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Recensione: “Oltre l’inverno” di Isabel Allende

Lucía, cilena espatriata in Canada negli anni del brutale insediamento di Pinochet, ha una storia segnata da profonde cicatrici: la sparizione del fratello all’inizio del regime, un matrimonio fallito, una battaglia contro il cancro, ma ha anche una figlia indipendente e vitale e molta voglia di lasciarsi alle spalle l’inverno. E quando arriva a Brooklyn per un semestre come visiting professor si predispone con saggezza a godere della vita.
Richard è un professore universitario spigoloso e appartato. Anche a lui la vita ha lasciato profonde ferite, inutilmente annegate nell’alcol e ora lenite solo dal ferreo autocontrollo con cui gestisce la sua solitudine; la morte di due figli e il suicidio della moglie l’hanno anestetizzato, ma la scossa che gli darà la fresca e spontanea vitalità di Lucía restituirà un senso alla sua esistenza.
La giovanissima Evelyn è dovuta fuggire dal Guatemala dove era diventata l’obiettivo di pericolose gang criminali. Arrivata avventurosamente negli Stati Uniti, trova impiego presso una facoltosa famiglia dagli equilibri particolarmente violenti: un figlio disabile rifiutato dal padre, una madre vittima di abusi da parte del marito e alcolizzata, un padre coinvolto in loschi traffici.
Un incidente d’auto e il ritrovamento di un cadavere nel bagagliaio della macchina che saranno costretti a far sparire uniranno i destini dei tre protagonisti per alcuni lunghi giorni in cui si scatena una memorabile tempesta di neve che li terrà sotto assedio.

Mi chiedo cosa ne sarà, della memoria di Paesi come il Cile, l’Italia, la Spagna… quando moriranno gli ultimi testimoni come la Allende che riescono a scrivere storie mescolando la verità con la fantasia,il mito e i fatti reali. La scrittrice ritorna alla grande, raccontandoci le vicende storiche del Cile e le sue brutture, assassini e sparizioni di oppositori politici attraverso gli occhi di una donna come Lucia che nonostante un passato triste, una famiglia distrutta, la malattia, riesce a reagire e a vedere in tutto il buono, con una filosofia, una calma ed una praticità che noi tutti vorremmo avere.

Il suo curioso innamoramento del professore universitario Richard, così ossessionato dal controllo, gelato in un’esistenza che corre su binari predefiniti e il cuore inscatolato in una morsa di gelo, inizialmente non sortirà il risultato sperato ma gli eventi della  vita daranno un aiuto… la giovane Evelyn farà da ago della bilancia.

Quest’ultima, è un personaggio che ha molto in comune con Lucia: la provenienza da un paese latino-americano, l’aver visto con i propri occhi lo scorrere del sangue e la violenza più bieca, hanno forgiato il suo carattere, ne hanno fatto una roccia, che senza essere arida e fredda, non smetterà di amare e di aiutare il prossimo.

È presente come in tutte le storie dell’Allende, l’elemento magico e divino, soprannaturale; si comprende a fondo come essa sia convinta, al di là delle confessioni religiose, della presenza di una forza superiore che governa il mondo e guidi, in una qualche maniera, i destini degli uomini.

Non manca il pizzico di avventura e suspense nel viaggio che i tre improbabili protagonisti intraprenderanno per nascondere le prove di un delitto e lo faranno, non senza un sentimento di pietà per la vittima e di desiderio che il colpevole sia arrestato.

Un bel romanzo insomma per riflettere, sorridere e non dimenticare.

Era ora, Richard. Basta rotolarti nelle pene del passato. L’unico rimedio per tutte queste disgrazie è l’amore. Non è la forza di gravità a mantenere in equilibrio l’universo, ma quella adesiva dell’amore.

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Voto PippiCalzelunghe 4,5

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