo cenere, i suoi occhi erano grigio-verde. Una cicatrice correva dal suo sopracciglio alla tempia e la sua pelle era pallida quanto la mia. Ma la sua pelle risuonava di una vibrazione e una tensione che mi faceva formicolare il punto in cui mi toccava.
“Tu chi sei?” chiesi d’impulso, liberandomi dalla presa e strofinandomi bruscamente il braccio. La sensazioni di aghi e spilli svanì non appena la sua presa mi lasciò.
“Io sono Gregor,” rispose, fissandomi da capo a piedi in modo inusuale. La mia insegnante di chimica osservava i suoi vetrini nello stesso modo. “Sono un vecchio amico di tua madre.”
Strabuzzai gli occhi a quella notizia. Mia madre non aveva vecchi amici. Non ne aveva neanche di nuovi. Se ne stava da sola come facevo io, e andava in città solo quando era assolutamente necessario. Stimai su due piedi la sua età. Rughe leggere attorno agli occhi, la cicatrice non sembrava recente, e sembrava sulla trentina come mia madre.
Gesù, Giuseppe e Maria, che fosse mio padre?
“Mamma?” chiesi con esitazione. “Lo conosci?”
“Ma certo, Catherine.” La sua risposta era quasi meccanica. “È un vecchio amico. Ne riparliamo dopo cena.”
Oh mio Dio! Era questo l’uomo di cui non mi era mai stato permesso sapere nulla di nulla? L’uomo a cui bastava venire nominato per mandarla su tutte le furie? Il modo in cui mi esaminava sembrava qualcuno che valutava ciò che gli apparteneva, questo era certo. Alzai il mento e andai al lavandino per lavarmi le mani. Ne riparliamo dopo cena, eh? Sapevo già quale sarebbe stata la mia prima domanda: dove diavolo sei stato per tutta la mia vita?
La cena trascorse in modo imbarazzante. Mia madre parlò a malapena, rispondendo solo con monosillabi a delle domande dirette. Era chiaro che fosse a disagio ad avere Gregor in casa, ma non si comportava da arrabbiata o in modo aggressivo, come era suo solito quando era turbata. I miei nonni parlavano tra di loro, apparentemente ignari della tensione nell’aria, e Gregor mantenne la conversazione rivolta a me. Quanti anni avevo, quand’era il mio compleanno, che classe facevo, se avevo degli hobby, se avevo mai incontrato gente strana, se ero mai stata in una discoteca.
Quel garbato interrogatorio iniziava a stancarmi. Per poco non sbottai “Esistono dei test di paternità se non ne sei sicuro!” C’era qualcosa di lui che mi rendeva nervosa. Non era solo la stranissima reazione che avevo avuto quando mi aveva toccato, anche se quella sensazione l’avevo ricondotta allo shock di aver incontrato il mio possibile padre. Si muoveva in modo diverso. I suoi occhi seguivano ogni cosa, e l’aria attorno a lui sembra essere elettrica. Stai solo avendo un attacco di nervi, mi dissi. Non c’è nulla di strano in lui. Sei tu l’unica stramba a questo tavolo.
Quando la cena finì mi alzai, praticamente arraffando i piatti di tutti e pulendo il tavolo. Come una posseduta, li sciacquai e feci partire la lavastoviglie nel giro di cinque minuti. Gregor mi fissò per tutto il tempo, come se non avesse mai visto nessuno lavare i piatti prima d’ora. Fui presa dall’ansia. La mia illegittimità era stato uno stigma doloroso fin da quando ero piccola. Che cosa avrei detto a quest’uomo che vi aveva contribuito?
“Vado a farmi una doccia,” annunciai, trovando un modo per ritardare l’inevitabile. “Ritorno tra poco.” Anche se non volevo, non potei evitare di lanciare un’occhiata di sfuggita alle mie spalle mentre salivo le scale. Sì, Gregor mi stava ancora fissando, e sì, sembrava che vedesse attraverso quella debole scusa.
“Ti aspetterò, Catherine.”
Fu pronunciato così a bassa voce che pensai di essermelo immaginato. Ma non lo avevo immaginato. Ora stava sorridendo, un sorriso compiaciuto e… agghiacciante.
***
La mia pausa non durò a lungo. Subito dopo la doccia, mia madre mi trascinò fuori sul portico con Gregor. I miei nonni erano in casa a guardare la TV, come se non sapessero o non gli importasse di ciò che stava succedendo. La loro apatia mi lasciava senza parole, perché mio nonno Joe odiava la vergogna derivante dalla mia illegittimità almeno quanto me. In mia madre avvenne un cambiamento che attirò la mia attenzione. Sembrava rilassata e allegra. E quelle erano due parole che non aveva mai usato per descriverla. E stava sorridendo.
“Catherine,” fece, lanciando un’occhiata a Gregor, “Ora ti parlerò di tuo padre…”
Dieci minuti dopo me ne stavo seduta paralizzata dall’incredulità. Buon Dio. Da qualche parte, lungo la strada, mia madre aveva perso completamente il senno. Mio padre era un vampiro con cui lei usciva e che venne ucciso quando fu aggredito da alcuni Marines ben intenzionati? C’era un’intera sottocultura di non morti che esisteva affianco degli umani? E io non ero del tutto umana?
Doveva farsi ricoverare nel reparto di terapia psicologica, fu il mio primo pensiero quando ebbe finito. E farsi curare. Da uno bravo.
“Mamma, a volte le nostre menti inventano delle cose per accettare aspetti della nostra vita che non ci piacciono,” cominciai, esitante. “Lo sto studiando a scuola…”
“Non ha perso la testa,” mi interruppe Gregor. Ah già. Mi ero quasi dimenticata di Mr. Strambo da quando mia madre mi aveva detto che non era lui mio padre da lungo tempo perduto. “Sei per metà vampira, ma non devi preoccuparti. Mi prenderò io cura di te.”
Cavolo, era fuori di testa pure lui.
“Ho aspettato di dirtelo finché non ho pensato che fossi abbastanza adulta per capire.” Mia madre cercò di prendermi per mano, ma io mi ritrassi. “So che a volte sono stata dura, ma era solo perché nessuno scoprisse la verità su di te. Però tra un mese avrai sedici anni, perciò è tempo che tu sappia…”
“Vedere per credere,” la interruppe all’improvviso Gregor, alzandosi in piedi. “Guardami, Catherine.”
Mi voltai… e urlai.
Gli occhi di Gregor brillavano di un brillante e luminescente verde smeraldo, come se dei laser fossero riflessi in essi. Il suo sorriso rivelò due zanne ricurve tra la fila superiore di denti, e stava fluttuando in aria. Una leggera brezza proveniva da lui, facendo ondeggiare i suoi capelli. Poi all’improvviso, mi ritrovai stretta tra le sue braccia, con le gambe che scalciavano contro l’aria mentre lui rideva. Era un suono gioioso, spaventoso e calcolatore che fece morire il mio urlo. Questa non era una recita. Era reale.
“Non hai sempre saputo che c’era qualcosa di speciale in te?” sussurrò brutalmente Gregor. “Per tutta la tua vita, non hai saputo di possedere qualcosa che nessun altro aveva? Io ti porterò via da qui, Catherine. Verrai con me, incontrerai persone di cui hai soltanto letto, sperimenterai cose che non puoi immaginare.”
“Non posso andare da nessuna parte,” dissi senza fiato mentre la mia mente era in shock. “Domani ho scuola.”
Gregor rise di nuovo. Si lasciò cadere dai tre metri di altezza su cui eravamo sospesi e parlò a bassa voce nel mio orecchio in modo intimo.
“Ti insegnerò io tutto quello che hai bisogno di sapere, ma chéri.”
Il modo in cui accarezzava le parole mentre mi sfiorava col naso l’orecchio mi fece rabbrividire. Non ero mai stata così vicina ad un ragazzo prima, e di certo nemmeno ad un uomo. Mi rese nervosa, oltre che scioccata e confusa.
“Mamma?” chiesi, con esitazione.
“Devi andare con lui, Catherine,” rispose. “È un amico fidato, e si prenderà cura di te. Ci sono delle cose da cui io non posso proteggerti se resti qui. Non preoccuparti della scuola; me ne occuperò io. Potrai chiamarmi quando vorrai. Andrà tutto bene.”
Non stava succedendo davvero. Non era possibile. Eppure la braccia che mi imprigionavano non erano frutto della mia immaginazione. Il corpo grosso e alto vicino a me non era un’allucinazione. Dovevo andare con questo… uomo, creatura, vampiro? Lasciarmi alle spalle tutto ciò che conoscevo? Certo, volevo andarmene da questa città, ma mai nella mia immaginazione avrei pensato che sarebbe andata così!
“Tu sei,” dovetti fermarmi, leccarmi le labbra e riprovare perché avevo la bocca secca. “Tu sei davvero un vampiro?”
Il volto di Gregor si piegò in un sorriso. “Sì.”
“E io sono…” Respiro profondo. “Io non sono completamente umana, perché mio padre era un vampiro? Ed è per questo che c’è qualcosa che non va in me? È per questo che non sono normale?”
“Oui, è per questo.”
Non mi aveva ancora lasciata andare. Non sapevo se dovevo chiederglielo educatamente, spingerlo via, o starmene semplicemente lì come una stupida. “Le tue, ah, zanne sono vicine alla mia gola,” dissi con una risata di auto-disapprovazione, cercando l’umorismo invece che fare una richiesta. “Dovrei fare la parte della fanciulla che sviene o di quella isterica? Mi sento come un’attrice che non conosce le proprie battute.”
Lui non sorrise di nuovo. La luce si intensificò nei suoi occhi, e si chinò in avanti per sussurrare contro il mio collo tremante.
“Non ti morderò, Catherine,” rispose. Lasciò cadere le mani e io arretrai di un passo, chiedendomi se mi fossi immaginata di averlo sentito sussurrare, “Non ancora”.
***
“Preghiamo i passeggeri di rispettare i segnali di allacciare le cinture e di richiudere i vostri vassoi e di bloccarli,” intonò l’assistente di volo con la sua voce fintamente briosa. “Atterreremo a Parigi tra circa venti minuti. Grazie ancora per aver viaggiato con Air France.”
Lanciai un’occhiata alla mia sinistra, dove sedeva Gregor. Si era messo a dormire poco prima dell’alba. Di solito avrei dormito anche io, ma la mia mente era in tumulto.
Dopo l’incredibile scoperta delle mie origini, fui spedita di sopra a fare le valigie. O almeno fu quello che mia madre mi disse di fare. Gregor mi seguì, diede un’occhiata dentro al mio armadio e poi annunciò seccamente che non avrei portato nulla con me. Il disgusto nella sua espressione mi fece osservare in modo imbarazzato i vestiti che indossavo, vedendoli attraverso i suoi occhi. Paragonati alla sua camicia, giacca, pantaloni e scarpe di alta moda, forse io sembravo un po’ stracciona. Poi fui fatta uscire di casa con a malapena un saluto a mia madre e ai miei nonni, viaggiando a tutta velocità verso l’aeroporto prima ancora di dire “ma”. Il primo volo era un diretto da Cleveland a New York. E la fermata successiva, dopo un cambio di due ore, era Parigi.
Per tutto il tempo, Gregor mi rivolse a malapena la parola, parlando invece al telefono in francese. In volo, aveva usato il telefono di bordo finché non aveva deciso di farsi un pisolino. Meglio così. Non avrei saputo proprio di cosa parlare. Oh, avevo delle domande. Migliaia di domande. Ma non sapevo se mi avrebbe dato delle risposte.
Quando sbarcammo dall’aereo nel sole del pomeriggio e lui non prese fuoco, almeno un mistero fu svelato. All’uscita, fu accolto da due uomini pallidi con occhiali da sole scuri e accenti altrettanto forti. Entrambi mi lanciarono delle occhiate curiose che mi misero a disagio. Gregor non si prese il disturbo di presentarmeli. Si limitò a prendermi per una spalla e spingermi verso l’uscita. C’era un auto in attesa, e mi voltai verso di lui, sorpresa, quando salimmo sui sedili posteriori lasciando gli altri due in piedi, fuori.
“Quei due non vengono con noi?”
Gregor disse qualcosa in francese all’autista e poi rivolse la sua attenzione verso di me.
“Vanno a recuperare le mie valigie e poi ci raggiungono. Non preoccuparti. Mi sono occupato di tutto.”
In altre parole, dovevo chiudere il becco. Mi rimangiai un sospiro di frustrazione e ricordai che mia madre mi aveva detto di fidarmi di lui. E visto che lei non si fidava di nessuno, Gregor doveva essere davvero speciale. Mi chiesi perché fosse interessato a me. C’era forse un programma vampirico che dovevo imparare? Avrei incontrato altri mezzosangue come me? Sarebbe stato così bello avere un amico. Forse, qui non sarei stata considerata strana. Forse, qui a nessuno importava che ero una figlia illegittima. Il pensiero mi tirò su di morale.
Di certo tutto sembrava diverso. Non ero mai stata in una grande città. e Parigi era sensazionale. L’architettura, la folla, gli edifici… avevo le vertigini. Presto mi scordai di riflettere sulla mia situazione e venni catturata dai luoghi che apparivano mentre la macchina avanzava.
“E’ bellissimo, non?” disse Gregor. Aveva un sorriso accennato sul suo volto, quando lo fissai. “Presto vedrai molto di più, in un modo che pochi possono vantare.”
“In che senso?”
Ma mi lanciò semplicemente un sorrisetto complice e si rifiutò di approfondire.
Trenta minuti dopo eravamo arrivati ad un alto, imponente edificio fatto di pietra grigia. Gregor fece un cenno col mento verso la struttura e l’autista si affrettò ad aprirmi lo sportello dell’auto.
“Questa qui è casa mia, Catherine.”
Cosa avrei dovuto dire? Che sembrava accogliente? Non lo sembrava affatto. Appariva vasta e spaventosa, proprio come l’uomo di fianco a me.
“Q-quante persone ci vivono qui?”
Mi fissò negli occhi. “Solo noi e alcuni del mio staff.”
Oh! Immediatamente mi sentii a disagio e cercai di fugare le mie crescenti paure. Quanto più vecchio di te è questo tizio? È grosso, biondo, affascinante e probabilmente ha una decina di fidanzate. Tu hai quindici anni, sei brutta e insignificante. Cavolo, magari sta semplicemente mantenendo una promessa al tuo defunto padre e non vede l’ora di liberarsi di te.
“È carina.” Grazie a Dio non mi tremò la voce. “Per quanto tempo resteremo qui?” Non chiesi ciò che volevo davvero sapere. Quando posso andare a casa?
All’improvviso, qualcosa incupì la sua espressione e fece un cenno verso la porta aperta. “Per tutto il tempo che ci vuole. Ora, entra.”
Senza nessun altra alternativa, presi la mano che mi veniva offerta ed entrai nella sua casa.
Una donna con folti capelli castani e piena di curve ci aspettava dentro. Sorrise quando vide Gregor, prendendogli le mani e baciandolo su entrambe le guance.
“Cannelle, è tutto pronto?” chiese, tirandomi verso di sé quando cercai di allontanarmi.
“Oui,” rispose, sezionandomi con il suo sguardo. “Sarebbe questa? Tres es le enfant!”
Non sapevo cosa significasse, ma non suonava come un ‘Ciao, come stai?’ “Sono Catherine,” mi presentai, odiando subito il modo in cui mi fissava. “Piacere di conoscerti.”
Accettò la mia mano dopo solo un secondo di esitazione. Non appena le sue dita calde toccarono le mie, ebbi la mia conferma.
“È umana,” dichiarando l’ovvio a Gregor. “Sei l’unica… umm, altra qui?”
Improvvisamente mi accorsi di dover stare attenta a quello che dicevo. Chi sapeva se la situazione di non morto era un segreto?
“Sei davvero sicura di cos’è?” mi sfidò Gregor, osservandomi attentamente.
Studiai la donna di fronte a me. Dopo una pausa, annuii. “La sua pelle non è troppo liscia, la sua vena pulsa sul suo collo, emana calore… e poi non emana delle vibrazione come te… Sono sicura al cento per cento.”
Gregor si lasciò sfuggire una risatina soddisfatta alla faccia sbigottita di Cannelle. “Visto? Lei può avvertire la mia essenza. Tu no.” Poi si voltò e di colpo mi afferrò per le mie spalle nude. I suoi occhi emanavano piccoli bagliori luminosi.
“Descrivimi quello che senti, Catherine.”
L’intensità della sua voce mi spaventò. E anche il modo in cui mi fissava. A giudicare da come si arricciò il suo labbro, la mia reazione gli piacque. E quello mi spaventò ancora di più.
“S-sembra come se mi stessi dando la scossa,” risposi, incespicando nelle parole, lottando per mantenere la calma. “La tua pelle pizzica e vibra.”
“Ssssì…” fu quasi un sibilo. “Eppure non avverto nulla di tutto ciò da te, chéri. Sembri completamente… umana.”
Il modo in cui lo disse poteva sembrare dispregiativo. Fui contenta quando mi lasciò andare.
“Cannelle ti mostrerà dov’è la tua stanza e si occuperà di te,” mi disse. E con quello, se ne andò, lasciandomi ancora leggermente tremante da quell’incontro.
Ora che se ne era andato, Cannelle mi lanciò un’occhiata affilata.
“Seguimi.” Me lo disse senza nemmeno voltarsi verso di me. “Merde, ti serve proprio un bagno.”
Rimasi a bocca aperta a quell’insulto così diretto. La mia confusione fu rimpiazzata dalla rabbia, e resistetti alla voglia di piantare il piede su per il suo sedere. Invece, mi ricordai che era qui che mia madre voleva che restassi e la seguii su per le scale sinuose.
La camera in cui mi condusse era stupenda, e mi scordai dell’arrabbiatura. Un baldacchino nascondeva il letto circolare, tutti i mobili sembravano eleganti, e la stanza era grande quasi quanto l’intera casa dei miei nonni.
“Ma è fantastico,” sospirai, allungando una mano per fa scorrere un dito lungo la tappezzeria sul muro. “Tutto questo appartiene a Gregor?”
“A chi altri?” fu la risposta secca di Cannelle, che era in bagno. “Spogliati. Ti darò una pulita.”
Uh? Tornai di scatto alla realtà. Gli europei avevano uno strano modo di dimostrare la loro ospitalità.
“Ehm, grazie, ma penso di poter fare da sola.”
Lei uscì dal bagno con le mani sui fianchi. “Sono stata la dama di compagnia di una signora per cinquant’anni, e Gregor mi ha ordinato di occuparmi di te. Non farmi tornare da lui a dirgli che ho fallito un compito così semplice. Non capirà.”
Il modo minaccioso in cui finì quell’ultima frase la diceva lunga. Certo, ero in imbarazzo, ma anche se non pensavo saremmo diventate amiche, non volevo farla finire nel genere di guai che suggeriva.
“Potresti, ah, lasciarmi usare il bagno? Sono sicura non gli dispiacerà che faccia certe cose da sola.”
Cannelle fece spallucce e lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. La vasca si riempì rapidamente di acqua mentre io facevo uso dei sanitari. Quando ebbi finito, mi svestii e mi immersi nella vasca, abbracciandomi le ginocchia contro il petto.
“Senti, qua sono a posto, perciò non serve che tu-“
Cannelle entrò con irruenza e si fermò di colpo quando mi vide. “Mon Dieu! Nuda sei ancora più pelle e ossa. Hai a mala pena dei seni!”
Ora ero pure mortificata e affondai di più nell’acqua. Cavolo, perché non mi chiamava ‘orrenda bastarda’ visto che c’era? Se toglievo l’accento francese era come ascoltare i miei compagni di classe.
“Porto una quarantadue,” risposi sulla difensiva. “Non sono proprio pelle e ossa. Sono solo… minuta nella zona petto, ma potrei ancora crescere!”
Mi lanciò uno sguardo che diceva chiaramente che ne dubitava, ma si rimboccò le maniche e si sistemò in ginocchio di fianco alla vasca.
“Ora laviamo i capelli,” annunciò. “Poi ti mettiamo una maschera sul viso mentre stai ammollo. E dobbiamo rasarti subito. Sei così pelosa, Catherine; non ti radi mai la micetta?”
Mi sentii le guance in fiamme. Oh no, non poteva averlo detto davvero.
“Cannelle,” dissi a denti stretti, “questo non succederà. Tu siediti nell’altra stanza e diremo a Gregor che mi hai strofinata per bene come se fossi una macchia sulla tunica del Papa. Ma non osare, e ripeto, non osare toccare la mia… la mia roba!”
Non avrei mai usato quella stessa parola. Dio, non ci credevo che l’avesse detto!
“Se mi mandi via, lui lo saprà,” disse, enigmatica. “Persino ora, ci ascolta. Non si può ingannare Gregor.”
A quelle parole, voltai di scatto la testa e mi sfuggì un lamento di umiliazione. Fantastico. Gregor poteva sentire tutto? Allora aveva sentito Cannelle annunciare ad alta voce che ero un fenomeno pelle e ossa, senza tette e con l’inguine come quello di una donna scimmia!
“Finiamo questa cosa, più tardi gliene parlerò io,” borbottai, passandole lo shampoo e imprecando ferocemente col pensiero. “Puoi aiutarmi a lavare i capelli, ma non ti avvicinerai alle mie parti intime, capito? Certe cose non accadranno mai, non importa quello che pensi delle mie abitudini depilatorie!”
“Come vuoi,” rispose sdegnatamente prima di aggredire la mia testa come se fosse un’offesa per lei. “Dopotutto devo obbedire ai tuoi comandi.”
***
“… oui…”
Quell’urlo soffocato mi svegliò. Mi ero addormentata sorprendentemente in fretta, ma in effetti era da un giorno che non dormivo. Un’occhiata all’orologio mi disse che erano le quattro del mattino. Fuori era ancora buio.
In seguito risuonò un gemito, basso e gutturale. Mi alzai sul letto. Da qualche parte al primo piano, una donna stava singhiozzando. Ero già a metà strada verso la porta quando la successiva serie di rumori mi bloccò e la mia faccia fu travolta dal rossore. Oh.
Il suono metallico di un letto che scricchiolava mi fece coprire le orecchie con le mani, ma non bastava. Riuscivo ancora a distinguere un ansimare femminile e dei gemiti maschili di una coppia nella stanza di letto al piano di sotto. Mi ci volle solo un momento per riconoscere le voci. Cannelle e Gregor.
Tornai a letto, sapendo che avrei dovuto mettermi i cuscini sopra le orecchie e cercare di dormire, ma non ci riuscii. Almeno parlavano in francese quando usavano le parole, così non sapevo cosa si stessero dicendo. Probabilmente Gregor stava dicendo a Cannelle che era bella. Sexy. Con le poppe enormi e liscia come il sedere di un bambino.
Continuai ad ascoltare, fissando l’ora con crescente meraviglia. Caspita. Ci stava davvero mettendo un bell’impegno, eh?
Finalmente, due ore dopo, lui emise un grugnito di massimo piacere e il letto si acquietò. Cannelle mormorò qualcosa di incomprensibile e poi sentii una porta che si apriva e chiudeva.
Dei passi scalzi risuonarono sulla scale, lungo il corridoio dello stesso piano in cui mi trovavo. Fissai la maniglia con crescente terrore, ordinando al mio battito cardiaco di rallentare. Gregor sapeva che stavo origliando? Per favore, fa che non lo sappia.
Per fortuna i passi si fermarono solo un attimo davanti alla mia porta prima di proseguire lungo il corridoio. Un’altra porta si aprì e richiuse, poi ci fu il silenzio in tutta la casa.
Rimasi dov’ero, stringendo il mio cuscino fino a che la stanchezza mi fece chiudere le palpebre e mi addormentai fissando ancora la porta.
***
“Buongiorno, Catherine. Dormito bene?”
La mia testa si alzò di scatto in modo colpevole, ma non c’era alcun sarcasmo nel volto di Gregor. Fece un cenno verso il piatto pieno di fronte a lui, sul tavolo.
“Mangia qualcosa. Cannelle ha fatto le crepes e le uova barzotte.”
“Ha davvero mille talenti, eh?”
Mi uscì prima che potessi mordermi la lingua. Me ne pentii all’istante. Non sono affari tuoi, ricordai a me stessa, sedendomi.
Le sopracciglia di Gregor si aggrottarono. La cicatrice vicino al suo sopracciglio si contrasse insieme al suo cipiglio.
“Non ti piace Cannelle? Ti ha offesa?”
“No.” Grandioso, e ora come uscivo da questo pasticcio? “Lei è a posto. Voglio dire, è gentile. Più o meno. Non mi piace che mi abbia fatto il bagno!” Terminai con veemenza.
La bocca di lui si arricciò all’angolo, divertita. “Oui. Lo avevo intuito ieri.”
Dovetti trattenermi dal non gemere ad alta voce e dal difendere la taglia del mio seno, il mio peso e la mia presunta villosità. “E comunque non è appropriato, visto che lei è…”
Mi bloccai, maledicendomi ancora. Non riesci proprio a stare zitta?
“Visto che lei è cosa?” Con intransigente serietà.
Era inutile cercare di svicolare. Il modo in cui lo sguardo di Gregor mi inchiodava alla sedia mi diceva che non potevo semplicemente cambiare discorso. “Non dovrebbe occuparsi di me come una serva visto che lei è la tua, ehm, fidanzata.”
Pensavo che si sarebbe arrabbiato, ma mi sbagliavo. Gregor rise come se avessi fatto una battuta.
“Che cosa ti ha messo in testa un’idea simile?”
Un letto che cigolava con insistenza. “Oh, ehm, solo una mia sensazione.”
“Stai mentendo,” disse, piatto. “Non dirmi bugie, ne sento l’odore. Rispondimi, o lo farà Cannelle.”
Il modo in cui lo disse mi fece tornare alla mente lo strano comportamento di Cannelle quando aveva detto che Gregor non avrebbe capito se avesse fallito nel fare il suo “dovere”. Lei andava a letto con lui; lui non sarebbe stato davvero cattivo con lei. Oppure sì?
“I-io vi ho sentiti stamattina.” Dovetti distogliere lo sguardo quando lo dissi, imbarazzata fino al midollo. “Non l’ho fatto apposta. Sento cose che non dovrei sentire. Credimi, mi ha messo nei guai per tutta la mia vita.”
“Ci hai sentiti a letto?” mi chiese direttamente. “Mentre eri tre piani sopra e dal lato opposto della casa?”
Le mie guance erano rosse. Muta, con la testa ancora abbassata, annuii.
“Capisco…”
Si attardò sul commento, sovrappensiero, e poi la sua voce cambiò. Divenne potente, facendomi venire la pelle d’oca sul collo e sulle braccia.
“Guardami, Catherine.”
La mia testa di alzò subito per incontrare i suoi occhi di smeraldo ardente. Sembravano tenere prigionieri i miei.
“Non hai sentito niente questa mattina. Stavi sognando,” disse con la voce che vibrava.
Sbattei le palpebre, presa in contropiede dalla sua intensità. “Okay. In ogni caso non sono affari miei.”
Quel commento gli fece inclinare la testa di lato, come se avessi appena detto qualcosa di incredibile. Gregor mi fissò, quasi sbigottito, a poi improvvisamente fu di fronte a me. Le sue mani afferrarono la mia faccia e non mi permisero di voltare la testa.
“Ho detto, non hai sentito nulla stamattina. Stavi dormendo.”
La sua voce rimbombò e se i suoi occhi avessero brillato più intensamente, mi avrebbero ustionato la pelle.
“Va bene, ho capito cosa intendi! Mi dimenticherò di avervi sentito. Non c’è bisogno di luccicare e urlare.”
Si sedette di nuovo sui talloni con un’espressione scioccata, gli occhi che tornavano al loro normale colore grigioverde. Una risata acuta gli sfuggì.
“Straordinario.”
“Che cosa?” Ero davvero in guai seri per aver origliato?
Gregor scosse la testa e mi fissò con un’espressione confusa prima di tornare alla propria sedia. Le sue dita picchiettarono sulla tovaglia candida.
“Non avrei voluto che lo sentissi,” disse in fine. Controllai l’istinto di sbuffare, ma va? “Non mi ero reso conto che le tue abilità fossero a quel livello, e ora devo spiegarti.”
“Non ce n’è bisogno.” Io e la mia boccaccia.
“Ma devo.” disse dolcemente. “Non voglio che tu fraintenda le cose. Cannelle ed io stiamo, come possiamo dire, non stiamo più insieme. Lei gestisce la mia casa e di tanto in tanto ho lasciato che le cose si spingessero oltre, ma stamattina era… un addio. Lei resterà qui, ma la nostra relazione non si discosterà da quella tra dipendente e capo. Capisci?”
Sì. lo capivo. Uno strano sollievo mi invase, misto ad apprensione. Ero molto intimidita dal vampiro che mi sedeva di fronte. Poteva passare dal gioviale allo spietato in un istante, e io ero piuttosto spaventata da lui. Eppure…
“Perché mi stai dicendo questo?”
Gregor si chinò in avanti, ed ecco che compariva lo sciame di farfalle nel mio stomaco. “Secondo te?”
Mi si seccò la bocca. Inconsciamente mi leccai le labbra, quasi saltando su dalla sedia quando lui si leccò le sue. Fu come baciarsi senza toccarsi, e fu molto più di quello che potevo gestire. Dall’essere ripudiata da tutti i ragazzi della mia età al fare colazione con un vampiro che mi fissava come se fossi il dessert. Le cose andavano troppo in fretta e non era ancora nemmeno successo nulla.
“Ehm, hai detto che ci sono le crepes?” Volevo spezzare quel silenzio pesante, e afferrai il piatto come se fosse una scialuppa di salvataggio. “Fantastico. Muoio di fame.”
Gregor si risistemò nella sua sedia. La sua espressione mentre mi guardava aggredire il piatto era di superiorità e compiacimento.
“Anche io.”