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Recensione: “Eternal Night: DARK ROMANCE” di Debora C. Tepes

Nadir

Nadir è solo un ragazzino quando è costretto a fuggire con suo fratello Quadir da una moschea in fiamme nella sua città, in Libano. Lì, tra le pietre divorate dall’esplosione, ha perso non solo i suoi genitori ma anche tutta la vita così come l’ha conosciuta sino a quel momento, e ha siglato un inconsapevole patto di sangue con la violenza, che d’ora in poi sarà il suo destino.
Adesso che è ormai un adulto, la vita di Nadir è scandita da violenza e aggressioni e dalle regole del clan che ha fondato con suo fratello e che gestisce scommesse clandestine, droghe di ogni genere e racket. La violenza è l’unico linguaggio che Nadir conosca, tutto ciò che ha portato con sé dalla sua terra e che l’ha seguito fino in Europa, dove si è rifugiato. Tuttavia, anche per lui esiste qualcosa di sacro e intoccabile: la famiglia, il bene supremo da proteggere. A ogni costo.

Layla

Layla non ama la compagnia della gente. Preferisce rinchiudersi nel suo mondo, cullata dalle note del pianoforte sul quale lascia scorrere le dita. A casa, Layla non ha nessuno che l’aspetti: d’altra parte, suo padre è il capo della squadra omicidi della polizia di Berlino e ha ben altro di cui occuparsi. Tuttavia ogni tanto, trascinata da un’amica, anche lei si concede una nottata diversa dal solito. Ed è così, durante una notte in una discoteca della capitale, che il destino di Layla prende una piega inaspettata. È lì, tra le luci stroboscopiche che l’accecano e la musica techno che l’assorda, che incontra Nadir e si perde nei suoi occhi color dell’ebano. Le loro orbite collidono e, da quel momento in poi, niente sarà più lo stesso. Lei cade nella trappola dell’oscuro sconosciuto arrivato dal Medio Oriente e lui crede di avere il potere in mano. Non l’ha scelta per caso: sa perfettamente chi sia e, soprattutto, quale ruolo ricopra suo padre. Rapirla e consegnarla a suo fratello Quadir è il suo unico scopo. Ma ciò che Nadir ancora non sa è che sarà lui stesso a cadere in una trappola dalla quale sarà impossibile fuggire: quella della passione.

In bilico tra la vita e la morte, costantemente sospesi tra la verità e la menzogna, il giusto e lo sbagliato, Nadir e Layla si lasciano travolgere in una spirale di attrazione incontrollabile. Ma può l’amore sopravvivere al richiamo irresistibile del sangue? Possono due anime perdute ritrovarsi al di là del bene e del male?

«E invece posso. E mi maledico per questo, ogni dannato giorno. Vorrei morire in questo preciso istante pur di non continuare ad amarti con ogni singola parte di me. Pur di non continuare a patire le pene dell’inferno per un sentimento che tu non potrai mai ricambiare».

«Vuoi solo impietosirmi» le sputo contro, indignato.

(dal libro)

È la storia del rapimento a scopo estorsivo di una ragazza con un bel carattere determinato e combattivo, Layla, da parte di una gang araba, che affida la sorveglianza a Nadir, sadico e sociopatico, dedito alla violenza.

Durante la prigionia Nadir sottopone Layla a uno stupro di gruppo, la sodomizza a sua volta con tanto di sanguinamento, la tortura con coltelli e sigarette, la lascia senza cibo né acqua per giorni, la umilia e la sottomette, solo per dirne alcune.

Per oltre due terzi ci troviamo in una storia thriller, con protagonisti un aguzzino sadico e una vittima, che non presenta alcun elemento romance né alcun presupposto che faccia pensare a eventuali sviluppi in tal senso.

Di punto in bianco, Layla sviluppa una sorta di attrazione che sarebbe stato delizioso avesse sfruttato per irretire il carnefice e poi colpirlo mortalmente, ma non è così che si sviluppa il romanzo, ahimè. Layla si scopre innamorata del suo carceriere nonostante le brutture, e tenta di convincerlo ad assecondare un legame affettivo anche se lui non vuole. Questa accettazione e questo amore incondizionato che nessun altro nella vita gli aveva riservato riescono ad ammorbidire Nadir e a portarlo ad aprirsi a un pizzico di umanità e a redimersi.

Per quanto io sia una forte lettrice di mafia e dark romance, trovo questo romanzo totalmente fuori genere: sarebbe stato un ottimo thriller alla Criminal Minds, ma escludo di accettare che vi sia alcunché di romantico.

Non c’è niente da amare in Nadir, nessun elemento di umanità degno di redenzione, di salvezza. In nessun momento il lettore spera che l’amore tra i protagonisti vinca, perché non può essere amore quello di cui si parla; amore che, peraltro, solo Layla dichiara inspiegabilmente di provare. Un innamoramento ingiustificato e ingiustificabile. Personalmente dubito perfino nell’attrazione per un aguzzino che ha usato violenza ripetuta e dolorosa, e che, al limite, il legame psicologico possa rientrare nell’ambito della sindrome di Stoccolma.

Eppure si vuol far credere che questo amore sia eterno e invincibile.

Ho attribuito una sola fiamma di passione, in quanto ciò che leggiamo non ha niente di erotico: ogni amplesso è caratterizzato da violenze molto crude, sadiche, perverse, dolorose, umilianti.

Quando gli stupri avvengono da parte di Nadir (escludendo quindi quello di gruppo), la protagonista dice di avvertire un ambiguo piacere, ma trovo più appropriato assegnare asce di violenza piuttosto che fiamme di passione, perché leggere di queste scene è più agghiacciante che piacevole, più scabroso che appagante.

Vorrei comunque sottolineare che il fatto di subire una violenza non impedisce alla vittima di provare un orgasmo: nessuna vittima deve sentirsi anche minimamente in colpa per questa reazione fisica a uno stupro, ma soprattutto non va confusa una reazione fisica con una reazione emotiva. Giustificare l’eventuale piacere fisico che una violenza ha provocato a una donna con l’idea di un innamoramento è a mio avviso profondamente sbagliato, così come lo è indurre a pensare che un atteggiamento aggressivo e brutale sia in qualche modo appagante per una donna e possa trovare un riscontro positivo. Non c’è infatti nessun altro elemento che possa scatenare l’amore di Layla se non le violenze di Nadir: non c’è un gesto gentile, non una traccia di umanità, non ci sono appigli per pensare che questa persona abbia una sensibilità interiore, un passato problematico o qualsiasi altra scusante per l’atteggiamento che ha verso di lei.

Sarebbe stato un buon thriller se Layla, vista la sua iniziale caratterizzazione combattiva, avesse sfruttato un finto innamoramento come capacità manipolatoria per raggirare il suo aguzzino e infine liberarsi.

Se fossi una ragazza normale, odierei Nadir Hassan con ogni parte di me, con ogni goccia di sangue, con ogni respiro.

Lo odierei per il male che mi ha inflitto da quando mesi fa mi ha rapito, un male fisico e psicologico; lo detesterei perché è un assassino efferato, e perché non potrà mai amarmi.

E invece dal mio cuore indebolito non sgorgano per lui altro che amore e devozione.

(dal libro)

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