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Recensione: “L’albero delle albicocche” di Beate Teresa Hanika

 

 

 

Vienna, 1944. Anche quando il cielo è più buio, la speranza può ancora brillare.

Un albero in un cortile di Vienna. Il ricordo più struggente di tutti. Quali sono i ricordi che fanno una vita? Un albero di albicocche in un cortile di Vienna. È uno dei primi ricordi, e forse il più struggente, di Elisabetta. A quei tempi, vivevano ancora tutti in quella grande casa: sua sorella, bellissima, che prendeva il sole in giardino, ammirata dai ragazzi del vicinato; la madre che cantava tutto il giorno; il papà che tornava sempre a casa con regali sorprendenti, come la piccola tartaruga Hitler. Fino al giorno in cui ogni cosa finì, quando arrivarono le SS, e presero tutti. Tutti tranne Elisabetta, che non era in casa in quel momento. E, unica in tutta la sua famiglia, riuscì a salvarsi. Dalle SS, dai campi, dalla guerra: restando prigioniera, però, di un vuoto che l’accompagnerà per sempre. Da allora, Elisabetta segna ogni anno che passa con una nuova marmellata fatta con i frutti del suo albero. Un modo per non dimenticare. Ma la sua vita tranquilla e isolata di donna ormai anziana, che si porta dietro il peso dei ricordi, viene improvvisamente rivoluzionata quando in casa sua viene ad abitare una giovane ballerina tedesca, con la quale pian piano nasce una bizzarra amicizia. Ma Pola, scoprirà Elisabetta, sa molte più cose del passato della sua famiglia di quante l’anziana donna possa immaginare… E forse, per lei, è arrivato il momento di conoscere la verità su ciò che è successo ai suoi genitori e sua sorella.

Voglio raccontarti una storia. So che le storie sono passate di moda. Sarà dalla fine del secolo scorso che non ne ascolto una. A parte questa. Parla di amore e libertà e, per una buona storia, non c’è niente di meglio.”

Questo libro ti entra dentro, lentamente, scorre nel sangue e quando arriva al cuore è ormai giunto il momento del commiato.

Questa volta non vi presento una recensione vivace per trascorrere gioiosi momenti di relax, ma una storia profonda, contorta, che reca con sé l’eco della grande tragedia dell’olocausto confinato ai margini, nell’ombra, presente nella memoria ma sormontato dal racconto in prima persona dei suoi protagonisti. Elisabetta, un’anziana sopraffatta dai ricordi e dal senso di colpa per essere sopravvissuta a tutta la sua famiglia e Pola, una giovane ballerina tedesca.

Il dilemma di quelli che sono rimasti, la colpa di quelli che sono sopravvissuti: non possono perdonarsi quell’unico momento, quel secondo che li ha salvati.”
«Oggi la mia famiglia è stata deportata. Mi chiamo Elisabetta Shapiro.»
L’uomo rimase in silenzio.
«Si sono dimenticati di me.»

La scelta di narrare gli eventi a pov alternati, che però spaziano nel tempo, dall’infanzia delle due protagoniste al presente, passando per i ricordi, potrebbe rendere la storia, inizialmente, confusa. Nonostante ciò non è possibile lasciarla o distrarsi perché in ogni pagina, in ogni capitolo, il lettore riesce a subodorare la scelta dell’autrice di accompagnarci verso un cammino fatto di piccoli attimi, scoperte che, come tessere di un puzzle molto complesso, pongono chi legge nella posizione di esploratore. Sì, questa è stata la mia impressione nel corso della lettura: mettevo insieme i dettagli conquistati e sentivo di avvicinarmi sempre più al momento della rivelazione, quello in cui finalmente ogni pezzo va al suo posto e si può godere della visione d’insieme. E posso assicurarvi che questo accadrà a chiunque scelga di immergersi per il giusto tempo, nelle memorie di Elisabetta e Pola. Le due donne non sono gli unici elementi cardine della storia, in realtà nel corso della lettura ne ho incontrati diversi che meriterebbero menzione. Riflettendo, ho deciso di non richiamarli qui, per non discostarmi troppo dalla sinossi rivelando, magari involontariamente, un particolare che è vostro diritto scovare tra le righe.

Mi piace leggere questo genere di storie, siano esse di fantasia o legate ai trascorsi di personaggi reali. Lo faccio perché mi affascina il passato, lo faccio perché sino a quando ci sarà qualcuno disposto a narrare questi terribili eventi ed altri a leggerli, a parlarne, ogni vittima non sarà vana, il ricordo resterà vivo, tramandato nel tempo perché non accada più.

Ciò che più ho apprezzato in questo libro, che mi ha colpita, è che racconta soprattutto una grande storia d’amore, quello potente che tutto avvolge che non ci lascia mai davvero. E di libertà, conquistata a caro prezzo nel corso di molti anni, quando le ferite si cicatrizzano, la memoria resta e si è davvero presenti nel momento.

Scopriamo Elisabetta scorrendo le pagine e solo con pazienza, rispettando i suoi tempi, proprio come si fa con gli anziani quando si desidera ascoltarli davvero. Privilegio di pochi.

Mi domandai cosa siamo all’inizio, cosa la vita fa di noi, e quale parte di essa si trova nelle nostre mani.”

Elisabetta ci racconta tutta la sua storia, scandita nel tempo, dal momento in cui i frutti dell’albero delle albicocche cadono maturi e sono pronti per una nuova marmellata. Lei ne prepara in grande quantità e sull’etichetta, segna l’anno ma non solo. Li recupera dalla sua dispensa quando avviene qualcosa di importante e maneggia i suoi vasetti come un estimatore farebbe con un vino d’annata.

Mi hanno colpita molto i frequenti scambi di idee con le due sorelle, scoprirete voi perché… …gli unici momenti in cui possiamo intravedere aspetti caratteriali o somatici della protagonista, attraverso gli occhi e le parole di chi sussurra al suo cuore ferito.

Già da bambina eri troppo buona. Non come Judith: Judith era dolce, ma furba. Invece tu, tu vuoi sempre accontentare tutti. Ma è impossibile. Tu li accontenti tutti, e alla fine ti odiano perché non era comunque abbastanza. Ecco il tuo problema. Che vuoi essere amata dalle persone sbagliate. Persone che pongono condizioni all’amore.”

Proprio così, Elisabetta ama, non è l’unica in questa storia, ma ama profondamente e di tanti tipi d’amore, incluso quello che segnerà tutta la sua vita. Un uomo che fa parte di lei sin dall’infanzia ma che non l’amerà mai abbastanza da avere il coraggio di sceglierla e opporsi alle convenzioni. L’arrivo di Pola nella sua vita, procurerà sgomento ed emozioni contrastanti. Tuttavia è proprio il legame tra le due donne, a dare a tutta la storia un senso di completezza, di un universo che cerca di rimediare al male donando nuove possibili vie da percorrere. Pola, la più giovane, nell’apparente scompiglio che porta con sé, costituirà l’elemento cardine che contribuirà a cicatrizzare le vecchie ferite e andrà a colmare molti vuoti del passato.

Una storia toccante, da leggere con calma, concedendosi la meritata pausa di riflessione di tanto in tanto, per lasciar sedimentare le molte informazioni, le forti emozioni e poi proseguire sino ad arrivare all’epilogo, vi assicuro commovente, nella sua semplicità.

Poche righe, poche parole, che chiudono il cerchio di queste vite scombussolate dal male. Che lasciano commossi a riflettere prima di chiudere il libro, con una sola parola sulle labbra, grazie. Perché quando un libro arriva al cuore, si riceve un dono. Sempre.

A cura di:

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Voto La Min 4,5

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