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Recensione: “Rainbow place” di Jay Northcote

Care Fenici Nayeli ha recensito per noi Rainbow place di Jay Northcote

Seb, gay dichiarato, si trasferisce da Londra in un piccolo paesino della Cornovaglia, e nota che le cose, in provincia, sono molto diverse. Forse ci sono gay anche in queste zone, ma nessuno è dichiarato ed è impossibile creare relazioni e condivisione. La comunità locale sembra essere aperta e disponibile alla diversità, tuttavia nessuno vuole davvero rischiare di essere sulla bocca di tutti per il gossip del giorno.

Seb decide di osare e di aprire un locale che faccia da luogo di ritrovo LGBT; affida i lavori a Jason e solo col tempo scoprirà che anche lui è gay, decisamente restio a far sapere agli altri (inclusa la figlia) le proprie inclinazioni. Il racconto segue il percorso verso l’autoaffermazione di Jason e, di riflesso, l’effetto che provoca sulla comunità locale.

 

Il tema principale non è tanto la storia d’amore che sboccia tra Seb e Jason, piuttosto semplice e rapida, quanto un bell’approfondimento sul coming-out e sul “don’t ask don’t tell”, inteso come quel modo di pensare (o meglio “non” pensare) alla questione gay che si riassume in: “non mi interessa cosa facciano, non li discrimino, purché loro non ostentino il fatto di essere diversi”.

Il romanzo si incentra proprio su questo: che bisogno c’è di un luogo di ritrovo LGBT se la comunità non è ostile? Che bisogno c’è di mostrare la propria diversità, di creare un gruppo che si contrapponga agli eterosessuali, se la comunità ha sempre accettato “tacitamente” i gay, purché facciano le cose con discrezione?

Queste tesi vengono sviluppate, mostrando che l’accettazione “tacita” implica il nascondersi. Significa, quindi, una forma sottile di discriminazione che inevitabilmente porta chi vive una sessualità diversa a sentirsi inadeguato, frustrato; a non poter essere se stesso non solo pubblicamente, ma spesso anche privatamente. Ed essere silenziosi significa, talvolta, dover affrontare in solitudine gli affronti da parte di persone bigotte e discriminanti.

Un luogo di incontro LGBT funge da luogo sicuro, dove poter sentirsi accettati, accolti, dove trovare persone che condividono gli stessi valori, non necessariamente la stessa inclinazione sessuale. Non ultimo, dove poter trovare persone con cui farsi forza contro chi è davvero discriminante, anche in modo violento.

 

Nel complesso, per quanto il messaggio sia positivo, si tratta di un racconto che ho trovato stilisticamente un po’ freddo. Non ho capito esattamente se la causa sia la traduzione, ma la narrazione rimane un po’ didascalica, con poca poesia.

 

“Anche se quando era cresciuto aveva rifiutato con coscienza i valori di suo padre ben prima di rendersi conto di essere gay, nel suo subconscio il seme della vergogna resisteva ancora.

Esaminando quell’emozione così odiosa, Jason si rese conto che aveva più sfaccettature. Nel profondo, ne provava ancora per l’essere gay. Aveva provato tanto a liberarsene, ma era ancora lì, con le radici ben piantate in lui. Sovrapposta a essa, c’era la vergogna per la vergogna.”

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